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martedì 26 luglio 2022

Il calcio degli anni '80: Maradona, Zico, Rummenigge, Platini, Falcao, Matthaus, Gullit, Van Basten, Francescoli, Careca...

Gli anni '80 furono anni calcisticamente straordinari e gli ultimi autenticamente liberi dai durissimi condizionamenti dei mercati televesivi, che, dopo, avrebbero preso il sopravvento e mutato la geografia e la storia dell'arte della pelota.

Nel 1980, alla vigilia dei campionati europei che si sarebbero tenuti proprio in Italia, deflagra da noi lo scandalo del calcio scommesse, una vicenda mai abbastanza chiarita, che conosce evitabili eccessi di spettacolarizzazione con tanto di calciatori arrestati in campo alla fine delle partite. Lo sfregio all'immagine del movimento nazionale è profondo. Seguono processi e squalifiche, che coinvolgono anche campioni di fama riconosciuta come Bruno Giordano e Paolo Rossi, che si professerà sempre innocente. 

Gli Europei, si diceva. Vince la Germania Ovest, perché c'è anche e ancora la Germania Est il più fedele alleato dell'URSS, Berlino è divisa da un muro che è simbolo e monito della guerra fredda, la cortina di ferro è ancora attualissima.

I tedeschi, dell'Ovest, sono guidati dal formidabile Karl-Heinz Rummenigge, possente ma tecnico ed acrobatico attaccante del Bayern Monaco, dalla progressione irresistibile. Attorno a lui, molti altri campioni, da Breitner a Stielike, da Hrubesch, centravanti colossale che sembra uscito da un'opera di Wagner, fino al giovane, superbo Bernd Schuster, mezzala ambidestra dalla tecnica sudamericana, la corsa poderosa e una sapienza calcistica da veterano. In finale, i tedeschi battono il Belgio. L'Italia ripete invece il quarto posto ottenuto ai mondiali d'Argentina del 1978, non senza rimpianti. 

Riaprono, dopo la serrata decisa nel 1966, le frontiere calcistiche. Ogni squadra italiana di Serie A potrà tesserare un calciatore straniero. Uno soltanto, per il momento. All'Inter, arriva il raziocinante regista austriaco Prohaska, alla Juve il mancino irlandese Brady, al Milan nessuno, perché i rossoneri sono retrocessi per via del calcio-scommesse. Ma, sono Napoli e Roma ad accogliere i due campioni migliori. L'asso olandese Krol, va sotto il Vesuvio. Già magnifico terzino sinistro, si reinventa libero di regia. Alla Roma, arriva invece il brasiliano Paulo Roberto Falcao, alto, biondo, elegante egli pure, ha corsa leggera, tiro secco, perentorio stacco di testa, diventa l'anima della squadra, che condurrà, nel 1983, alla conquista del secondo storico scudetto, sotto la guida di Liedohlm, assieme a Bruno Conti, Agostino Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo

Nel 1980, lo scudetto va all'Inter di Bersellini, che abbina la classe di un centravanti moderno ante litteram come Altobelli all'estro scapricciato di Evaristo Beccalossi e con loro Muraro, Oriali, Marini, il libero e capitano Graziano Bini e Bordon, costretto alla panchina in nazionale da Dino Zoff, che ha già 38 anni e sta per vivere un straordinario tramonto di carriera. Nel 1981 e nel 1982, il campionato va invece alla Juve di Trapattoni, che costituirà l'ossatura dell'Italia campione del mondo nel 1982: Zoff, appunto, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli. E non senza polemiche della Roma, che è seconda nel 1981, e della Fiorentina, che è seconda nel 1982. 

E il 1982 è l'anno dei Mondiali di Spagna. Una squadra è favorita rispetto a tutte le altre, il Brasile di Tele Santana, che raduna una pattuglia di fuoriclasse straordinari con due soli punti deboli, il portiere e il centravanti, il lungagnone Serginho, che viene preferito a Roberto Dinamite, mentre il giovane Careca è fermato da un infortunio. Il centrocampo di quel Brasile è irripetibile: la regia arretrata di Falcao, la corsa elegante di Cerezo, i tocchi magici del leader della democracia corinthiana, Socrates, virtuoso del colpo di tacco, le progressioni e il mancino atomico di Eder, i dribbling e le rasoiate del numero 10, il Pelè bianco, Zico. Senza dimenticare che il terzino sinistro, Leo Junior ha piedi più che da centrocampista. 


Poi, c'è l'Argentina campione del mondo in carica, capitanata da Passarella, che con Scirea e Krol è il miglior libero del mondo, il tedesco Stielike viene dopo di loro, con Kempes e Ardiles e lui, il più grande di sempre, anche se non ancora tutti lo riconoscono, Diego Armando Maradona. L'Italia è dietro nel pronostico, ma quel mondiale lo vince, in mezzo a mille polemiche, battendo nel secondo girone eliminatorio proprio Argentina e Brasile. Dopo 44 anni, l'Italia è, per la terza volta, campione del mondo. Rossi è capocannoniere con 6 gol, tre al Brasile, due alla Polonia in semifinale, uno alla Germania Ovest in finale. Bruno Conti, ala destra di piede mancino, autentico regista laterale dell'Italia è il miglior giocatore della manifestazione. L'urlo di Tardelli, per il secondo gol della finale, l'esultanza sugli spalti del Presidente Pertini e Zoff con la coppa fanno il giro del mondo. 

Dino Zoff con la Coppa del Mondo 1982

E il campionato italiano di Serie A è il miglior campionato del mondo. I grandi campioni vengono tutti in Italia. Nel 1984, alla vigilia dello storico scudetto del Verona di Bagnoli, in serie A sono pronti a giocare: Maradona, nel Napoli, Zico all'Udinese, Falcao e Cerezo, nella Roma, Rummenigge e Brady, nell'Inter, Platini e Boniek, nella Juve, Socrates e Passarella nella Fiorentina, Briegel ed Elkjaer nel Verona. Ma ci sono anche Junior, nel Torino, Hateley nel Milan, Michael Laudrup nella Lazio. Una straordinaria, mai vista, parata di stelle. Si fa prima a contare i pochi assi del pallone che non ci sono: Francescoli, Lineker, Schuster, Brian Robson. I migliori sono tutti da noi.

