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venerdì 16 febbraio 2024

Classifica dei migliori marcatori italiani in tutte le competizioni

Propongo una classifica aggiornata dei migliori marcatori (cannonieri) italiani in tutte le competizioni professionistiche. Non conteggio i gol segnati nella Nasl americana, perché si applicavano regole non approvate dalla Fifa. Così si spiega l'assenza di Chinaglia.

  1. Piola 364 gol
  2. Del Piero 346 gol
  3. Meazza 338 gol
  4. Toni 322 gol
  5. Totti 322 gol
  6. R. Baggio 318 gol
  7. Inzaghi 316 gol
  8. Di Natale 311 gol
  9. Immobile 310 gol
  10. Altobelli 298 gol
  11. Vialli 286 gol
  12. Signori 285 gol
  13. Di Vaio 272 gol
  14. Boninsegna 269 gol
  15. A. Schiavio 264 gol
  16. C. Vieri 261 gol
  17. Gilardino 260 gol
  18. A. Boffi 251 gol
  19. Riva 248 gol
  20. Protti 248 gol
  21. Boffi 248 gol
  22. Cevenini III 244 gol
  23. Quagliarella 244 gol
  24. Zola 238 gol
  25. Hubner 238 gol
  26. Gabetto 236 gol
  27. Savoldi 235 gol
  28. C. Lucarelli 229 gol
  29. Montella 228 gol
  30. A. Caracciolo 225 gol
  31. E. Chiesa 223 gol
  32. Bettega 222 gol
  33. Miccoli 222 gol
  34. R. Mancini 217 gol
  35. Reguzzoni 212 gol
  36. Prati 209 gol
  37. A. Amadei 207 gol
  38. Pruzzo 206 gol
  39. Anastasi 206 gol
  40. Graziani 205 gol
  41. Balotelli 205 gol
  42. Rocchi 202 gol
  43. P. Prati 200 gol
  44. Pazzini 200 gol
  45. Pulici 199 gol
  46. Boniperti 198 gol
  47. Insigne 196 gol
  48. Rivera 190 gol
  49. S. Mazzola 187 gol
  50. A. Bassetto 187 gol
  51. Giordano 180 gol
  52. Brighenti 178 gol
  53. Belotti 175 gol
  54. Pellissier 175 gol
  55. F. Borel 171 gol
  56. B. Lorenzi 171 gol
  57. P. Rossi 159 gol

mercoledì 13 dicembre 2023

Storia del calcio: più forti ieri o più forti oggi?

C'è un dogma nel racconto contemporaneo del calcio. Un dogma che pare impossibile discutere e che, tuttavia, costituisce una vistosa forzatura della storia. Oggi, i calciatori sono migliori di ieri, corrono di più, giocano più velocemente, sono più forti fisicamente. Il calcio di oggi è migliore e più difficile di quello di ieri. Il dogma è questo. Proviamo a smontarlo.

  1. Prendiamo un calciatore del passato, Meazza, per esempio. O Valentino Mazzola. O Alfredo Di Stefano. O Puskas. Stelle che hanno brillato tra gli anni '30 e gli anni '50, primi anni '60 al massimo. Prendiamo questi calciatori e proviamo trasportarli di peso nell'epoca attuale. Davvero pensate che Meazza non riuscirebbe a dribblare avversari su avversari e a segnare valanghe di reti come faceva a suo tempo? Io credo che ne segnerebbe di più, grazie alla sua tecnica, al suo estro appreso per strada con un pallone di stracci. Tanto più che oggi la regola del fuorigioco è meno severa per gli attaccanti e i portieri non possono ricevere il pallone tra le braccia su retropassaggio e le scorrettezze sull'ultimo uomo con chiara occasione da rete valgono un'espulsione, come può implicarla il gioco violento, di cui Meazza era sempre vittima. Puskas, che tirava bolidi mancini con un pallone di cuoio, quali sfracelli farebbe con i palloni attuali? Si obietterebbe: ma Meazza e Puskas o Di Stefano non erano altrettanto preparati atleticamente. Premesso che Di Stefano era  anche un corridore infaticabile, come Valentino Mazzola, si metterebbero al passo nello spazio di un ritiro. Anche la storia della statura è una mezza leggenda. Meazza, che fu anche mezzala oltre che centravanti, era alto 1,69 m e segnava meravigliosi gol di testa grazie a stacco, scelta di tempo e precisione. Aguero, nato 78 anni dopo di lui, alto 1,72 m, era ugualmente efficace di testa, pur contro difensori vicini al metro e novanta. Statura o non statura.
  2. Prendiamo calciatori dell'epoca nostra, degli ultimi 20 anni. Pippo Inzaghi, ad esempio. Grande goleador. Ecco, Inzaghi, con le regole del fuorigioco dell'epoca di Meazza e degli altri succitati, quanti gol avrebbe segnato in meno? Lui che ha passato una carriera in linea con l'ultimo difensore, portiere escluso? Ai tempi, sarebbe stato sistematicamente in fuorigioco. E con il poco dribbling che aveva raramente avrebbe trovato il tiro. Messi, il celebratissimo Messi, se picchiato come Maradona, quante partite avrebbe terminato?
  3. Anche la vicenda dei gol, del loro numero, andrebbe studiata meglio. Un tempo, fino a una trentina d'anni fa, ogni tiro deviato era un autogol. Con quella regola, le statistiche realizzative di celebrati goleador contemporanei verrebbero drasticamente ridimensionate.
  4. Quanti calciatori contemporanei sarebbero in grado di rigiocare una partita di un mondiale il giorno dopo, come fece Meazza contro la Spagna nel 1934? Quanti calciatori di oggi saprebbero restare in campo da infortunati come accadeva fino al 1968, quando sostituzioni non erano possibili?
Avrei potuto e potrei continuare con tanti altri esempi, ma mi fermo, perché il concetto è chiaro. I confronti tra epoche diverse non sono impossibili, ma complessi. E andrebbero proposti in modo analitico, tenendo conto di tutti i fattori possibili, con le dovute tare. Altrimenti è chicchiericcio da bar. Ogni epoca ha avuto le sue difficoltà e i suoi campioni. Sostenere che oggi sia tutto più difficile di ieri e che i calciatori di oggi siano più forti di quelli di ieri è semplicemente una sciocchezza. Come lo sarebbe sostenere il contrario. Si dovrebbe, con tutte le difficoltà, giudicare sempre da caso a caso.

mercoledì 22 febbraio 2023

Inter-Porto 1-0: Lukaku!

