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venerdì 18 giugno 2021

Saluto a Gianpiero Boniperti, simbolo di un calcio che non c'è più

È stato uno dei grandi del calcio italiano. Tra pochi giorni avrebbe compiuto 93 anni. Bandiera della Juve dopo la guerra e per tutti gli anni '50, cominciò mentre dominava il Grande Torino. E per quella squadra leggendaria, poi tragicamente scomparsa, conservò sempre un rispetto ammirato. In particolare, per Valentino Mazzola. Che considerava il più forte di tutti i giocatori da lui visti. Fu centravanti agli esordi, Boniperti. Capocannoniere nella stagione 1947/48. Tanto per capirci, il 1948, è l'anno delle prime elezioni del Parlamento repubblicano, con il successo clamoroso della DC, del primo successo di Magni al Giro d'Italia, del quarto scudetto consecutivo del Torino, dell'attentato a Togliatti e del trionfo, il secondo a dieci anni di distanza, di Gino Bartali al Tour de France. Vittorio De Sica recita in Cuore e dirige Ladri di biciclette, che poi gli varrà il secondo Oscar. Totò è il campione del botteghino. L'Italia è poverissima e in piena ricostruzione. Boniperti, che compie 20 anni il luglio di quell'anno, è il prototipo del piemontese, serio, elegante, i capelli mai fuori posto: promette di diventare, data la precocità, un campione straordinario. La promessa sarà mantenuta soltanto in parte. Veloce, tecnico e dal tiro potente e preciso, soffre però le marcature strette e dure. Gli manca la furia agonistica, secondo Gianni Brera. Ma, Brera rimprovererà lo stesso difetto, più aspramente anche, a Mazzola e Rivera. Continuando a preferire Boniperti. Anche Brera prendeva degli abbagli. Dopo alcuni anni, da puntero, Boniperti decise di arretrare a centrocampo, propriamente per sottrarsi alle ruvidezze dei difensori del tempo, ma anche per assecondare la sua grande intelligenza calcistica. E vestì il ruolo di suggeritore per Charles e Sivori. Fino al ritiro, deciso in segreto e annunciato laconicamente nel 1961, a 33 anni. Con la nazionale, non vinse, anche perché incrociò la generazione meno ricca di talento della storia italiana nonché quella più penalizzata dal secondo conflitto mondiale. Ciò nonostante, aveva solida reputazione internazionale. Non come Di Stefano e Puskas, non come Schiaffino e Kubala. Non era di quel livello. Ma, di un alto livello, sì. Più avanti divenne presidente operativo della Juve, ripetendo, da dirigente, i successi ottenuti da calciatore. Riconosceva il talento con forte anticipo, avendone avuto tanto lui. La Juve di Trapattoni fu un'intuizione tutta sua. Leggendaria la sua abilità nelle trattative: i calciatori bianconeri firmavano in bianco. Le cifre le scriveva il presidente. Boniperti. 

