Blog di critica, storia e statistica sportiva fondato l'11 maggio 2009: calcio, ciclismo, atletica leggera, tennis ...
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giovedì 29 dicembre 2022
venerdì 22 ottobre 2021
La storia di Paul Van Himst: leggenda del calcio belga
Tra i massimi campioni di calcio degli anni '60 ( e dei primi anni '70), ci fu il belga Paul Van Himst, dieci elegantissimo, che coniugava un fisico atletico con movenze felpate e tecnica sudamericana, che presto gli valsero il soprannome di Pelé bianco. Andate a rivedere le sgranate immagini di repertorio, osservatelo giocare contro l'Italia o la Germania Ovest con la maglia della sua nazionale (81 partite e 30 gol): Van Himst aveva un tocco superiore ed un uso magiaro dell'esterno destro, che raramente si sono osservati nella storia del calcio. Gol e assist e una regia di movimento lungo tutto il fronte offensivo. Servito spesso spalle alla porta, sapeva girarsi evitando l'intervento avversario grazie al primo controllo, che è il sale del gioco del calcio, eseguito con una naturalezza che non si allena. O c'è, naturalmente, o mai ci sarà. Van Himst fu icona e bandiera dell'Anderlecht di Sinibaldi, una sorta di Guardiola ante litteram, che fece incetta di titoli nel campionato belga, e della nazionale del Belgio. Giunse, quando aveva ancora 22 anni, quarto nella classifica del Pallone d'Oro del 1965, dietro Eusebio, Facchetti e Luisito Suarez e davanti a Bobby Charlton, cui pure somigliava per stile di gioco. E fu penalizzato, Van Himst, quanto ai ricoscimenti che avrebbe potuto conseguire e che mancò, dalla militanza in una squadra sì forte ma con poca caratura internazionale. Quella sarebbe arrivata più tardi. Recitò, proprio al fianco di Pelé, nel fortunatissimo film "Fuga per la vittoria".
lunedì 19 aprile 2021
La Super League è una farsa antistorica
Ignorano le origini del gioco del calcio. E molte altre cose, verrebbe da pensare. Ed è un grande errore, perché, come ammoniva Vico, la natura di una cosa sta nello suo cominciamento. E il calcio, che pochi eletti - poi, da chi? - vorrebbero rinchiudere nella torre d'avorio della Super League, nacque umile, popolare e trasandato. Non pratica di nobiluomini annoiati, ma passatempo di operai e scaricatori di porto. Tanto da giocarsi con i piedi, gli arti meno nobili. Quelli che, ancora negli anni '50 del secolo scorso, non potevano nominarsi negli spettacoli televisivi, senza suscitare le indignate proteste della gente dabbene e senza incorrere nelle reprimende dell'occhiuta censura. Piaccia o meno, il calcio nacque povero. E la sua immediata, straripante diffusione fu dovuta proprio a questa culla di povertà. E, da subito, fu uno sport per tutti, alla portata di tutti. Non come il rugby, che esigeva le spalle larghe e le costituzioni massicce donate dai cinque pasti giornalieri e dalla vita comoda e beata dei college esclusivi. Non come il basket, frutto delle elucubrazioni solitarie di Naismith e divenuto, con il tempo, riserva di caccia di Gargantua e Pantagruel. No, il calcio è nato egalitario. Per gli alti e i bassi, i longilinei e i brevilinei, gli smilzi e i tarchiati. Solo il ciclismo ha la medesima natura schietta e popolare e istintiva del calcio. E veniamo alla notizia di questa improbabile Super League, che sarebbe riservata alle squadre più forti e ricche della Vecchia Europa. Un circolo esclusivo, dove il pallone dovrebbe sostituire whist e acqua e brandy. Non funzionerà. Non alla lunga. Il calcio è nato per tutti. Quest'idea di alcune squadre - e mi spiacerebbe moltissimo che vi si accodasse anche la mia Inter - rintanate nell'hortus conclusus di un torneo medievale ha il respiro corto. Perché esclude la possibilità che il piccolo sfidi il grande, che il debole sfidi il forte. Perché dimentica il campanile, che del calcio è simbolo e vera distinzione. Perché le partite di calcio attirano spettatori sempre, dappertutto, dalla terza categoria sino al campionato del mondo. E dev'esserci possibilità di scendere e salire, come sempre nella vita. Si è detto, ma in NBA funziona così. Chi se ne frega? Ma, davvero dovrebbe farci da modello lo sport americano? Vi rispondo con le parole di John McEnroe, tra i pochi americani che mai mi siano stati simpatici: You cannot be serious. Non mi piace lo sport americano, non mi piacciono i cappellini con visiera e, a questo punto, dovendo scegliere, nemmeno i popcorn. E, già che ci siamo, ho sempre trovato anche i film Western insopportabili. C'è lo zampino di Jp Morgan, che sarebbe il maggior finanziatore della Super League. Incorreggibili questi americani. Mettono la parola super dappertutto. Parola latina, peraltro, ma loro non lo sanno. Hanno scambiato il calcio, mistero senza fine bello, per una saga degli Avengers. Ma, vanno capiti. Per loro tutto è business. Parola che pronunciano diversamente da come è scritta. Resto convinto che i sovrani spagnoli sbagliarono a finanziare la spedizione di Cristoforo Colombo.