Andata degli ottavi di finale di Champions League 2022/23: l'Inter ospita il Porto al Meazza. I lusitani sono organizzati e spigolosi e l'Inter fatica ad imporre il proprio gioco. Occasioni da rete ci sono, con Lautaro e Dzeko, Calhanoglu e Bastoni, ma sfumano. Anche il Porto si rende pericoloso e Onana para quel che deve. Nella ripresa dentro Lukaku per Dzeko, Brozovic per Mkhitaryan e Gosens per Dimarco. Espulso Otavio per doppia ammonizione, l'Inter chiude il Porto nella propria area. Fino al gol di Lukaku, che prima prende il palo su cross di Barella, poi ribadisce in rete di sinistro. Gol liberatorio: per lui, finora deludente, e per l'Inter. Al ritorno, sarà dura. Ma la qualificazione è possibile.

giovedì 3 febbraio 2022

Il calcio degli anni '40: da Valentino Mazzola a Pedernera

La decade meno ricordata nella storia del calcio del secolo scorso è quella che va dal 1940 al 1949. Per tante ragioni, a cominciare dalla Seconda Guerra Mondiale, sì, scritta con le maiuscole, che funestò il primo lustro di quell'epoca: era iniziata nel 1939. Tanto che non si disputarono i mondiali del 1942, mentre infuriava il conflitto, e neppure quelli del 1946, quando la ricostruzione era appena cominciata e l'Italia era dopo poco, e tra mille polemiche, divenuta una Repubblica. 

E fu una sfortuna che a grandi, grandissimi giocatori fu sottratta la possibilità di mostrare il loro talento in una competizione planetaria.

Tre squadre si distinsero in mezzo a tutte le altre: il River Plate, il Torino, la Honved. L'Argentina, come tutto il Sud America, ebbe la fortuna di rimanere fuori dal conflitto. A Buenos Aires, fiorì una generazione irripetibile di fuoriclasse, tutti accasati al River Plate. Quella squadra strappava applausi a scena aperta e mostrava automatismi di gioco così collaudati, da sembrare una macchina, una maquina. Il favoloso centravanti Pedernera, che molti considerarono a lungo il miglior giocatore di sempre - la pensava a questo modo anche Di Stefano, che gli avrebbe tolto il posto di titolare al River nel 1946 -, Labruna, Loustau, Moreno e Munoz erano i cinque dell'attacco formidabile di quella squadra irripetibile.

Adolfo Pedernera


Nello stesso torno di tempo, il presidente del Torino Ferruccio Novo, era il 1942, ingaggiava dal Venezia una promettente coppia di mezzali, Valentino Mazzola e Loik, che avrebbero costituito l'ossatura del Grande Torino, una squadra che smise di vincere, dopo cinque campionati consecutivi, con la pausa da guerra tra il 1943 e il 1945, solo per il tragico schianto di Superga, di ritorno da una trasferta in Portogallo. Il Grande Torino fu, in Italia e in Europa, quello che il River Plate rappresentò in Argentina e in Sud America. Valentino Mazzola, capitano eccelso, uomo ovunque sul campo, antesignano di Di Stefano e di Cruijff, e insuperato trascinatore, fu l'antagonista di Pedernera per il titolo di migliore del suo tempo. La fine tragica di quel Toro il 4 maggio del 1949 consegnò la squadra alla leggenda.

Il Grande Torino


Subito dopo la guerra, in Ungheria, a Budapest, mentre gli artigli dell'URSS avvinghiavano la vita politica magiara, si affermava la Honved, dell'ala Puskas, un mancino dal tiro potentissimo e dal tocco felpato, dalla progressione irresistibile e dal gol facilissimo, asso tra gli assi. Attorno a lui, fioriva una squadra magnifica, che si sarebbe trasferita di peso nella nazionale ungherese, capace di stupire il mondo nei primi anni '50.

Il campionato italiano, sospeso nella sua espressione nazionale tra il '43 e il 45', fu vinto dall'Inter orfana di Meazza nel 1940, dal Bologna nel 1941, dalla Roma di Amadeo Amadei - primo titolo assoluto - nel 1942, poi dal Torino (1943, 1946, 1947, 1948, 1949).

Nel 1948 lasciò la guida tecnica della nazionale italiana Vittorio Pozzo, che aveva guidato gli azzurri alla vittoria dei mondiali del 1934 e del 1938 nonché delle Olimpiadi di Berlino del 1936. Fatali gli furono le sconfitte contro l'Inghilterra (4-0 a Torino) di Mortensen, autore di un gol sopravvalutato e Stanley Matthews, e contro la Danimarca (5-3 alle Olimpiadi di Londra, in agosto) del poderoso centravanti Praest, che un anno dopo sarebbe approdato alla Juve. Quelle Olimpiadi, le avrebbe poi vinte la Svezia di Gren, Liedholm e Nordahl, autore di tre gol in finale contro la Jugoslavia. Tutti e tre sarebbero approdati in serie A, al Milan. 