lunedì 16 settembre 2019

Perché Bartali è stato più forte di Coppi

Va da sé che non li ho visti correre. Ma, nessun appassionato di ciclismo può fare a meno di confrontarsi con due miti fondativi dello sport più duro e letterario che ci sia: Gino Bartali e Fausto Coppi. In occasione del centenario della nascita di Coppi, ha perciò senso tornare a domandarsi chi dei due sia stato più forte. Ma, una premessa è tuttavia necessaria. Si tratta di un confronto asimmetrico, impossibile da dipanare senza riferimenti fisiologici anche solo approssimativi. Tra i due, troppi lo dimenticano e lo dimenticavano anche grandi cronisti dell'epoca, più coppiani che bartaliani, Brera su tutti, correvano cinque anni di differenza. Quando Bartali s'imponeva all'attenzione generale, nella seconda metà degli anni '30, Coppi era ancora un garzone di bottega. Bartali vinse il Giro nel 1936 e nel 1937, quando cercò, per primo, la grande impresa di accoppiare il Tour al Giro. E solo una caduta nella tappa Grenoble-Briancon lo costrinse al ritiro, mentre indossava la maglia gialla. Nel 1938, Bartali vinse finalmente il Tour. Quando Coppi passò professionista nel 1940 e vinse subito il Giro, correva nella squadra di Bartali, che gli diede via libera per un successo che altrimenti non sarebbe arrivato. Per capirci, fatte le debite proporzioni e mutatis mutandis, qualcosa di analogo sarebbe accaduto nel 2004, quando Cunego ebbe via libera, perché tutti marcavano il capitano Simoni. So bene che, poi, Coppi divenne il campionissimo e Cunego no. Ma, torniamo a Coppi e Bartali. La guerra fermò l'attività agonistica per cinque anni. Nel 1946, il Giro li vide contendersi il successo fino alla fine e Bartali, 32 anni, vinse, battendo Coppi, 27 anni anni, secondo. Accadde il contrario nel 1947, sempre sulle strade del Giro. Poi, Bartali stravinse il Giro della Svizzera rifilando oltre 40' a Coppi. La rivalità era già fortissima e impegnava schiere pazzesche di tifosi dell'uno e dell'altro. Ma, Bartali era ancora più forte. L'anno dopo, 1948, Magni vinse il Giro, e Bartali, 34 anni!, trionfò al Tour, dieci anni dopo il primo successo. Qualcosa di mai visto e mai più ripetuto. E veniamo alla fisiologia. Nella storia del ciclismo, con l'eccezione di Horner, vincitore quasi a 42 anni alla Vuelta del 2013, nessuno ha mai conquistato Giro, Tour o Vuelta dopo aver compiuto 35 anni. Nessuno. I 34 anni sono sempre stati la soglia fatidica ed insuperata, per il successo in una delle tre grandi corse a tappe. E non c'è alcun mistero. Invecchiando, aumentano i tempi recupero, fondamentali in una grande gara a tappe. Quando nel 1949 Coppi stravince Giro e Tour, e Bartali è secondo sia in Italia che in Francia, Coppi ha 30 anni, Bartali 35. Da lì in avanti, Coppi vincerà ancora due Giri, nel 1952 e nel 1953, e un Tour, nel 1952, Bartali lotterà, si piazzerà, vincerà ancora tappe e corse di un giorno, come la Sanremo nel 1950. Ma, non più un grande giro, perché, non tanto lo sostengo io, quanto lo dichiara la storia del ciclismo, non avrebbe fisiologicamente potuto. Non può essere un caso se, dopo 102 Giri d'Italia, 106 Tour de France e 74 Vuelta a España (282 grandi corse a tappe), tolto Horner, nessuno abbia vinto dopo i 34 anni. Tanto precisato, risultati alla mano, Bartali ha vinto più di Coppi, ha sofferto la pausa della guerra più di Coppi. Che, quando non poteva vincere, sfuggiva al confronto e si ritirava. Mentre Bartali lottava fino alla fine. La sua teoria di piazzamenti, da sommare alle magnifiche vittorie, è di rara eloquenza. La stampa del tempo, non solo quella sportiva, preferiva il laico Coppi, più a la page, del devoto Bartali. Magnificava, e con ragione, le vittorie straordinarie di Coppi, dal 1949 in poi, sempre trascurando che, a quel punto, Bartali il meglio l'aveva già dato. Sarebbe accaduto lo stesso a Coppi, dopo la vittoria del Giro nel 1953, guarda caso a 34 anni. Sicché, irripetibile la rivalità tra Coppi e Bartali, ma autentica solo fino al 1948, questo è il mio pensiero. Alla fine della fiera, credo che Bartali sia stato più forte. Il più grande grimpeur, con Gaul, nella storia del ciclismo. Il più agonisticamente longevo. Campione, ancora pionieristico, di un ciclismo già moderno. Anche una classifica a punti, opinabile come ogni classifica, individua Bartali come il più forte dei due. E, capiamoci, parliamo di due miti del ciclismo. 

