Elenco blog personale

Visualizzazione post con etichetta Brian Clough. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Brian Clough. Mostra tutti i post

giovedì 19 dicembre 2019

Il calcio, la difesa e la statura

La statura media cresce. Si mangia di più, si mangia meglio? Fatto sta che la statura media cresce. E con la statura crescono anche i guai alla schiena e alle articolazioni, per la verità. Nel calcio sembra cresciuta più che nella società, perché, spieghiamolo subito, nelle giovanili, con poche eccezioni, si preferisce puntare sui giocatori alti e grossi. Con qualche controindicazione, tuttavia. Perché il calcio è sport con attrezzo, il pallone, che va giocato con i piedi. E più si è alti, meno è facile controllare il pallone in modo appropriato. Si dirà: e allora Ibrahimovic, alto 1,95 m? E, cambiando ruolo Zidane, 1,85 m, ma autentico prestigiatore della pelota? Insomma, ci sono giocatori molto alti anche forniti di notevolissimi mezzi tecnici e capaci di un controllo di palla, che, sulla carta, apparirebbe più difficile. E non c'è più lo stupore che accompagnava Socrates, alto 1,90 m, e virtuoso del colpo di tacco e del gioco di prima. La difficoltà, ad ogni modo resta. Se sei molto alto è più difficile, per leggi fisiche autoevidenti, avere un buon controllo del pallone. A meno di avere il baricentro basso. Sì, perché ci sono brevilinei di alta statura. Ricordate Van Basten? Alto 1,88 m, ma aveva un busto ben più lungo delle gambe. Anche Ibrahimovic è così. Sarebbe un pessimo giocatore di pallacanestro o un pessimo saltatore in alto. Nel calcio, il baricentro basso bilancia una statura fuori norma. In difesa, poi, oggi vediamo titolari quasi tutti granatieri di Sardegna. Per fare un esempio, nell'Italia del 1982, il più alto azzurro era Bergomi, 1,84 m, poi Collovati, 1,83 m, ma anche Scirea, 1,78 m, Gentile 1,80 m, lo stesso Zoff, 1,80 m. Guardate la nazionale di oggi: non c'è un centrale che sia più basso di 1,88 m. I portieri sono tutti più alti e Donnarumma sfiora i 2 m. Epperò, nella marcatura, si difende peggio. Il calcio non è solo aereo, anzi. "Se Dio avesse voluto il gioco aereo, ci avrebbe fatto giocare sulle nuvole", diceva Brian Clough, formidabile e istrionico allenatore del mitico Nottingham Forest, vincitore delle Coppe dei Campioni del 1979 e del 1980. Puntati, i difensori odierni, chiamati a reagire con 90 kg da spostare, faticano moltissimo. Cambiano i tempi di reazione, gli appoggi sul terreno, l'attitudine a scivolare. Insomma, alti, grossi, non sempre efficaci. Con l'eccezione di Van Dijk. Forse, il reclutamento dei calciatori dovrebbe obbedire a canoni meno rigidi.

venerdì 3 maggio 2019

Trevor Francis: l'attaccante dei due mondi

Nativo di Plymouth, Trevor Francis, classe 1954, è stato uno dei migliori attaccanti inglesi a cavallo tra gli anni '70 e '80. Autore del gol della vittoria della prima Coppa dei Campioni del Nottingham Forest di Brian Clough contro il Malmoe, 1979: gli inglesi l'avevano riportato in patria dal campionato americano, dove giocavano Beckenbauer, Pelé e Chinaglia, per la cifra allora astronomica di un milione di sterline! Nel 1982, dopo una stagione in doppia cifra al Manchester City e 2 gol al mondiale con l'Inghilterra, approdò in Italia, alla neopromossa Sampdoria, che aveva appena ingaggiato Mancini dal Bologna e Liam Brady dalla Juve. Ricordo che la stagione 1982-83 fu la prima che seguii in modo costante e via via più consapevole. L'Inter affrontò la Samp alla seconda d'andata, in casa. Per noi segnò Hansi Muller, che stava iniziando un storico quanto poco proficuo dualismo con Evaristo Beccalossi. Francis, di gol, ne fece due. Fu la prima sconfitta dell'Inter di cui abbia memoria diretta, attraverso i riflessi filmati di 90° minuto. L'Inter avrebbe poi chiuso la stagione al terzo posto, dietro la Roma di Falcao e Conti e Di Bartolomei e la Juve di Platini, Boniek e tanti azzurri campioni del mondo in Spagna. Le fortune di Francis, invece, provato da molti infortuni, furono alterne in serie A. L'acuto lo fece registrare nella Coppa Italia 1984/85, primo trofeo dei blucerchiati di Mantovani: 9 gol e titolo di capocannoniere. Ma, non nelle finali contro il Milan. All'andata la Samp segnò con lo scozzese Souness, che aveva preso il posto di Brady, passato all'Inter. Al ritorno, gol di Virdis per il Milan, e reti di Vialli e Mancini per i doriani: nasceva una delle migliori coppie del gol italiane. Francis poi sarebbe passato all'Atalanta. E, infine, tornato in patria. Molti lo ricordano centravanti, perché al centro dell'attacco ha giocato. Ma, con Clough, al Nottingham, Francis partiva all'ala destra, per poi accentrarsi e spesso raccogliere i cross millimetrici dell'ala opposta, il grande e sottovalutato John Robertson.