Si chiudeva, invece, per gli azzurri, un'era ricca di successi e se ne preparava un'altra, avarissima di soddisfazioni. La ricordata scomparsa degli assi del Grande Torino l'anno dopo si sarebbe combinata con le difficoltà di una generazione, nata a cavallo degli anni '30, fortemente penalizzata dalle ristrettezze, persino alimentari, degli anni di guerra. Negli anni '50, in serie A, con poche eccezioni, avrebbero furoreggiato gli assi stranieri, specialmente nordeuropei, e nessun successo internazionale avrebbe arriso alla nazionale italiana addirittura sino al 1968.



lunedì 29 novembre 2021

Il calcio degli anni '30: da Meazza a Sindelar, da Dixie Dean a Sarosi

Fu negli anni '30 che il calcio divenne un fenomeno globale. Fu allora che i suoi campioni irruppero nell'immaginario collettivo e divennero protagonisti di racconti e di leggende, ambasciatori della pubblicità, che si diceva reclame e professionisti, sebbene non dappertutto. Fu allora che il football cominciò a misurare lo stato di salute di tutto un movimento sportivo. Non dappertutto, non ancora come oggi, ma in gran parte dell'Europa sì. Nel Sud America anche. 

Non per caso, nel 1930, in Uruguay, si tennero i primi storici campionati del mondo. Vinsero i padroni di casa del leggendario mediano Andrade, uno che attraversava il campo con la palla incollata sulla testa, e del prestigiatore Hector Scarone, che poi sarebbe venuto anche in Italia. Seconda l'Argentina, terzi, sì, gli Stati Uniti, quarta la Jugoslavia. La trasferta andava sostenuta in piroscafo e tante nazioni europee, Italia compresa, disertarono. La grande avventura era però cominciata.

Josè Leandro Andrade


Gli inglesi ai mondiali non sarebbero andati, non solo nel 1930, ma anche nel 1934 e nel 1938, convinti di una superiorità già inattuale. Avevano, gli inglesi, grazie a Sir Chapman, tecnico dell'Arsenal, iniziato a praticare il Sistema, mentre le due nazionali più forti del continente, l'Italia di Pozzo e l'Austria di Hugo Meisl, optavano per il Metodo. In avanti cambiava niente. Due mezzali e un centravanti tra due ali. Dietro, invece, nel Sistema si giocava con un 3-2, nel Metodo con un 2-3 ed il centromediano, detto appunto metodista, che si sdoppiava nella doppia incombenza di marcare il centravanti avversario e dirigere il gioco dal basso. Sommo interprete del ruolo fu l'argentino, naturalizzato italiano, Luisito Monti, un armadio dal fisico brevilineo e compatto, fondamentale nella vittoria italiana ai mondiali di casa del 1934. 

Italia campione del mondo nel 1934


La stella di quella nazionale, che avrebbe poi rivinto i mondiali in Francia nel 1938 era Giuseppe Meazza. Il massimo giocatore del decennio, paragonabile a Pedernera e Valentino Mazzola negli anni '40, a Di Stefano negli anni '50, a Pelé negli anni '60, a Cruijff negli anni '70, a Maradona negli anni '80, Ronaldo da Lima negli anni '90. Prima centravanti imprendibile, poi mezzala sublime. Dribbling inesorabile, perentorio stacco di testa, leggerezza acrobatica, visione di gioco anche periferica, inventore dei passaggi filtranti.

Giuseppe Meazza


E divo da copertina. Rivali di fama, ma non di altrettanto talento, furono il centravanti austriaco Sindelar, detto cartavelina per l'esilità del tronco, antesignano dell'attaccante di regia, il bomber ungherese Sarosi, il monumentale portiere spagnolo Zamora, mago del piazzamento e onusto di carisma come poi solo Jascin e, in parte, Zoff. Oltremanica, furoreggiava il centravanti Dixie Dean, uno che dominava il gioco aereo, capitalizzando i mille cross che caratterizzavano il gioco inglese.

Ricardo Zamora



In Italia, con la stagione 1929/30, aveva esordito il massimo campionato a girone unico. Vinse l'Ambrosiana, poi Ambrosiana-Inter, insomma l'Inter, del capocannoniere Meazza. Seguirono cinque scudetti consecutivi della Juve di Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della Fiat. Prima squadra italiana a divenire proverbiale: vi giocavano il detto Monti e il fantasista, pure lui oriundo, Mumo Orsi, mancino di rara classe e poi Combi, portiere azzurro, cui seguivano Rosetta e Calligaris, primo terzetto da filastrocca calcistica. Tre scudetti andarono al Bologna di Schiavio, doppietta per lui nella vittoriosa finale mondiale del 1934 contro la Cecoslovacchia. 

La nazionale di Pozzo, si diceva, vinse due mondiali consecutivi, nel 1934 e nel 1938. E nel mezzo anche le Olimpiadi di Berlino del 1936. Ma, c'erano stati anche due successi nella Coppa Internazionale, progenitrice dei campionati europei. Ai mondiali di Parigi, nel 1938, in finale gli azzurri sconfissero l'Ungheria, altra grande rappresentante del cosiddetto calcio danubiano. Capocanniere tra gli italiani fu il grande centravanti della Lazio, Silvio Piola.

Italia campione del mondo nel 1938

Capocannoniere assoluto, con 7 reti, l'asso brasiliano Leonidas, dalla falcata possente ed elegante, virtuoso della rovesciata, il primo grande fuoriclasse verdeoro dopo il mitico Friedenreich.