Karl Heinze Rummenigge
con la maglia dell'Inter

L'Italia, dopo la sbornia dei festeggiamenti del 1982, complice uno svecchiamento della squadra cui Bearzot non procede per umana riconoscenza verso i suoi campioni, fallisce le qualificazioni a Euro 1984. In Francia, vincono i padroni di casa, trascinati da Michel Platini, capocannoniere con 9 gol e vertice del quadrilatero magico del centrocampo transalpino, formato anche da Fernandez, Tigana e Giresse. Il calcio definito dai medesimi francesi, con qualche concessione alla propria grandeur, calcio champagne. In finale, i francesi battono la Spagna. In quegli Europei, che noi guardiamo da casa, si mette in mostra il talento ancora poco irreggimentato del danese Michael Laudrup e quello del belga Vincenzo Scifo.

A destare grande sensazione è sopratutto la Danimarca di Laudrup, per il gioco spumeggiante dove forza fisica, coraggio e qualità tecnica trovano una sintesi quasi perfetta. Nasce la Danish Dynamite: Morten Olsen, LerbyFrank Arnesen, l'ala inarrestabile dell'Ajax,  l'indomabile attaccante Preben Larsen Elkjaer e Michael Laudrup danno spettacolo. Solo il rigore sbagliato da Elkjaer contro la Spagna, in semifinale, ferma la corsa lanciatissima dei Vichinghi del pallone.

Nel 1986, tornano i Mondiali. Toccherebbe, nella logica dell'alternanza, al Sudamerica. E precisamente alla Colombia. Ma, ai colombiani, alle prese con terribili problemi interni, non riesce di organizzare una competizione così risonante e complessa. E così, dopo appena 16 anni, si torna in Messico, per celebrare l'apoteosi del massimo genio calcistico apparso sulla terra a miracol mostrare: Diego Armando Maradona. Guiderà una squadra modesta, dentro la quale a stento brillano stelle minori come Ruggeri e Burruchaga e Valdano, a un trionfo inaspettato. Cinque gol, tra i quali due, il più beffardo e il più bello di sempre agli inglesi, già nemici in una recente guerra da operetta eppure sentitissima per il possesso delle Malvinas o Falkland, davanti alle coste argentine. Gli inglesi della Tatcher, tre anni prima vincono con le armi, Maradona, a Mexico '86, vendica la storia con il pallone, che pare prolungamento e sublimazione del suo stesso corpo di atleta tarchiato e compatto. Si ripeterà con una favolosa doppietta al Belgio in semifinale, e lanciando Burruchaga verso la rete del vittorioso 3-2 contro la Germania Ovest in finale. Capocannoniere del torneo, Gary Lineker, 6 gol. L'Italia esce agli ottavi contro la Francia di Platini. Bearzot affonda con il suo gruppo storico. Della spedizione azzurra si salvano in pochi, di più Altobelli, quattro gol più un autogol provocato. 

In Europa, nelle competizioni per club, dominano inizialmente le squadre inglesi. La Coppa dei Campioni va al Nottingham Forest nel 1980, all'Aston Villa nel 1982, al Liverpool nel 1981 e nel 1984. Nel 1983, vince l'Amburgo, con gol dalla distanza di Magath, negando alla Juve il primo successo in una competizione ancora mai vinta. Il successo per gli uomini del Trap giunge nel 1985, dopo i tragici scontri dell'Heysel di Bruxelles, dove si scatena la violenza cieca degli hooligans del Liverpool: 39 morti e immagini raccapriccianti. La Juve, in un clima surreale, vince 1-0 ma c'è poco da festeggiare. Si tratta del canto del cigno della Juve del Trap, illuminata dall'estro di Platini, tre volte consecutive capocannoniere in Serie A (1983, 1984 e 1985) e vincitore di altrettanti Palloni d'Oro.

Il 10 francese gioca un calcio fantasioso. Salva le caviglie, cedendo il pallone sempre un momento prima di subire il contrasto avversario. Gioca tanto di prima e segna punizioni meravigliose.

Michel Platini
con la maglia della Juve

Le squadre inglesi vengono squalificate dalle competizioni internazionali per cinque anni. Finisce così un dominio inziato nel 1977. E si apre la strada a successi inaspettati in Coppa dei Campioni: Steaua Bucarest nel 1986, ai rigori sul Barca, Porto nel 1987, Psv Eindhoven nel 1988. L'anno dopo, tocca al Milan di Sacchi, che ha il vento della critica in poppa. Rischia di uscire contro la Stella Rossa di Belgrado: si salva per la nebbia. Sempre nel 1989, c'è anche il successo in Coppa Uefa del Napoli di Maradona. Che aveva già vinto uno storico primo scudetto nel 1987 e si sarebbe ripetuto tre anni dopo, all'alba del nuovo decennio.

Maradona con
la maglia del Napoli

Nel 1988, in Germania, sempre Ovest, si disputano gli Europei. L'Italia, passata da due anni nelle mani di Azeglio Vicini, è forte. Difesa di ferro con Zenga, il miglior portiere del mondo del momento, Bergomi, capitano, Ferri, Franco Baresi e un giovane Paolo Maldini. Davanti Vialli, che brilla solo contro la Spagna, e Mancini, che gioca titolare, anche se Altobelli è ancora un centravanti migliore di lui. E poi Giannini in regia e Donadoni all'ala destra. Gli azzurri escono in semifinale contro l'URSS del calcio robotico del colonnello Valerij Lobanowski. Che in finale perderà contro l'Olanda di Gullit, numero dieci rossonero, e Van Basten, da poco tornato da un infortunio, tanto che lo scudetto con il Milan l'ha visto poco in campo. Van Basten parte inizialmente dalla panchina: gioca il manovriero Bosman. La partita d'esordio, proprio contro l'URSS, gli olandesi la perdono. Poi, entra contro l'Inghilterra, nella seconda partita del girone: tre gol! Sarà il capocannoniere della manifestazione e vincerà il primo di tre palloni d'oro. Il suo gol al volo, da posizione defilata a incrociare sul palo lontano - permesso anche da una fasciatura rigida sulla fragile caviglia destra - è splendido.