mercoledì 12 settembre 2018

John Robertson: il Picasso del Nottingham Forest di Brian Clough

Il Nottingham Forest della seconda metà degli anni '70 rappresenta qualcosa di eccezionale, se non di unico, nella storia del calcio. Intanto, Nottingham. Nella cui contea, fiorì la leggenda del più popolare eroe inglese: Robin Hood. Uno che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Un antagonista, si direbbe oggi. Ecco il Nottingham Forest, in quegli anni, interpretò l'antagonismo con una naturalezza predestinata. Condotto da un uomo ruvido e scostante come Brian Clough, un autentico rivoluzionario, uno che voleva, oltremanica, possesso di palla e gioco largo, avvolgente. Uno che, in carriera, vinse due titoli nazionali, dove nessuno prima e nessuno poi. Con il Derby County e, appunto, con il Nottingham Forest. In Italia, qualcosa di paragonabile era stato fatto solo da Fulvio Bernardini: scudetto con Fiorentina e Bologna. Solo che quello con il Bologna era il settimo titolo dei felsinei. Ma, torniamo a Nottingham. Che vince la First Division nel 1978. Mentre cominciava ad imperversare il Liverpool del pass and move di Bob Paisley. Solo che Liverpool una sua storia calcistica ce l'aveva, Nottingham no. E il Nottingham Forest di Clough arrivò a vincere anche due Coppe dei Campioni consecutive, nel 1979 e nel 1980. Senza stelle, vuole la vulgata. E invece no. Una stella, in quel Nottingham Forest, c'era. John Robertson, scozzese, fisico da impiegato, e piedi da artista. Il Picasso del calcio, l'avrebbe definito proprio Brian Clough. John Robertson era un'ala sinistra. Destro, ma con un mancino educatissimo. Terrorizzava il terzino avversario, destinato a perdersi in mezzo ad un mare di finte, scarti, cambi di direzione annunciati eppure repentini, inesorabili. Fino al cross. Sentenzioso. Con la palla che finiva sempre sulla testa o sul piede di un compagno. La precisione. Avete presenti i cross che Candreva spedisce addosso all'avversario, come ha fatto anche Biraghi venerdì scorso contro la Polonia? Ecco, Robertson, anche con avversario addosso, con pochi centimetri guadagnati, il cross lo faceva. Ed era un assist vincente. Sempre, o quasi sempre. E, poi, c'erano i gol. Grazie al tiro secco e preciso. Faceva i tiri a giro quando non li faceva nessuno, a parte Corso dieci anni prima. Rigorista implacabile. Eseguì l'assist per il gol di Francis contro il Malmoe, finale di Coppa dei Campioni 1979. Segnò il gol vittoria contro l'Amburgo, finale di Coppa dei Campioni 1980. Due mondiali con la Scozia, a segno nel 1982. Eroe di un calcio di provincia, che s'issò sul tetto d'Europa. A dispetto di una corporatura grossolana. Di una velocità normale e forse meno che normale. Grazie a piedi d'artista. Al dominio visivo, e spesso visionario, degli spazi. Scorgendo sentieri, dove altri avrebbero notato solo ostacoli.