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martedì 10 dicembre 2019

Il calcio non è il basket. La dittatura degli schemi

Il calcio non è il basket. Si potrebbe cominciare con questa breve, inattaccabile, ricognizione dell'evidenza. Perché ne parlo? Perché la dittatura degli schemi nel calcio è stato mutuata, pressoché integralmente, dalla pallacanestro. Che però non è il calcio:

  • le dimensioni regolamentari di un campo di calcio variano dai 100 a 110 m in lunghezza e dai 64 ai 75 metri in larghezza, almeno in partite internazionali;
  • le dimensioni di un campo di basket sono di 28 metri in lunghezza e di 15 metri in larghezza;
  • il calcio si gioca in 11, con possibilità di 3 sostituzioni, definitive;
  • il basket si gioca in 5, con possibilità di sostituzioni provvisorie non soggette a limitazioni;
  • una partita di calcio dura 90 minuti più recupero, pause ed interruzioni incluse;
  • una partita di basket dura 40 minuti, ma di tempo effettivo, le pause non sono conteggiate;
  • un'azione, nel calcio può durare minuti;
  • un'attacco, nella pallacanestro, è soggetto alla mannaia dei 24 secondi.
Mi limito, per brevità, a rammentare queste notissime distinzioni, che, da sole, dovrebbero spiegare l'irriducibilità del calcio al basket. E viceversa. Risulta intuitivo come, nel basket, gli spazi contenuti, il tempo effettivo, il ridotto numero di giocatori sul campo, la durata prestabilita di un possesso e via seguitando dia spazio agli schemi e alle variazioni di questi molto più del calcio. Come, si potrebbe consultare un qualsivoglia manuale di guerra, è molto più difficile prevedere manovre in campo aperto che non in scontri ravvicinati. Per queste ragioni, ho sempre guardato con sospetto ai predicatori degli schemi esatti nel calcio. Dove le variabili condizionanti sono molte di più e assai meno prevedibili. E, poi, c'è sempre il limite del buon senso, che è la faccia rustica dell'intelligenza. E mi sembra di ricordare che anche Phil Jackson, allenatore sommo e collezionista di titoli Nba abbia scherzato sugli schemi, dicendo che, alle volte, i suoi secondi ne disegnavano di così complessi, volendo dire irrealizzabili, che nemmeno lui li capiva.