Leonidas


Fu negli anni '30 che il calcio uscì dalla dimensione pionieristica per farsi fenomeno di massa e fu la Radio a favorirne la popolarità. Le riprese televisive erano cominciate, ma non conserviamo una sola partita intera dell'epoca. Per questa ragione, i campionissimi del tempo sono spesso dimenticati nelle graduatorie dei massimi giocatori di sempre. 

martedì 19 ottobre 2021

Inter-Sheriff: 3-1. De Vrij!

Al Meazza, ore 21:00, l'Inter sfida la sorpresa e capolista provvisoria del girone D della Champions League 2021/22, lo Sheriff. I nerazzurri, per conservare speranze di qualificazione agli ottavi, hanno bisogno assoluto di vincere.

La cronaca.

Inter con Vidal e Dimarco dal primo minuto. Tiene il timone della gara e trova il vantaggio con una bella volée mancina di Dzeko su spizzata di Vidal. Nella ripresa pareggia subito lo Sheriff con bella punizione di Thill. Entra Bastoni per Dimarco. L'Inter si ributta in avanti. Ha due occasioni, con Perisic e Dumfries, fino al gol di Vidal. Più avanti giocata tutta olandese dopo angolo di Perisic: sponda di testa di Dumfries, fino ad allora molto impreciso, e tiro al volo di De Vrij. È il terzo gol nerazzurro. Escono Vidal, decisivo, e Dzeko, bravo, per Gagliardini e Sanchez. Vittoria meritata, che avrebbe potuto assumere anche dimensioni più cospicue. Partita notevolissima di Perisic. Instancabile dominatore della fascia mancina. Detto questo, l'Inter forza troppe giocate. Sarebbe meglio, ogni tanto, qualche passaggio di alleggerimento in più. Concede, ora come ora, tante facili ripartenze. E Dumfries e Skriniar sono spesso troppo avanti. Inzaghi deve lavorarci. 


martedì 22 giugno 2021

Italia-Austria, nel ricordo di Pozzo e Meisl

Le sfide recenti, nelle grandi competizioni, le ha vinte tutte l'Italia. Ma, c'è stato un tempo, tra la fine degli anni '20 e i primi anni '30, in cui l'Austria calcistica era avanguardia europea e la sua nazionale era il  Wunderteam. L'Italia di Vittorio Pozzo e l'Austria di Hugo Meisl si affrontavano in sfide appassionanti e mai scontate di Coppa Internazionale, l'antenata dei campionati europei. E si schieravano secondo il Metodo, con due terzini, tre mediani, di cui quello di mezzo, il centromediano metodista marcava il centravanti avversario e dirigeva il gioco dalle retrovie, due mezzali e tre attaccanti in linea, vale a dire un centravanti affiancato da due ali. Gli inglesi, da qualche anno, giocavano invece con il Sistema: i difensori erano tre, con il centromediano arretrato sulla linea dei terzini e c'era un quadrilatero a centrocampo. Con il tempo, Meisl fece qualche concessione al sistema, limitando i lunghi rilanci del centromediano e puntando su un sistematico possesso del pallone e una fitta trama di passaggi. Pozzo, invece, rimase ancora ad una concezione di gioco tatticamente più prudente e atleticamente meno dispendiosa. E conquistò, con l'Italia i mondiali del 1934 e del 1938. Nel mezzo, le Olimpiadi di Berlino del 1936. Nell'Italia brillava la stella di Giuseppe Meazza, nell'Austria quella di Matthias Sindelar. Tutto finì nel maggio del 1938, quando la Germania nazista occupò l'Austria: l'Anschluss.


domenica 23 maggio 2021

Inter-Udinese 5-1: 91 punti in A!

Larga vittoria dell'Inter contro l'Udinese per celebrare, al Meazza, la conquista del diciannovesimo scudetto e toccare quota 91 punti in Serie A. Segnano Young, Eriksen, subentrato a Sensi, su punizione, poi, nella ripresa, Lautaro su rigore, Perisic e Lukaku, subentrato a Pinamonti. Per i friulani, accorcia Pereyra dal dischetto. 

martedì 30 marzo 2021

Storia dei Campionati Europei di calcio: 1.

Il fascino dei Mondiali è tutt'altro. Più storia, più competizione, più talento, soprattutto quello sudamericano. Tuttavia, i Campionati Europei di calcio hanno ormai 61 anni e tanto da raccontare. Nacquero per sostituire la Coppa Internazionale, che, alla fine degli anni '20, aveva opposto le migliori squadre nazionali dell'Europa centrale, il che voleva dire le migliori nazionali europee tout court, con l'eccezione degli inglesi che, credo a torto, si ritenevano superiori a tutti gli altri e disertavano anche i Mondiali. E il primo successo (edizione 1927-30), aveva arriso proprio all'Italia di Vittorio Pozzo, illuminata, nelle ultime partite della competizione, dal genio irripetibile di Giuseppe Meazza. L'Italia rivinse nel 1935, mentre nel 1933 si era imposta l'Austria, il Wunderteam allenato da Hugo Meisl e guidato dal centravanti esile Sindelar. Sindelar, con il detto Meazza e l'ungherese Sarosi fu per un decennio il faro del calcio europeo e, allora, mondiale. Dopo la Seconda Guerra, la Coppa Internazionale tornò, registrando il successo dell'Ungheria favolosa di Puskas, nel 1953, e della Cecoslovacchia, proprio nel 1960. Altre nazioni, però, come Francia e Spagna, si facevano strada, mentre Austria e la stessa Ungheria, privata dei suoi migliori fuoriclasse ripiegati all'estero dopo l'invasione dei carri armati sovietici del 1956, si avviano ad entrare in un cono d'ombra.