martedì 23 marzo 2021
Il calcio di strada: la ricchezza svanita
C'era una volta il calcio di strada, il calcio da strada. Era una necessità, essendo il campo da calcio, per molti, un sogno, una chimera, un'opportunità per pochi. Ora, intendiamoci, non dico che i campetti in erba sintetica, dove vengono allevate le nuove generazioni di futuri calciatori, siano da disprezzare. Non dico questo. Tuttavia, la rarefazione del calcio di strada ha determinato la caduta verticale non soltanto della qualità tecnica, ma anche dell'estro, dell'inventiva, insomma di tutte quelle risorse cui le difficoltà e gli ostacoli costringono ad attingere.
Giocare sulla terra battuta, in mezzo all'erba alta, sulla spiaggia o sull'asfalto, interrotto, qua e là, da buche e bucherelle, beh, era un esercizio continuo all'imprevisto, una sollecitazione ripetuta alla destrezza, un invito costante alla ricerca e al mantenimento dell'equilibrio. Non cadere, non farsi male, non strapparsi la tuta, era l'imperativo morale che guidava i giovani calciatori fino ad una trentina d'anni fa. E, allora, non deve stupire che, proprio dalla strada, in mezzo a quelle difficoltà quasi dickensiane, siano germogliati i maggiori talenti del calcio italiano e non solo. Quelli che, obbligati ad usare un muretto per chiudere un triangolo, quelli che, riusciti ad addomesticare non dico un Tango o un SuperSantos, ma persino un SuperTele, trovavano poi facile, se non banale, calciare un pallone regolamentare, molto più docile.
Meazza veniva dalla strada, come Valentino Mazzola. E dopo, i Rivera, i Mazzola, i Riva, al più vennero dall'oratorio, dalla terra battuta o dal cemento. Fu lì che impararono a schivare i colpi, ad anticiparli. Lì appresero il colpo d'occhio, la divinazione delle traiettorie. Ancora gli ultimi talenti più puri del calcio italiano è su campetti improvvisati, lontanissimi da quelli odierni, che avviarono il loro apprendistato calcistico. Mancini e Roberto Baggio, Zola e Del Piero, Totti e Cassano. Non uno di loro ha iniziato diversamente. Imparando a stare in piedi senza la consolazione di un atterraggio sull'erba sintetica. Questo manca oggi al calcio italiano. Questa gavetta. Poi, sì, ad un certo punto, si rendono necessarie anche le strutture, i completini e le mantelline. Sì, ma più avanti nel tempo.
Cosa se ne può concludere? Nulla. La mia è una mera costatazione. La nostra povertà d'un tempo - anche solo quella di campi e strutture e scuole calcio - era, per una di quelle contraddizioni della vita che oggi faticheremmo ad ammettere, la nostra ricchezza. Era il nostro romanzo di formazione. L'avversario da affrontare e vincere, l'Uriah Heep che guardava male David Copperfield. Oggi, tutto questo non c'è più. C'è tutto il resto. L'organizzazione, non dappertutto, ma da tante parti sì, la tattica, le diagonali, il fuorigioco. Da subito. Come in Olanda, come in Svezia. Soltanto che il calcio - molti l'hanno dimenticato - prima di essere uno sport, è un gioco. O un giuoco, come si diceva.