Marco Van Basten
con la maglia del Milan

Dasaev è battuto. Zenga, un gol così, però, nemmeno bendato avrebbe potuto prenderlo.

Walter Zenga 
con la maglia dell'Inter
e il trofeo di miglior portiere del mondo

Proprio Zenga difenderà la porta dell'Inter, innervata dai tedeschi Matthaus e Brehme, nell'ultimo campionato del decennio, che i nerazzurri, allenati dal Trap, venuto a Milano nel 1986, si aggiudicheranno con una sfilza di record e sei giornate d'anticipo. Il Napoli di Maradona, Careca e Alemao finisce a 11 punti, il Milan di Gullit, Rijkaard e Van Basten a 12: si assegnano ancora due punti per vittoria. Il calcio all'italiana di Trapattoni, quello con le marcature a uomo e il libero, s'impone sulla zona sacchiana.

Il campionato di Serie A resta altamente competitivo. In 10 anni, dal 1980 al 1989, vincono lo scudetto sei squadre diverse: quattro la Juve (1981, 1982, 1984, 1986), due l'Inter (1980, 1989), uno la Roma (1983), uno il Verona (1985), uno il Napoli (1987), uno il Milan (1988).

Nel decennio, si disputano tre edizioni della Coppa America. Le prime due sono vinte dall'Uruguay di Enzo Francescoli. Nel 1983, la Celeste vince davanti al Brasile, nel 1987, davanti al Cile. Nel 1989, vince il Brasile di Romario e Bebeto, superando proprio l'Uruguay. 


 Per approfondire:

mercoledì 25 novembre 2020

Maradona addio! Il più grande giocatore della storia del calcio se n'è andato a 60 anni.

Stupore e incredulità. Lo stesso stupore e la stessa incredulità che provavo, tanti anni fa, di fronte alle prodezze sempre nuove, sempre abbaglianti, sempre prometeiche del più straordinario calciatore mai nato. Stupore e incredulità. La notizia mi raggiunge via radio, mentre sono in automobile. Dall'Argentina la notizia della morte di Diego Armando Maradona. Che stesse male e da tempo era noto; che avesse di recente subìto un delicato intervento chirurgico anche; che fosse scampato, lungo la scoscesa via dei mille eccessi seguiti allo splendore incandescente del campo, a molti agguati della vecchia con la falce pure. Tutto questo era noto, ma che Maradona potesse morire, ecco, questo era impossibile da pensare. Perché gli eroi non muoiono. E non dovrebbero morire. E Maradona era stato un eroe. Un eroe del Sud del Mondo, cresciuto dentro una delle tante ville miseria di Buenos Aires, ed era asceso alla gloria imperitura. Gli scudetti contro la storia a Napoli, il Mondiale 1986 contro le leggi della fisica, con l'Argentina. Con quel sinistro fabuloso e incantatore, che con la palla amoreggiava senza bisticci, ricambiato, tramutando in successi inaspettati tutti i sogni più avventurosi. Maradona aveva conservato lo sguardo timido del ragazzetto che, a dieci anni, intervistato dalla televisione argentina, dopo aver regalato palleggi e giocate da prestigiatore, diceva di voler giocare un mondiale con l'Argentina e di volerlo vincere: due sogni aveva, quei due. Li avrebbe realizzati entrambi. Menotti non lo convocò ai mondiali di casa del 1978, lasciando a Kempes e Passarella e Ardiles il compito di portare acqua al mulino dei colonnelli. Meglio così. Maradona era già un fenomeno, che solo di lontano poteva rassomigliare a Sivori, fortissimo ma senza un decimo della forza dirompente e del carisma di Diego Armando, o a Rivelino, brasiliano, mancino va da sé, idolo d'infanzia del medesimo Maradona. I due sommati e moltiplicati per dieci non potevano valere un decimo di Maradona. E sia detto con rispetto per quei campioni veri. Il problema è che Maradona era di un'altra pasta. Veniva da un altro mondo. Giocava un altro calcio. Nessuno ha saputo prendere per mano squadre, oneste e modeste, e portarle al trionfo come ha fatto lui. Nessuno ha saputo elevare il livello di gioco dei compagni come ha fatto lui. Nessuno, in nessuno sport. L'identificazione simbiotica e romanzesca che visse con Napoli, trascinata due volte sul tetto d'Italia fu emblematica e, mi si lasci dire, metacalcistica perché antistorica. Maradona fu il novello Masaniello, cui il popolo, tutto il popolo, però, mai voltò le spalle, continuando a sentirne e subirne e impetrarne fascino e malia anche quando Maradona se ne andò. Via dall'Italia nel marzo del 1991 è come se fosse oggi. Perché gli eroi, Maradona fu un eroe magnifico, possono fermare il tempo e lo fermano. I suoi gol, quella punizione dentro l'area contro la Juve di Tacconi, il gol contro l'Inghilterra a Messico '86, le giravolte e le rabone, e i mille calci che non riuscivano ad atterrarlo - perché Maradona aveva nelle cosce e nel tronco una forza erculea, che se ne infischiava dei suoi 165 cm - quei tiri mai violenti e sempre vincenti, quelle inesorabili carezze al pallone, tutto questo non è passato e non passerà. Non c'è Pelé che tenga, figuriamoci Messi. Maradona è stato, anzi, è, il più grande giocatore di ogni tempo. Perché è oltre il tempo. Maradona è morto e con lui se ne va, rattristata ma fiera, una parte della nostra giovinezza. Eppure Maradona è giovane, perché gli eroi sono giovani e belli. E noi possiamo illuderci di rimanere - e forse davvero restiamo - i ragazzi che eravamo allora, quando, anche tifando per altre squadre, ci dicevamo: hai visto? Hai visto cos'ha fatto Maradona? Sapevamo che sfuggiva anche al novero dei campionissimi e ce n'erano ai tempi, da Rummenigge a Platini a Zico. Epperò Maradona, questo l'ammettevamo tutti, era altro, era oltre, era troppo. Chi era Maradona? Dovreste intervistare i suoi compagni di squadra. Non uno, non uno di loro ha mai avuto parole che non fossero d'inalterabile riconoscenza e d'incessante elogio, nonostante gli allenamenti disertati e i molti privilegi che gli lasciavano. Perché Maradona era il più forte, senza lasciarlo intendere e senza farlo pesare. Assumendo tutte le responsabilità e dividendo tutti gli onori. Solo di qualche onere, l'allenamento appunto, amava fare a meno. Ma, in campo, in campo Maradona era sempre Maradona. Lo sapevano i compagni e lo sapevano gli avversari. Se mai vi venisse in mente, che so?, il confronto con Pelé, ecco, andate a leggere le formazioni, una migliore dell'altra, del Brasile del 1958, del 1962 (Pelé giocò una partita e mezza e fu sostituito, benissimo, da Amarildo) e del 1970, e poi scorrete la formazione dell'Argentina del 1986. Su, non c'è confronto. Pelé grandissimo, Maradona incommensurabile. La rive gauche del calcio. Il rivoluzionario, l'antagonista, il barricadero. Ve le figurate le facce degli inglesi, pieni di birra un'ora prima della chiusura dei pub, quando in cinque minuti Maradona scrisse il più grande dramma scespiriano mai rappresentato: gol di mano e poi il gol del secolo? Che faccia fece la Thatcher di fronte al pernacchio di quello scugnizzo, di quel guascone sudamericano, che Galeano definì il più umano degli dei e Brera ribattezzò divino scorfano? Una sconfitta militare, quella delle Malvinas vendicata con una sequela ritmata di tutte le figure del tango. Maradona non solo giocava meglio di chiunque altro, Maradona era il campione di un romanzo popolare, che ce la faceva. Era Jean Valjeant e Oliver Twist, ma pure, a modo suo, il principe Myskin, che il mondo, anche soltanto per sublimi, sfuggenti attimi lo cambiava sul serio. Il re di una corte dei miracoli, che batteva moneta e concedeva grazie. Mi piace ricordare che quando calciava i rigori, di solito, il portiere restava fermo, immobile, al centro della porta. Percosso e attonito, parafrasando qualcuno. Così siamo noi in questo momento. Perché, no, non ce l'aspettavamo. Che la terra gli sia lieve.