 

martedì 23 marzo 2021

Il calcio di strada: la ricchezza svanita

C'era una volta il calcio di strada, il calcio da strada. Era una necessità, essendo il campo da calcio, per molti, un sogno, una chimera, un'opportunità per pochi. Ora, intendiamoci, non dico che i campetti in erba sintetica, dove vengono allevate le nuove generazioni di futuri calciatori, siano da disprezzare. Non dico questo. Tuttavia, la rarefazione del calcio di strada ha determinato la caduta verticale non soltanto della qualità tecnica, ma anche dell'estro, dell'inventiva, insomma di tutte quelle risorse cui le difficoltà e gli ostacoli costringono ad attingere. 

Giocare sulla terra battuta, in mezzo all'erba alta, sulla spiaggia o sull'asfalto, interrotto, qua e là, da buche e bucherelle, beh, era un esercizio continuo all'imprevisto, una sollecitazione ripetuta alla destrezza, un invito costante alla ricerca e al mantenimento dell'equilibrio. Non cadere, non farsi male, non strapparsi la tuta, era l'imperativo morale che guidava i giovani calciatori fino ad una trentina d'anni fa. E, allora, non deve stupire che, proprio dalla strada, in mezzo a quelle difficoltà quasi dickensiane, siano germogliati i maggiori talenti del calcio italiano e non solo. Quelli che, obbligati ad usare un muretto per chiudere un triangolo, quelli che, riusciti ad addomesticare non dico un Tango o un SuperSantos, ma persino un SuperTele, trovavano poi facile, se non banale, calciare un pallone regolamentare, molto più docile. 

Meazza veniva dalla strada, come Valentino Mazzola. E dopo, i Rivera, i Mazzola, i Riva, al più vennero dall'oratorio, dalla terra battuta o dal cemento. Fu lì che impararono a schivare i colpi, ad anticiparli. Lì appresero il colpo d'occhio, la divinazione delle traiettorie. Ancora gli ultimi talenti più puri del calcio italiano è su campetti improvvisati, lontanissimi da quelli odierni, che avviarono il loro apprendistato calcistico. Mancini e Roberto Baggio, Zola e Del Piero, Totti e Cassano. Non uno di loro ha iniziato diversamente. Imparando a stare in piedi senza la consolazione di un atterraggio sull'erba sintetica. Questo manca oggi al calcio italiano. Questa gavetta. Poi, sì, ad un certo punto, si rendono necessarie anche le strutture, i completini e le mantelline. Sì, ma più avanti nel tempo. 

Cosa se ne può concludere? Nulla. La mia è una mera costatazione. La nostra povertà d'un tempo - anche solo quella di campi e strutture e scuole calcio - era, per una di quelle contraddizioni della vita che oggi faticheremmo ad ammettere, la nostra ricchezza. Era il nostro romanzo di formazione. L'avversario da affrontare e vincere, l'Uriah Heep che guardava male David Copperfield. Oggi, tutto questo non c'è più. C'è tutto il resto. L'organizzazione, non dappertutto, ma da tante parti sì, la tattica, le diagonali, il fuorigioco. Da subito. Come in Olanda, come in Svezia. Soltanto che il calcio - molti l'hanno dimenticato - prima di essere uno sport, è un gioco. O un giuoco, come si diceva.


giovedì 25 febbraio 2021

Storia dell'Inter: 6^. Lo scudetto del 1940, la guerra, la presidenza Masseroni

All'inizio della stagione 1939/40, Giuseppe Meazza, icona, simbolo, asso e trascinatore dell'Inter ha un problema. Di circolazione al piede sinistro. Si parla di sindrome da piede congelato. Vengono consultati i migliori specialisti del tempo. Possibile che debba finire, così, improvvisamente e inspiegabilmente, la carriera del capitano dell'Inter (Ambrosiana-Inter ancora) e della nazionale italiana? Fatto sta che Meazza non può giocare e, nessuno l'avrebbe detto, i nerazzurri non ne risentono, arrivando a conquistare il quinto scudetto della propria storia, il secondo con Pozzani presidente. Fari della squadra sono l'ala destra Annibale Frossi e la mezzala sinistra Attilio Demaria, autore di 12 gol. La rivelazione è il giovane centravanti, classe 1919, Umberto Guarnieri. L'Inter vince lo scudetto con 44 punti, tre più del Bologna, secondo, otto più della Juve, terza.  Questo del 1939-40 sarà, per un lustro, l'ultimo campionato di pace. L'Europa è già in guerra e l'Italia, sebbene vincolata dal Patto d'Acciaio con la Germania nazista, si dichiara non belligerante.  Formula politica più ipocrita che astuta, che reggerà fino al 10 giugno del 1940. Quando ci sarà la sciagurata dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra, annunciata da Mussolini a Palazzo Venezia. Nella stagione successiva, 1940-41, l'Inter è seconda dietro al Bologna, per terminare invece addirittura dodicesima nel 1941-42, quando la Roma conquista il suo primo storico scudetto. Il nuovo presidente dell'Inter è Carlo Masseroni Nella stagione 1942-43, c'è il primo dei cinque scudetti consecutivi del Torino e l'Inter è quarta. Il girone unico si sospende per due anni, mentre la guerra infuria e l'Italia è occupata. Alla ripresa, a dominare c'è sempre il Torino di Loik e Valentino Mazzola. L'Inter vive un periodo di crisi e ottiene due decimi posti consecutivi. In particolare nel 1947, si salva con difficoltà. Il grande Meazza, dopo aver vestito, cosa di cui poi si pentirà, anche le maglie di Milan e Juve, torna per il passo d'addio da capitano-giocatore, regalando le ultime magie ai suoi appassionati tifosi. Meazza resta sulla panchina per la stagione successiva. Ma, la squadra non gira. Esordisce il giovane centravanti toscano, scattante e scattoso, Benito Lorenzi, che diverrà una bandiera nerazzurra. Per il resto, Meazza viene sostituito da Carcano e Carcano da Astley: c'è un amaro dodicesimo posto finale.