martedì 17 novembre 2020
Le casse vuote del calcio italiano: finiti i soldi
Oggi il Corriere della Sera dedica una pagina, con un sapido commento di Mario Sconcerti, alle casse vuote e dolenti del calcio italiano. Ma, potrebbe dirsi anche del calcio internazionale. La pandemia da Covid ha impoverito questo come altri settori dell'economia e la ripresa appare remota. Dobbiamo però dire, sarebbe ora, che gli ingaggi dei calciatori, squilibrati rispetto ad uno stipendio medio sin dalla fine degli anni '20 del secolo scorso, sono cresciuti in termini esponenziali, sconfinando nell'assurdo. Sì perché 40 milioni, o giu di lì, a Messi e Neymar, 30, 31, quel che sono, a Cristiano Ronaldo, corrispondono al fatturato di molte grandi aziende, con centinaia di dipendenti. Ed invece sono i compensi netti di singoli calciatori che, per quanto forti, le partite non le giocano né le vincono da soli. A fronte d'incassi ormai assottigliati fino all'osso: stadi chiusi e diritti televisivi discussi o da rinegoziare. Allora diciamolo con chiarezza: quella del calcio è una bolla come quella dei titoli tecnologici che esplose al principio degli anni 2000.
Un poco di storia potrebbe venirci in soccorso, per comprendere le dimensioni di un fenomeno, quello dell'esplosione dei costi del sistema calcio, che è grave ma per niente serio. Negli anni '30, il calcio è già professionistico da parecchie parti, si giocano i Mondiali e la Coppa Europa, i calciatori irrompono tra i nuovi ricchi. Prendiamo a riferimento il 1936: un bracciante non va oltre le 200 lire al mese, un operaio guadagna poco di più, un dirigente d'azienda si attesta attorno alle 3.000 lire al mese. Ancora nel 1939, il traguardo delle 1.000 lire al mese è sognato, ed a questa perciò proibito, dalla maggioranza dei lavoratori italiani, come racconta la famosissima canzone Mille lire al mese. I fenomeni del tempo, da Orsi a Meazza potevano guadagnare fino a 7/8mila lire al mese!
Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovar tutta la felicità...
Alla fine degli anni '70, i calciatori migliori potevano guadagnare 100 milioni di lire in un anno, mentre lo stipendio medio in Italia era di 4/4,5 milioni di lire annui. Sproporzione c'era, ma forse ancora tollerabile. Considerata la brevità della carriera dei calciatori e i pochissimi, tra loro, che potevano ambire alle cifre maggiori. Poi, dagli anni '80 in avanti il divario si è sempre più approfondito e, con l'avvento dei diritti TV, ha progressivamente raggiunto le vette parossistiche di oggi. Un grande calciatore non guadagna più 10, 20, 30 volte rispetto ad un operaio specializzato o ad un funzionario statale. Ma, piuttosto, 500, 1000, 2000 volte tanto (è il caso di Cristiano Ronaldo in Italia). Insomma, Covid o non Covid, si era già andati oltre l'aritmetica, oltre l'economia, oltre il buon senso. I primi a lamentarsene, già da tempo, avrebbero dovuto essere i tifosi, che portano acqua, in buona fede, a questo fiume di soldi. I debiti del sistema calcio, perché certi assurdi ingaggi possono finanziarsi solo a debito, sono da bancarotta.
lunedì 21 settembre 2020
Ricominciata la Serie A
Ricominciata la Serie A di calcio. Senza grandi sorprese, per ora, con il Milan che giocherà fra qualche ora, e l'Inter che salta il primo turno: recupererà più avanti. La Juve di Pirlo, che la stampa nazionale tratta alla stregua di un taumaturgo, ha avuto facilmente ragione di una Samp dimessa, avversario troppo arrendevole per trarne conclusioni. Vittoria del Napoli, che in avanti è forte. Vittoria della Fiorentina, pareggio per la Roma. Troppo brevi le vacanze. Ancora fresco il ricordo del campionato terminato il 3 agosto. Sono tempi insoliti e bisogna rassegnarcisi. Il calciomercato è tuttora aperto. Insomma, non è che ci si capisca granché.