mercoledì 18 novembre 2020

Giroud insegue Henry: 44 gol con la Francia

Doppietta ieri sera nel successo della Francia sulla Svezia in Nations League e Olivier Giroud centravanti antico ma moderno tocca quota 44 gol in nazionale, tre più di Platini, sette meno del primatista assoluto Henry. Dechamps non ci rinunzierebbe in alcun caso. Sì, perché Giroud non solo è grande e grosso e impegna e sfianca almeno due avversari per volta; perché ha buona tecnica con il suo mancino e domina il gioco aereo, che segni o faccia assist; perché determina il gioco d'attacco, anche restando all'asciutto, come accadde al mondiale vinto nel 2018. Non è un goleador tremendo. Ma un punto di riferimento imprescindibile. Come Klose con la Germania, Giroud il meglio di sé l'ha dato con la Francia. Per caratteristiche atletiche e tecniche, invece, Giroud ricorda, senza eguagliarlo, il possente centravanti gallese John Charles, che furoreggiò in Italia, alla Juve, nella seconda metà degli anni '50.

giovedì 9 aprile 2020

L'eleganza di Michael Laudrup, il maestro del dribbling a due tocchi

Anno di grazia 1983. La serie A di calcio è il campionato più bello e più competitivo del mondo. Giungono da tutto il mondo i migliori giocatori e tanti già ci sono. Arriva pure, alla Lazio neopromossa, un diciannovenne danese, Michael Laudrup, ma in prestito, perché il suo cartellino appartiene alla Juventus: Boniperti, che quando giocava ne ebbe parecchi, e forti, di danesi in squadra, scommette sul suo futuro di campione. Il problema è trovargli un ruolo. Laudrup è alto 1,83 m, ha un fisico asciutto, gambe forti e reattive. Eccelle nel dribbling, ha uno scatto fulmineo. Pensano in molti che sia una seconda punta. Ma, segna poco. Anche quando, nel 1985, si trasferisce alla Juve, per sostituire Boniek. Platini lo fulmina con un giudizio splendido ma feroce: il più grande giocatore del mondo, in allenamento. Con i bianconeri gioca quattro stagioni da eterna promessa, fino al 1989. E la serie A lo saluta come un incompiuto, privo di grande personalità. Lo prende, però, e non è un caso, il Barca di Cruijff il magnifico. Avviene la svolta. Laudrup con i blaugrana inizia ad interpretare il suo ruolo naturale: la mezzala. Comanda il gioco offensivo, dribbla con naturalezza disarmante, segna con quel suo tiro secco, improvviso, anticipato. Non è barocco, sebbene tecnicamente superiore. Questo lo rende molto apprezzato da Cruijff. Il Barca vince tutto, in Spagna, in Europa e nel mondo. Solo nel 1994, finale di Coppa dei Campioni contro il Milan, la regola dei tre stranieri in campo, e un errore di valutazione del tecnico olandese tiene Michael Laudrup fuori da una partita che il Barcellona perde a sorpresa per 4-0. Senza il danese, il centrocampo catalano è lento e prevedibile. Laudrup poi andrà al Real Madrid, vincendo un'altra Liga, quindi in Giappone, per chiudere nell'Ajax che era stato di Cruijff. Manca il successo agli Europei di Svezia del 1992, perché aveva temporaneamente abbandonato la nazionale danese. Il suo congedo avviene ai mondiali di Francia del 1998. Quarti di finale contro il Brasile. Tolto Ronaldo, il più brasiliano in campo, per tocco ed estro e fantasia è proprio il danese Laudrup. L'eleganza applicata al gioco del calcio. Quell'eleganza, anche nel tratto e nei comportamenti, che fuorviò molti giudizi su di lui. Laudrup era un gentiluomo che si scaldava poco. Ma accendeva il gioco. Chiedete ai giocatori, passati e presenti chi sia stato il miglior giocatore della Liga nei primi anni '90. Risponderanno, anzi hanno tutti già risposto, Michael Laudrup. Il suo dribbling a due tocchi (the two-touch dribble), sempre lo stesso, con palla spostata a velocità massima dal destro al sinistro, ha fatto scuola. Quasi quanto la finta di Garrincha.

