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giovedì 22 ottobre 2020

Antonio Conte e lo schema unico: palla a Lukaku

  • La vicenda di Antonio Conte al secondo anno di Inter mi ricorda, mutatis mutandis, il Serenissimo generale Kutuzov, l'eroe russo che fermò l'avanzata orientale di Napoleone Bonaparte. Tolstoj, in Guerra e Pace, ce lo descrive come contrario alle grandi alchimie tattiche, avendo un solo faro: il morale delle truppe. Da quello, a suo dire, a dire di Kutuzov secondo Tolstoj, dipendeva l'esito di una battaglia. E alla fine di una guerra. E si poteva anche perdere sul campo una battaglia, con la certezza di vincere infine la guerra. L'importante era che l'esercito uscisse, anche da una sconfitta, con l'idea di aver vinto. O di poter vincere. Ecco, il morale delle truppe nerazzurre, come quello del suo generale, appare basso. E questo non fa ben sperare in vista degli esiti stagionali.
  • E gli schemi di Conte? Non ha le stesse idee di Kutuzov, vista l'aria sconsolata con la quale si presenta davanti alle telecamere e considerate le dichiarazioni zuppe di rassegnazione, che regala alla stampa. Non ritiene, viene da pensare, che il suo atteggiamento dimesso possa incidere le certezze, poche, di una squadra mal messa in campo e priva di una vera leadership di gioco. Allora, i suoi schemi? Ne ha uno solo, per la verità. E non è psicologico. Palla a Lukaku. Almeno Mancini, nella prima esperienza all'Inter, oltre a giocatori più forti, ne aveva due: palla a Ibra, palla a Maicon. Per il resto, poco o niente. E Lukaku, che ha tecnica dozzinale, tiene sì la palla addosso, ma poi la smista spesso con approssimazione. Palla a Lukaku, sovrapposizioni degli esterni, pressing alto. Poco, mi pare. Ora, se nel mezzo di tanta pochezza tattica, nell'assenza di soluzioni alternative, si fa strada anche la sfiducia, con la testa bassa e lo scoramento, è difficile che si possa fare molta strada. 

martedì 10 dicembre 2019

Il calcio non è il basket. La dittatura degli schemi

Il calcio non è il basket. Si potrebbe cominciare con questa breve, inattaccabile, ricognizione dell'evidenza. Perché ne parlo? Perché la dittatura degli schemi nel calcio è stato mutuata, pressoché integralmente, dalla pallacanestro. Che però non è il calcio:

  • le dimensioni regolamentari di un campo di calcio variano dai 100 a 110 m in lunghezza e dai 64 ai 75 metri in larghezza, almeno in partite internazionali;
  • le dimensioni di un campo di basket sono di 28 metri in lunghezza e di 15 metri in larghezza;
  • il calcio si gioca in 11, con possibilità di 3 sostituzioni, definitive;
  • il basket si gioca in 5, con possibilità di sostituzioni provvisorie non soggette a limitazioni;
  • una partita di calcio dura 90 minuti più recupero, pause ed interruzioni incluse;
  • una partita di basket dura 40 minuti, ma di tempo effettivo, le pause non sono conteggiate;
  • un'azione, nel calcio può durare minuti;
  • un'attacco, nella pallacanestro, è soggetto alla mannaia dei 24 secondi.
Mi limito, per brevità, a rammentare queste notissime distinzioni, che, da sole, dovrebbero spiegare l'irriducibilità del calcio al basket. E viceversa. Risulta intuitivo come, nel basket, gli spazi contenuti, il tempo effettivo, il ridotto numero di giocatori sul campo, la durata prestabilita di un possesso e via seguitando dia spazio agli schemi e alle variazioni di questi molto più del calcio. Come, si potrebbe consultare un qualsivoglia manuale di guerra, è molto più difficile prevedere manovre in campo aperto che non in scontri ravvicinati. Per queste ragioni, ho sempre guardato con sospetto ai predicatori degli schemi esatti nel calcio. Dove le variabili condizionanti sono molte di più e assai meno prevedibili. E, poi, c'è sempre il limite del buon senso, che è la faccia rustica dell'intelligenza. E mi sembra di ricordare che anche Phil Jackson, allenatore sommo e collezionista di titoli Nba abbia scherzato sugli schemi, dicendo che, alle volte, i suoi secondi ne disegnavano di così complessi, volendo dire irrealizzabili, che nemmeno lui li capiva.