mercoledì 10 giugno 2020
Juve-Milan il 12, Napoli-Inter il 13 giugno: ore 21:00. Il calcio riparte dalla Coppa Italia
Coppa Italia 2019/20 |
- Venerdì 12 giugno 2020, ore 21:00
Juventus - Milan (1-1)
- Sabato 13 giugno 2020, ore 21:00
giovedì 14 maggio 2020
La serie A riparte il 13 giugno? Forse, pare, Covid permettendo
lunedì 4 maggio 2020
Calcio: prove tecniche di ripartenza in serie A
giovedì 19 dicembre 2019
Il calcio, la difesa e la statura
martedì 10 dicembre 2019
Il calcio non è il basket. La dittatura degli schemi
- le dimensioni regolamentari di un campo di calcio variano dai 100 a 110 m in lunghezza e dai 64 ai 75 metri in larghezza, almeno in partite internazionali;
- le dimensioni di un campo di basket sono di 28 metri in lunghezza e di 15 metri in larghezza;
- il calcio si gioca in 11, con possibilità di 3 sostituzioni, definitive;
- il basket si gioca in 5, con possibilità di sostituzioni provvisorie non soggette a limitazioni;
- una partita di calcio dura 90 minuti più recupero, pause ed interruzioni incluse;
- una partita di basket dura 40 minuti, ma di tempo effettivo, le pause non sono conteggiate;
- un'azione, nel calcio può durare minuti;
- un'attacco, nella pallacanestro, è soggetto alla mannaia dei 24 secondi.
martedì 20 gennaio 2015
Beccalossi e la nazionale
sabato 29 marzo 2014
Storia dei mondiali di calcio: 1^ puntata
Inventato dagli inglesi o dai fiorentini, la questione annosa è destinata a rimanere irrisolta, il calcio rimase per tutto il diciannovesimo secolo un affare soprattutto britannico. Le regole e le competizioni che oggi, dopo parecchi successivi aggiustamenti, conosciamo, nacquero tutte su quell'isola superba ai tempi grassi della Regina Vittoria. Le rappresentative nazionali, diverse da Inghilterra, Scozia e Galles cominciarono ad affrontarsi soltanto agli inizi del novecento. Partite amichevoli, eccettuate le competizioni alle Olimpiadi. Fatto sta che negli anni dieci ancora si giocava con pantaloni alla zuava e berrettino ed i calciatori, secondo la moda del tempo, esibivano baffi, baffetti e baffoni e non ancora tatuaggi, allora esclusiva di marinai e forzati delle galere. Poi, venne la Grande Guerra, antipasto massonico di un rivolgimento dei costumi che ancora dura. Negli anni venti, a poco a poco, mentre l'Uruguay del formidabile centromediano Andrade faceva incetta di titoli olimpici, cominciò a farsi strada l'idea di una competizione mondiale, aperta anche ai professionisti della "pelota". Il confine tra professionismo e dilettantismo si faceva sempre più labile ed insomma attorno al fenomeno calcio cominciavano a girare tanti soldi. Sport proletario ed egualitario per eccellenza, che non richiedeva e nemmeno oggi richiede carature atletiche specifiche, aveva una presa sulla folla che faceva gola agli affaristi che sempre hanno parassitato lo sport. Tra mille difficoltà, si decise per un campionato del mondo di calcio in Uruguay, paese fertile di talenti, moltissimi dei quali di origine italiana, che, come si diceva, era il punto di riferimento del calcio di allora. Tolta l'Inghilterra, che si vantava di una supremazia, più dichiarata che reale e che rifiutava il confronto. Gli inglesi avrebbero partecipato al primo mondiale soltanto nel 1950, subendo un'eliminazione al primo turno e perdendo addirittura con l'allegra brigata dei calciatori Usa. Anno 1930, comunque, primo mondiale di calcio. In Uruguay. L'Italia resta a casa, perché i tempi sono economicamente grami e la trasferta oltreoceano costerebbe troppo. (1^ puntata, 2^ puntata, 3^ puntata, 4^ puntata, 5^ puntata, 6^ puntata, 7^ puntata, 8^ puntata)
martedì 1 ottobre 2013
Graziano Pellè al mondiale 2014
domenica 29 settembre 2013
Il fuorigioco per la Juve non vale, Toro fregato da un gol di Pogba. Si ferma l'Inter contro il Cagliari, Pandev rilancia il Napoli
mercoledì 10 luglio 2013
Froome ed i sospetti di doping: è vera gloria?
Aggiornamento del 15 luglio 2013: la clamorosa vittoria colta ieri da Froome sul Mont Ventoux ha riacceso, ed era inevitabile, quella spirale di sospetti attorno a lui e, per conseguenza, attorno al ciclismo.