martedì 18 giugno 2019

Platini fermato con accusa di corruzione per Qatar 2022

Dalla Francia rimbalza la notizia del fermo di Michel Platini, che sarebbe accusato di corruzione per l'assegnazione, al Qatar, dei mondiali 2022. Mondiali che dovrebbero giocarsi nel tardo autunno del 2022, viste le condizioni climatiche del paese ospitante. Si cambi sede, e stagione, in ogni caso!

mercoledì 3 aprile 2019

I dieci migliori tiratori di punizioni in serie A

Classifica dei goleador su punizione in serie A.
Riflettevo sul fatto che all'Inter non si segna, da una vita, un gol su calcio di punizione. Ed è un limite importante, soprattutto nel calcio di oggi, tanto lodato per la pretesa ricerca della supremazia territoriale, del possesso palla e del mito del bel gioco, che, però, è come la Primula Rossa del romanzo di Emma Orczy. Su calcio piazzato, si decidono un mucchio di partite. E l'assenza di uno specialista in squadra toglie punti preziosi, spesso decisivi. Ecco la nota classifica sui migliori goleador su calcio di punizione in serie A, dalla quale concludo: magari giocasse ancora Recoba nell'Inter. Il Chino figura al nono posto della graduatoria. Ma solo Mihajlovic, Zola, Platini e Pjanic hanno una media gol superiore in rapporto alle partite giocate.


  1. Mihajlovic                     28 gol in 315 partite
  2. Pirlo                               27 (+1?)* gol in 493 partite
  3. Del Piero                        22 gol in 478 partite
  4. Roberto Baggio             21 gol in 452 partite
  5. Totti                               21 gol in 619 partite
  6. Zola                               20 gol in 238 partite
  7. Pjanic                            15 gol in 244 partite
  8. Platini                            13 gol in 147 partite
  9. Recoba                           13 gol in 217 partite
  10. E. Chiesa                        13 gol in 380 partite      

mercoledì 17 ottobre 2018

Griezmann da pallone d'oro, 20 anni dopo Zidane

Dopo la doppietta rifilata, ieri sera, alla Germania, in Nations League, il mancino francese Antoine Griezmann, rafforza la propria candidatura alla vittoria del pallone d'oro 2018. Nel corso della stagione, Griezmann ha vinto l'Europa League e la Supercoppa Europea con l'Atletico Madrid di Simeone e, soprattutto, il campionato del mondo con la Francia, segnando quattro gol. Era già stato, nel 2016, capocannoniere dei campionati europei. Calciatore completo, di superiore intelligenza calcistica, è un attaccante a tutto campo, che ad una tecnica sopraffina, a un mancino educatissimo, unisce un gran colpo di testa, corsa e limpida visione del gioco. Non eccede in trame barocche, preferendo la giocata semplice, lineare, utile. Decide le partite importanti, nei momenti solenni. Dopo dieci anni di Cristiano Ronaldo e Messi, mi pare proprio che il pallone d'oro possa e debba andare ad un altro. A Griezmann, venti anni dopo Zidane, l'ultimo francese ad essere insignito del massimo riconoscimento individuale per un calciatore.

I palloni d'oro vinti da giocatori francesi:

  • Kopa 1958
  • Platini 1983
  • Platini 1984
  • Platini 1985
  • Papin 1991
  • Zidane 1998

mercoledì 22 giugno 2016

Cristiano Ronaldo (#Cr7) 8 gol agli Europei, uno meno di Platini, 60 con il Portogallo, doppietta all'Ungheria

Non molla Cristiano Ronaldo: doppietta all'Ungheria per il pareggio del Portogallo. Mentre scrivo, il risultato è di 3-3. Riscatto immediato per l'asso portoghese all'ottavo gol segnato agli Europei, appena uno meno di Platini, che ne realizzò 9 tutti agli Europei vinti del 1984. Cristiano Ronaldo è il primo giocatore ad andare a segno in quattro Europei consecutivi: 2 gol nel 2004, 1 gol nel 2008, 3 gol e titolo di capocannoniere in condominio nel 2012, 2 gol nel 2016. Per di più Cristiano Ronaldo si issa a 60 gol con il Portogallo. Che va agli ottavi come una delle migliori terze e se la vedrà con la fortissima Croazia.

lunedì 12 gennaio 2015

Cristiano Ronaldo III: vince il pallone d'oro 2014. Messi secondo, Neuer terzo

Ha vinto il terzo pallone d'oro Cristiano Ronaldo, eguagliando i successi di Cruijff, Platini e Van Basten. Messi, che ne ha vinti quattro, è giunto secondo, Neuer terzo. Non è un premio per portieri, quando si escluda il grande Jashin. Zoff e Buffon si fermarono al secondo posto. Cristiano Ronaldo, implacabile macchina da gol ed eroe della decima, ha vinto con merito, nonostante il mondiale in penombra.