Benito Lorenzi

Masseroni ha ben altre ambizioni e prova l'assalto al capitano granata Valentino Mazzola, il miglior giocatore del mondo dell'epoca. Più del declinante Pedernera. E più degli emergenti Di Stefano e Puskas. Ma non riesce a portarlo a Milano. Dove arrivano il mediano Bearzot, poi CT della nazionale campione del mondo di Spagna 1982, Amadei dalla Roma, l'ala destra Gino Armano, ma soprattutto un fuoriclasse apolide, Istvan Nyers.

Istvan Nyers

Ala sinistra, dalla progressione irresistibile e dal tiro tremendo. Nyers sarà capocannoniere della serie A 1948-49 con 26 gol e l'Inter seconda dietro il Grande Torino, che perirà tragicamente a Superga il 4 maggio del 1949. (cfr. 1^ puntata2^ puntata3^ puntata4^ puntata, 5^ puntata)

giovedì 4 febbraio 2021

La leggenda di Alex James, capitano dell'Arsenal di Chapman

La storia della nascita del Sistema è abbastanza nota. Nel 1925, erano cambiate le regole sul fuorigioco, per favorire gli attaccanti e i gol, di cui gli spettatori erano sempre più avidi. E da allora, per essere in gioco, bastò ricevere il pallone avendo davanti sé due soli avversari (uno era il portiere, quasi sempre) e non più tre. La nuova regola funzionò, si cominciò a segnare di più, crebbe l'impatto spettacolare delle partite. Allora, però - dacché ogni medaglia ha il suo rovescio - si trattava di garantire meglio le difese, più esposte alle offensive avversarie. Fu così che Chapman, divenuto allenatore di un Arsenal poco vincente, decise di rinunciare alla Piramide di Cambridge, un velleitario 2-3-5, arretrando il centromediano sulla linea dei difensori. Nacque il WM: un 3-2-2-3, che consentiva una migliore copertura del campo e una più adeguata protezione del portiere.

Il Sistema di Chapman

A centrocampo - l'idea di un centrocampo nacque allora - due mediani e due mezzali. Una delle quali, nell'idea di gioco di Chapman, avrebbe dovuto comandare e ispirare tutto il gioco offensivo. Un giocatore dalle qualità tecniche superiori. Un regista d'attacco, un inside forward, che Chapman scoprì nel tarchiato scozzese Alex James, che tutto sembrava tranne che uno sportivo. Alto 1,65 m, nemmeno poco, visto che era nato nel 1901, ma certo non molto, freddoloso e afflitto da persistenti dolori reumatici, James aveva un passato da centravanti. Centravanti non goleador. Arretrò in cabina di regia, come qualche anno dopo avrebbe fatto Meazza in nazionale. Solo che Meazza era stato - e rimase con l'Inter - anche formidabile centravanti. James, invece, assurse alla gloria sportiva propriamente nel nuovo ruolo di mezzala, dentro il nuovo schema di Chapman, alla guida del nuovo Arsenal, di cui divenne capitano e numero 10: sì, dal 1928 proprio sulle spalle dei Gunners apparvero i primi numeri di maglia. Arrivarono scudetti in serie. E l'Arsenal fu, per quel tempo, quello che dopo sarebbero stati il Wunderteam di Meisl, l'Italia di Pozzo, il Grande Torino del tremendismo granata, la Grande Ungheria di Puskas, il Brasile dei cinque 10 del 1970, l'Ajax di Cruijff, il Barca di Guardiola: una squadra simbolo, uno spartiacque calcistico. Alex James - un Gascoigne ante litteram -, con i suoi dribbling stretti, i passaggi negli spazi vuoti, altra novità impensata, che l'accomunava al più giovane Meazza, un modo consapevole di stare in campo, fu il trascinatore tecnico di quell'Arsenal e del Sistema, che praticava. Un modo di giocare che avrebbe dominato per oltre vent'anni. Il Grande Torino vinse cinque scudetti consecutivi, negli anni '40, con il Sistema. Mentre le altre squadre italiane, per lo più, restavano invece fedeli al Metodo, che aveva garantito all'Italia di Pozzo i due titoli mondiali del 1934 e del 1938.

martedì 17 novembre 2020

Le casse vuote del calcio italiano: finiti i soldi

Oggi il Corriere della Sera dedica una pagina, con un sapido commento di Mario Sconcerti, alle casse vuote e dolenti del calcio italiano. Ma, potrebbe dirsi anche del calcio internazionale. La pandemia da Covid ha impoverito questo come altri settori dell'economia e la ripresa appare remota. Dobbiamo però dire, sarebbe ora, che gli ingaggi dei calciatori, squilibrati rispetto ad uno stipendio medio sin dalla fine degli anni '20 del secolo scorso, sono cresciuti in termini esponenziali, sconfinando nell'assurdo. Sì perché 40 milioni, o giu di lì, a Messi e Neymar, 30, 31, quel che sono, a Cristiano Ronaldo, corrispondono al fatturato di molte grandi aziende, con centinaia di dipendenti. Ed invece sono i compensi netti di singoli calciatori che, per quanto forti, le partite non le giocano né le vincono da soli. A fronte d'incassi ormai assottigliati fino all'osso: stadi chiusi e diritti televisivi discussi o da rinegoziare. Allora diciamolo con chiarezza: quella del calcio è una bolla come quella dei titoli tecnologici che esplose al principio degli anni 2000. 