mercoledì 12 ottobre 2016

Zenga è stato più forte di Buffon

Zenga è stato più forte di Buffon. Un tweet di questo tenore, che ho pubblicato ieri alla notizia dell'assegnazione a Buffon del Golden Foot ha scatenato una ridda di commenti, piccati e polemici, della grande famiglia del tifo bianconero. Nemmeno avessi disconosciuto il valore di Buffon, che resta altissimo. Eppure avevo già pubblicato, circa quattro anni fa, una classifica dei primi dieci portieri della storia, secondo il mio fallibile giudizio, anteponendo, fra gli altri, Zenga a Buffon. Alcuni, sempre ieri, nella foga tuittarola, hanno tirato fuori, sai la fantasia!, la pretesa papera di Zenga ad Italia '90, che non ci fu. Brera, sulla Repubblica, il giorno dopo, a Zenga diede sei in pagella, scrivendo che non aveva potuto anticipare Caniggia. Fu quello che accadde. E pure questo l'ho scritto in un post. Ad ogni modo, tanto per essere chiaro, ribadisco: Zenga è stato più forte di Buffon. Migliore, nettamente migliore tra i pali, dove letteralmente volava, come un deltaplano scriveva sempre Brera, nelle uscite basse ed anche nella personalità. Ha avuto peggior stampa di Buffon. Questo sì. E Sacchi, che, per ragioni metacalcistiche, l'ha escluso dalla nazionale a 32 anni. Ma, insomma, piaccia o meno ai lodatori del tempo presente, Zenga è stato più forte di Buffon. Ed in nazionale ha una media gol di 0,36 a partita contro quella, non esaltante di 0,84 a partita di Buffon.

venerdì 19 febbraio 2016

Storia delle Olimpiadi (#Olimpiadi): Londra 1948 (12^ puntata)

Dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale, dopo dodici anni da Berlino '36 e due edizioni capitate, e perciò saltate, nel mezzo del conflitto più spaventoso della storia del genere umano, le Olimpiadi tornano a Londra nel 1948. Per la seconda volta, dopo quelle del 1908 e 64 anni primia delle terze, e per ora ultime nella capitale britannica, del 2012. Nel medagliere prevalgono, come nella guerra da poco terminata, gli Stati Uniti, davanti ad una sorprendente Svezia ed alla Francia. L'Italia è quinta ed assomma, alla fine, otto ori, undici argenti ed otto bronzi . Nell'atletica leggera, arriva, nel lancio del disco, l'annunciato oro, con tanto di record olimpico,  di Adolfo Consolini, un colosso di 1,83 m per 100 kg, cui dedicherà splendide pagine un giovane inviato della Gazzetta dello Sport, Gianni Brera, seguito sul podio da un altro italiano, Giuseppe Tosi. Si rinnova, poi, la tradizione della staffetta 4x100, con un bronzo. Due sono le stelle della manifestazione: la velocista olandese, già mamma, Fanny Blankers - Koen, che si aggiudica ben quattro medaglie d'oro, tra 100, 200, 80 m ad ostacoli e staffetta 4x100, ed il cecoslovacco Emil Zatopek, che inizia un lungo dominio nel mezzofondo, vincendo l'oro nei 5.000 e nei 10.000 m. Zatopek, in particolare, sovverte le regole della corsa ed indigna i puristi, con la sua andatura sgraziata, la testa ciondolante, il volto continuamente straziato da smorfie di dolore. Ha uno stile pessimo, che tuttavia risulta estremamente redditizio, al punto da sfiancare tutta la concorrenza, a cominciare da quella degli atleti finlandesi. (cfr. 1^ puntata2^ puntata3^ puntata4^ puntata5^ puntata,  6^ puntata7^ puntata8^ puntata9^ puntata10^ puntata, 11^ puntata)

martedì 20 gennaio 2015

Beccalossi e la nazionale

Gianni Brera, con qualche indulgenza all'iperbole, sosteneva che Roberto Baggio a stento reggeva il confronto con il miglior Beccalossi. E forse esagerava. Vero è però che, a cavallo del 1980, Evaristo Beccalossi era il miglior 10 italiano. Mancino, estroso, amante dei ritmi blandi, barocco nel dribbling, ma chirurgico negli assist, spiazzante. Nessuna presenza in nazionale, però. Sebbene idolo nerazzurro, alter ego di Altobelli, vincitore di trofei. Bearzot non lo volle. Mai. Nemmeno una presenza di testimonianza come quella che Messina regalò a Mario Boni, altro sport, stessa storia. Perché? Spiegazione tecnica, tattica, caratteriale? Impuntatura, piuttosto, direi. Messina, anni dopo, ha dichiarato che a Boni avrebbe voluto dare più spazio. Bearzot ha, invece, sempre difeso la sua scelta di escludere il talento bizzoso di Beccalossi. Un'impuntatura più forte, direi.