mercoledì 21 maggio 2014

Storia dei mondiali di calcio: 13^ puntata (1982, al Mundial di Spagna vince l'Italia, il mito di Pablito)

Vigilia funestata da polemiche interminabili. Gli azzurri di Bearzot vengono attaccati dalla stampa nazionale unanime, ma anche da dirigenti, osservatori, tifosi. A Bearzot si rimprovera di aver lasciato a casa Beccalossi, che a dire il vero avrebbe meritato la convocazione di più agli Europei del 1980, e soprattutto il capocannoniere Pruzzo. Sicché il Mundial di Spagna, anno di grazia 1982, non comincia sotto i migliori auspici. Nel girone eliminatorio di Vigo, arrivano tre brutti pareggi, contro Perù, Polonia e Camerun ed una stentatissima qualificazione al girone successivo, che ci vede opposti ai campioni del mondo uscenti dell'Argentina, nella quale già brilla la stella dell'immenso Maradona, ed ai fantastici giocolieri del Brasile di Santana: un centrocampo strepitoso, dove Falcao comanda il gioco, Cerezo galoppa, Junior muove dalla fascia sinistra, Zico segna, Socrates inventa ed Eder calcia a velocità mai viste. Un tripudio di tecnica, di eleganza. Una squadra che pare destinata a raccogliere l'eredità di quella del 1970. A sorpresa, l'Italia batte l'Argentina, con gol di Tardelli e Cabrini, mentre Rossi, rientrato dopo una lunga squalifica dovuta allo scandalo scommesse del 1980, seguita a stentare, attirandosi gli strali della critica. Contro il Brasile, cui basterebbe un pareggio, per accedere alle semifinali, Rossi però si ridesta dal lungo letargo e segna un tripletta destinata a mutare il corso della storia del mondiale e della sua carriera. A nulla valgono, per i supponenti brasiliani, che non accettano di giocare per il pareggio, le bellissime reti di Socrates e di Falcao. Esordisce al mondiale in quella storica partita Beppe Bergomi, 18 anni e mezzo, che prende il posto dell'acciaccato Collovati. Non uscirà più di squadra fino alla fine. In semifinale, una doppietta di Rossi estromette la Polonia, cui manca l'asso Boniek. Nell'altra semifinale, i tedeschi battono ai rigori, dopo una strepitosa rimonta la Francia di Platini e Giresse. Decisivo l'ingresso dell'infortunato Rummenigge, che segna il suo quinto gol. Rummenigge e Rossi, alla vigilia della finale tra Germania Ovest ed Italia guidano la classifica cannonieri con cinque reti. In finale, Bergomi, che gioca al posto dell'infortunato Antognoni, con cambio di modulo deciso da Bearzot, marca Rummenigge, reduce dalla conquista di due palloni d'oro consecutivi. La mossa si rivelerà decisiva. Bruno Conti, ala destra imprendibile, furoreggia dappertutto, ha tecnica brasiliana e concretezza europea. Sarà il miglior giocatore del mondiale. Atterrato in area a metà del primo tempo, rigore per l'Italia, che Cabrini calcia a lato del palo alla sinistra di Schumacher. Nella ripresa, però, l'Italia passa con Rossi, sei gol e capocannoniere del torneo, raddoppia con un gol da urlo, urlo vero, di Tardelli, dopo scambio in area tra l'immenso libero Scirea ed il giovane Bergomi, segno che l'Italia attaccava a pieno organico. E dilaga con una prodezza di Altobelli. Per i tedeschi arriverà poi il gol della bandiera di Breitner. Italia campione del mondo per la terza volta: 1934, 1938, 1982. Il capitano Zoff alza la coppa. E' un trionfo. (1^ puntata2^ puntata3^ puntata4^ puntata5^ puntata, 6^ puntata7^ puntata8^ puntata9^ puntata10^ puntata11^ puntata, 12^ puntata, 13^ puntata, 14^ puntata)

martedì 8 gennaio 2013

Messi sopravvalutato. Cristiano Ronaldo superiore

Fortissimo, non dico di no. Tra i più forti di sempre, non dico di no. Ma, Lionello Messi mi pare comunque sopravvalutato da una critica sempre troppo indulgente nei confronti suoi, sempre dimentica della condizione di privilegio dell'asso argentino: gioca nella migliore squadra al mondo, forse della storia. Sicché segna tantissimo, quanto altri mai, ha un dribbling in velocità che lascia sbigottiti, resta tuttavia carente in altri fondamentali e non possiede un quarto della fantasia non dico di Maradona, ché sarebbe scontato, ma anche di Zico, Platini, Roberto Baggio e potrei fare altri nomi. Non mi sembra un uomo squadra, segna gol a grappoli, ma tutti molto simili fra di loro. E', sebbene a livelli di eccellenza, un giocatore lineare, pragmatico, straordinariamente scontato. Nessuno scoppio di creatività riconosco nel suo gioco. Moltissimi dissentiranno, e posso capirlo, ma Messi non è il più forte giocatore della storia. Né potrà diventarlo.

Aggiornamento del 15 luglio 2014: terminato il mondiale in Brasile, nonostante il secondo posto con la sua Argentina, mi sento di confermare e sottoscrivere che, sì, Messi è sopravvalutato. Ha smesso di segnare, dopo un buon girone, nelle partite ad eliminazione diretta. La sua faccia, spaurita, lontanissima da quella di condottiero di Maradona a Messico '86, vale più di mille parole.
Aggiornamento del 12 gennaio 2015: Messi ha fatto anche peggio nella Coppa America 2015, questa pure perduta in finale. Ciò nonostante, è stato, senza meritarlo, insignito del pallone d'oro 2015, davanti a Cristiano Ronaldo e Neymar. Resta sopravvalutato.
Aggiornamento dell'11 aprile 2018: dopo la prova anonima, condita da ammonizione per un fallaccio da mediano in affanno, di ieri sera, Barca travolto ed eliminato dalla Roma, confermo, come avrei potuto confermare tante altre volte. Forte Messi, fortissimo, ma sopravvalutato. Non ha la metà del carisma di Cristiano Ronaldo, uno che ha vinto gli Europei 2016 con il Portogallo. Messi ha più avuto dal Barcellona e dalla sua orchestra, di quanto abbia dato. Certe partite, da solo, non solo non le vince. Ma, neppure le gioca.
*Aggiornamento del 16 giugno 2018: esordio a Russia 2018, con rigore sbagliato contro l'Islanda, per Messi. Siamo alle solite.
* Aggiornamento del 17 giugno 2019: Messi resta fedele a se stesso. Esordio nella Coppa America 2019, prova anonima, gol sbagliato e sconfitta dell'Argentina contro la Colombia.