Un poco di storia potrebbe venirci in soccorso, per comprendere le dimensioni di un fenomeno, quello dell'esplosione dei costi del sistema calcio, che è grave ma per niente serio. Negli anni '30, il calcio è già professionistico da parecchie parti, si giocano i Mondiali e la Coppa Europa, i calciatori irrompono tra i nuovi ricchi. Prendiamo a riferimento il 1936: un bracciante non va oltre le 200 lire al mese, un operaio guadagna poco di più, un dirigente d'azienda si attesta attorno alle 3.000 lire al mese. Ancora nel 1939, il traguardo delle 1.000 lire al mese è sognato, ed a questa perciò proibito, dalla maggioranza dei lavoratori italiani, come racconta la famosissima canzone Mille lire al mese. I fenomeni del tempo, da Orsi a Meazza potevano guadagnare fino a 7/8mila lire al mese!

Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare, sarei certo di trovar tutta la felicità...


Alla fine degli anni '70, i calciatori migliori potevano guadagnare 100 milioni di lire in un anno, mentre lo stipendio medio in Italia era di 4/4,5 milioni di lire annui. Sproporzione c'era, ma forse ancora tollerabile. Considerata la brevità della carriera dei calciatori e i pochissimi, tra loro, che potevano ambire alle cifre maggiori. Poi, dagli anni '80 in avanti il divario si è sempre più approfondito e, con l'avvento dei diritti TV, ha progressivamente raggiunto le vette parossistiche di oggi. Un grande calciatore non guadagna più 10, 20, 30 volte rispetto ad un operaio specializzato o ad un funzionario statale. Ma, piuttosto, 500, 1000, 2000 volte tanto (è il caso di Cristiano Ronaldo in Italia). Insomma, Covid o non Covid, si era già andati oltre l'aritmetica, oltre l'economia, oltre il buon senso. I primi a lamentarsene, già da tempo, avrebbero dovuto essere i tifosi, che portano acqua, in buona fede, a questo fiume di soldi. I debiti del sistema calcio, perché certi assurdi ingaggi possono finanziarsi solo a debito, sono da bancarotta. 


venerdì 18 settembre 2020

Pinamonti è da Inter, come Altobelli nel 1977

La competenza, questa sconosciuta. Molti tifosi dell'Inter, di quelli che stravedono per Conte e Marotta, avanzano dubbi sulle qualità di Pinamonti, che rientra dal Genoa. A costoro, voglio ricordare che, nel 1977, Mazzola, appena passato dal campo alla scrivania, andò a prendere dal Brescia Alessandro Altobelli, detto Spillo, che aveva fatto bene, nemmeno benissimo in serie B. Altobelli, avrebbe compiuto 22 anni a novembre di quell'anno, quale esperienza aveva di serie A e di grande squadra? Mazzola, però, sapeva di calcio. Altobelli divenne il centravanti titolare dell'Inter, per 11 stagioni consecutive, 466 partite e 209 gol, secondo solo a Meazza per reti nerazzurre. Ora, Pinamonti, 21 anni, è probabilmente meno forte di Altobelli, ma comunque ha forza fisica, tecnica notevole, difende bene il pallone, calcia con eguale efficacia con entrambi i piedi, ha già 10 gol in serie A e un curriculum ragguardevole con le giovanili. Arriva come quarta punta. Mi spiegate qual è il problema?

martedì 23 giugno 2020

Classica dei cannonieri italiani nelle Coppe Europee

Ecco i migliori marcatori italiani nella storia delle Coppe Europee. Includo anche la Coppa dell'Europa Centrale, antesignana delle grandi Coppe Europee organizzate poi dall'Uefa: vi partecipavano le migliori squadre degli anni '30. Escludo dal novero gli oriundi. Aggiornamento al 16 febbraio 2024.



  • Filippo Inzaghi 70 gol 114 pres.
  • Alessandro Del Piero 53 gol 129 pres.
  • Alessandro Altobelli * 39 gol 77 pres.
  • Francesco Totti 38 gol 103 pres.
  • Gianluca Vialli 36 gol 70 pres.
  • Marco Simone 34 gol 66 pres.
  • Roberto Baggio 32 gol 63 pres.
  • Ciro Immobile 30 gol 53 pres.
  • Giuseppe Meazza 29 gol 26 pres.
  • Roberto Boninsegna 29 gol 48 pres.
  • Christian Vieri 26 gol 74 pres.
  • Enrico Chiesa 25 gol 46 pres.
  • Giuseppe Rossi 25 gol 57 pres.
  • Fabrizio Ravanelli 23 gol 53 pres.
  • Mario Balotelli 22 gol 58 pres.
  • Simone Inzaghi 20 gol 43 pres.

giovedì 20 febbraio 2020

Atalanta-Valencia 4-1. Il Papu Gomez è un asso

L'Atalanta di Gasperini ha ipotecato, ieri sera, al Meazza, il passaggio ai quarti di Champions League. Il Valencia, peraltro solo settimo nella Liga, non ha saputo resistere alla pressione a tutto campo dei bergamaschi. Che, notoriamente, giocano un mucchio di uno contro uno, corrono di più e vincono più contrasti. E, correndo, ogni atalantino ha, grazie al movimento dei compagni, almeno due soluzioni di passaggio. Un'Atalanta in condizione è un avversario scomodo per chiunque. Ieri, si diceva, l'Atalanta ha strapazzato il Valencia 4-1, con doppietta di Hateboer, Freuler e Ilicic. Dovendo indicare un giocatore decisivo, farei il nome del Papu Gomez, che ha sfiorato soltanto la nazionale argentina, vista la colossale concorrenza generazionale, ma possiede qualità che gli permetterebbero di giocare anche in una grande tradizionale. Le sue rifiniture sono sempre pregevolissime. Come sul primo gol di Hateboer.

giovedì 9 gennaio 2020

Sfida scudetto Inter-Juve. Sei volte ha vinto l'Inter

Duello al vertice tra Inter e Juve nella serie A 2019/20. Con molti precedenti, sebbene datati, nella storia del calcio italiano. Nel 1938, l'Inter, Ambrosiana-Inter come allora si chiamava, guidata dall'estro impareggiabile di Giuseppe Meazza, conquistò il suo quarto scudetto, battendo in volata la Juve. Lo stesso sarebbe accaduto nel 1953 e nel 1954, con l'Inter di Foni, nel 1963, con il primo titolo di Herrera, nel 1980, con Bersellini e poi nel 2009, quando l'Inter di Mourinho vinse con ampio margine. Vediamo come andrà a finire in questa stagione il derby d'Italia per lo scudetto.

venerdì 6 dicembre 2019

Inter-Roma: 0-0. Sotto tono Lautaro e Lukaku

L'Inter capolista riceve al Meazza la Roma di Fonseca, che, dopo le iniziali difficoltà, sta mettendo a frutto il talento sparso del suo reparto offensivo, ricco di alternative e di talento.I nerazzurri sono contati a centrocampo, attesa la contemporanea indisponibilità di Sensi, Barella e Gagliardini. Nella Roma, non dovrebbe giocare Dzeko, mentre, nell'Inter, stando alle ultime indiscrezioni, potrebbe non esserci Lukaku, per via di un attacco influenzale.
La cronaca: Roma a lungo padrona del gioco nel primo tempo, ma le migliori occasioni capitano all'Inter su errori della difesa giallorossa. Prima a Lukaku, a inizio partita, poi a Vecino, che non calcia, infine a Brozovic che calcia in modo oratoriale. Esce Candreva, entra Lazaro e si va al riposo. Al 48', solo una grande parata di Mirante impedisce il gol ad un magnifico esterno destro di Vecino. Poi, l'Inter mantiene uno sterile controllo del gioco. Biraghi, Lazaro e Brozovic sono molto imprecisi. Lukaku cammina e lo stesso Lautaro sbaglia tanto, soffrendo la marcatura di Mancini. De Vrij, oggi in versione Beckenbauer, predica nel deserto. Al posto di Conte, dieci minuti ad Esposito li avrei fatti giocare. Finisce 0-0. Due punti persi. Almeno cinque nitide occasioni da gol fallite. Troppe! Con il Barca, servirà ben altro. 

mercoledì 30 ottobre 2019

I 59 anni di Diego Armando Maradona: il re del calcio

Gianni Brera, che aveva una predilezione per i grandi atleti prestati al calcio, rimase talmente ammirato da Diego Armando Maradona, che pure era basso, tarchiato e tracagnotto e perciò lontanissimo dal suo modello di calciatore, da inventare, per lui, l'ossimorico appellativo di divino scorfano. Sì, perché il calcio giocato, anzi dipinto da Maradona, era sul serio metafisico. Altri grandi, alcuni grandissimi, calciatori vi erano stati prima di lui e sarebbero venuti dopo, ma nessuno ha saputo elevare il calcio ai livelli attinti da Maradona. Mai visto un pallone così obbediente come quello calciato da Maradona. La punizione a due in aera contro la Juve di Tacconi è, forse, il manifesto più rappresentativo del sovrano artista argentino: la barriera a due passi, nessuna rincorsa, una carezza al pallone, che si solleva oltre gli avversari, sebbene non ci sia lo spazio. Una traiettoria inspiegabile, che va oltre Newton e le sue leggi. Sembra il paradosso del calabrone, che per la sua morfologia non potrebbe volare, ma non lo sa e allora vola lo stesso. Così quel pallone che Maradona, solo lui avrebbe potuto, spedisce nel set. Meazza era stato formidabile, le grand peintre du football, lo ribattezzarono i francesi, Di Stefano il primo calciatore totale, anzi il secondo, dopo Valentino Mazzola, Pelé un elegantissimo fuoriclasse dal repertorio completo, Cruijff un prodigio di velocità applicata alla tecnica. Ronaldo da Lima era andato oltre Cruijff e le gesta di Cristiano Ronaldo e Messi sono ancora sotto gli occhi di tutti. Eppure Maradona è stato di più. Nessuno, infatti, come lui ha saputo trasformare squadre tutto sommato modeste in compagini capaci di vittorie epocali. L'Argentina campione del mondo del 1986, il Napoli del primo storico scudetto. Il genio calcistico maradoniano moltiplicava, metafisicamente, le energie e le capacità dei compagni di squadra. E rendeva possibile l'impossibile. Per questa ragione è stato il più forte di tutti.

mercoledì 16 ottobre 2019

Cosa c'entra Mancini con Pozzo?

Nove vittorie consecutive alla guida della nazionale italiana. Per Mancini, dopo il successo di ieri sera contro il tremendo Liechtenstein, come, 80 anni fa, per Vittorio Pozzo. Di questo, incredibile dictu, si è scritto e parlato in queste ore. Si può? Mancini, per carità, ha chiarito che di Pozzo gli interessano altri record, come i due mondiali e le Olimpiadi. Però, sotto sotto, è contento, avendo di sé un'opinione notevole. Mi ripeto: Mancini è stato un calciatore molto forte e complessivamente sottovalutato, per contro è un allenatore solo discreto e tanto sopravvalutato quanto benvoluto, dalla sorte e dalla stampa. Il suo curriculum europeo con squadre di club è modestissimo. Quanto alla nazionale italiana, vedremo cosa saprà fare. Ricordiamolo, però, che le 9 vittorie consecutive di Pozzo passarono per il mondiale di Francia del 1938, vinto, quello di Meazza capitano e grand peintre du football, come furono costretti a riconoscere i francesi. Altro che il girone di qualificazione ad un Europeo, quello del 2020, a 24 squadre!