lunedì 7 gennaio 2013

Messi quarto pallone d'oro consecutivo: supera Cruijff, Platini e Van Basten

Tutto secondo pronostico, il pallone d'oro 2012 va a Lionello Messi, che precede Iniesta, cui non basta l'ennesimo successo con la Spagna, e Cristiano Ronaldo, trionfatore nella Liga con il Real Madrid. Nelle retine dei giurati sono rimaste le impressioni fortissime dei 91 gol stagionali di Messi, una cifra iperbolica cui pure molto ha contribuito la pochezza delle difese spagnole. Alla fine, è record per Messi: quattro palloni d'oro quattro, più dei tre di Cruijff, Platini e Van Basten.

mercoledì 14 novembre 2012

Stasera Italia - Francia: tocca a Verratti

Fuga verso il futuro per l'Italia che stasera Prandelli schiererà contro la Francia. La sfida con i transalpini è di quelle più sentite, la rivalità è accesa. Ma, si tratta di incontro amichevole, sicché la posta in palio sarà l'onore. Che non è poco, ma, forse, di questi tempi, non è abbastanza. Prandelli sceglierà, con la discutibile eccezione della difesa, di puntare sui giovani. Da Balotelli, che però frequenta da cinque anni il calcio professionistico, al capocannoniere del campionato, El Shaarawi. I due dovrebbero integrarsi assai bene, perché possiedono caratteristiche complementari. La regia sarà affidata a Verratti, in pochi mesi catapultato dal Pescara zemaniano al Psg. Da lui ci si attende molto, perché lo si immagina erede di Pirlo. Il ruolo è delicato. E, prima di lui, hanno faticato ad imporvisi Bulgarelli, De Sisti, Giuseppe Giannini. Sì, perché Verratti è un regista classico, tecnico, ispirato, con profonda visione del gioco. Un brevilineo, agile e sgusciante, forse un poco leggero per il famigerato calcio contemporaneo. Ricorda, tanto per restare al tema di Italia - Francia, Giresse. Il regista dei galletti ai tempi di Platini. Stesso tocco, stesso moto perpetuo, stessa statura. Verratti, però, segna assai di meno. Stiamo a vedere stasera come si disimpegnerà.

mercoledì 24 ottobre 2012

I dieci numeri 10 più forti della storia

Veniamo ai migliori numeri dieci della storia del calcio. Il numero dieci, da sempre, simboleggia il talento più puro, meno ordinario, quello capace di accendere la fantasia dei tifosi, di escogitare la giocata vincente, di decidere, magari con un colpo, una partita. Poi, è noto, negli anni '30 e '40 il 10 era sulla maglia della mezzala sinistra, in Italia Giovanni Ferrari o Valentino Mazzola, poi spesso identificò il regista, si pensi a Suarez, che però ho collocato in altra classifica. Pelé era un attaccante, che agiva dietro la prima punta. Cruijff, che accidentalmente indossava il numero 14, un uomo ovunque, Maradona semplicemente il calcio e via dicendo. Come per i centravanti, ai primi dieci aggiungo anche i secondi. Questa la classifica che propongo. Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 13 aprile 2022: estendo la classifica ai primi trenta numeri 10 più forti della storia.
1. Maradona
2. Pelé
3. Cruijff
4. Messi
5. Zico
6. Schiaffino
7. Roberto Baggio
8. Platini
9. Zidane
10. Valentino Mazzola
11. Labruna 
12. Rivera
13. Ronaldinho
14. Totti
15. Cubillas
16. Zizinho
17. Modric
18. Michael Laudrup
19. Van Himst
20. Skoglund
21. Ricardo Bochini
22. Riquelme
23. Schuster
24. Gascoigne
25. Bergkamp
26. Gullit
27. Francescoli
28. Hagi
29. Ballack
30. Mancini
31. Overath
32. Del Piero
33. Rui Costa

sabato 25 agosto 2012

Comincia il campionato: l'Inter debutta a Pescara. Non convocato Maicon

Comincia oggi il campionato di serie A 2012/13: uno dei più poveri, tecnicamente, della storia. Ricordo che, dopo i mondiali vittoriosi del 1982, la serie A radunava i migliori assi della pelota. Falcao già c'era, poi, arrivarono, Platini e Boniek, Junior e Cerezo, Dirceu e Rummenigge, Zico, l'innarrivabile Maradona, quindi Gullit, Van Basten, Matthaus, Voeller. Una strepitosa sequela di fuoriclasse. Oggi, i migliori, con qualche eccezione, sono tutti altrove ed il tasso tecnico del nostro campionato è minore di quello della Premier League e della Liga, forse anche della Bundesliga. Meno soldi, ma, anche minori idee. La Juventus, campione in carica, parte favorita, il Milan, nonostante tutto, dirà la sua. La sorpresa potrebbe essere la Roma di Zeman: Totti tornerà a fare faville. L'Inter, invece, resta un'incognita. Cassano, Gargano e Pereira portano nuova linfa, ma Maicon quasi certamente andrà via. Domani, nella trasferta di Pescara, il brasiliano non ci sarà. E tutti capiscono perché.

martedì 10 gennaio 2012

Messi: terzo pallone d'oro consecutivo

Premio meritato, come due anni fa. Lo scorso anno, invece, prevalse la poca competenza con la quale è generalmente seguito uno sport popolarissimo come il calcio. Insomma, Messi è stato il migliore nel 2009, non nel 2010, ma ha vinto comunque il pallone d'oro anche nel 2010, come nel 2011. Anno, quest'ultimo, nel quale ha segnato oltre 50 gol con il Barca: numeri imbarazzanti e spiazzanti, sebbene non diversi da quelli fatti registrare da Cristiano Ronaldo, giunto secondo, davanti a Xavi, il giocatore che io avrei premiato. Certamente lo scorso anno, a titolo di risarcimento quest'anno. Messi eguaglia, con tre successi consecutivi, Platini, superbo regista offensivo, che, tuttavia, non fosse stato francese, non  li avrebbe vinti: tutti e tre, intendo dire. Peraltro, ai tempi di Re Michel, il premio era riservato ai calciatori europei, sicché il migliore dell'epoca, e di ogni epoca, Maradona, non poteva nemmeno essere candidato alla vittoria. In conclusione, il pallone d'oro del 2011 va a Messi. E va bene. Penso però che abbia fatto più il Barca fantasmagorico di Guardiola per Messi, che non Messi per il detto Barca. Poi, cambia poco. Resta tutto nella famiglia blaugrana.

martedì 6 dicembre 2011

Un saluto a Socrates, calciatore, artista, dottore in medicina, fondatore della "democracia corinthiana"

E' scomparso precocemente, come Best qualche anno fa, Socrates, una delle stelle più luccicanti del firmamento calcistico brasiliano. E, per inevitabile estensione, mondiale. Difficile classificarlo come giocatore, probabilmente mezzala, e non solo per il numero otto che indossava sulla maglia. Molto alto, superava il metro e novanta, magro, asciutto, tirato, sembrava lento, ma, palla al piede diventava estramente veloce, basti rivedere il gol che segnò all'Italia ai Mondiali del 1982. Possedeva un tiro di rara potenza e precisione, per via della notevole statura e di una felice scelta di tempo, segnava molti gol di testa. Socrates era tutto questo, senza dubbio, ma, soprattutto era un uomo squadra, un regista senza fissa dimora in campo, dacché svariava molto, accentrava il gioco, senza tuttavia mantenere il pallone un solo secondo di più, palleggiatore finissimo, ma amante dei tocchi di prima. E dei colpi di tacco, sua specialità massima, sintesi di una visione beffarda e visionaria del gioco del calcio. Detestava le regole, detestava la società occidentale, il capitalismo, ma, anche, per venire al calcio, la dieta dell'atleta, le rinunce, i ritiri, gli allenatori. Al Corinthians convinse i compagni all'ammutinamento, proclamando una democracia, nella quale a decidere erano i giocatori: dal modulo, alla formazione, agli allenamenti. Senza capi. Eppure il capo c'era ed era proprio Socrates, un tribuno, che fumava, beveva, cercava la compagnia delle donne e giocava al calcio senza nessuna intenzione agonistica. Eppure vinceva. Con il Corinthians ci riuscì. Con il Brasile ci andò soltanto vicino. Nel 1982, è storia notissima, il Brasile di Santana, capitanato proprio da Socrates si fece eliminare dall'Italia per non accontentarsi del pareggio: il centrocampo di quella squadra mette soggezione al solo ricordo. Zico, Falcao, Cerezo, Eder e Socrates appunto. Tanto che Junior doveva adattarsi da terzino sinistro. Se non si fosse infortunato Careca alla vigilia, quella squadra difficilmente sarebbe stata battuta. Il centravanti Serginho ne fu, infatti, il solo punto debole. Socrates venne anche in Italia, alla Fiorentina, nella stagione 1984/85, quando da noi giocavano tutti i migliori, dai suoi connazionali a Maradona, da Platini a Rummenigge ad Elkjaer e via eccellendo. Non si trovò a suo agio: troppo tattico e disciplinato il nostro calcio. Sull'uomo il giudizio spetta a Dio, come calciatore è stato grandissimo. Come personaggio anche. Benedetto Croce per spiegare il successo della Gioconda s'inventò un aggettivo, "allotrio" per definire il valore più che artistico dell'opera. Ecco Socrates lascia un ricordo forte anche per il suo valore "allotrio", per la sua ambizione di leggere la società moderna secondo canoni non convenzionali. Per la sua andatura lenta, nella vita e sul campo. Per il fatto di essere laureato in medicina, lettore accanito eppure sempre e comunque calciatore. Per le sue battute pungenti in un mondo rassegnato alla finta diplomazia.

lunedì 7 novembre 2011

Udinese e Lazio al comando

Di Natale, ancora a segno ieri contro il Siena, sta riscrivendo le regole antiche del calciatore. Maturità e massima espressione del gioco tra i 25 ed i 30 anni. Di Natale di anni ne ha già 34 e le cose migliori, in carriera, le ha mostrate, le sta mostrando, dopo i trenta. Rischia di vincere il terzo titolo di capocannoniere consecutivo: l'ultimo a riuscirci, era un altro calcio, fu Platini. L'Udinese, con un tale goleador, mette a frutto un gioco convincente e sale in testa alla classifica. Da segnalare il gol per il Siena di Bolzoni, centrocampista di scuola Inter, che da anni considero un potenziale campione. Vince di misura, appaiando l'Udinese, anche la Lazio, che batte il Parma con gol di Sculli. Il merito, però, è tutto di Klose, che accelera, trafigge la difesa avversaria, e propizia la rete. La freschezza atletica del tedesco è impressionante. Vince di goleada il Milan contro un Catania disposto male in campo: troppi spazi concessi ai rossoneri, tanto che Ibrahimovic può lanciare Robinho a ripetizione con passaggi molto facili. Non si è giocata Napoli - Juventus, come non si è giocata Genoa - Inter. Colpa della pioggia torrenziale di questo autunno racchio.