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mercoledì 25 novembre 2020

Maradona addio! Il più grande giocatore della storia del calcio se n'è andato a 60 anni.

Stupore e incredulità. Lo stesso stupore e la stessa incredulità che provavo, tanti anni fa, di fronte alle prodezze sempre nuove, sempre abbaglianti, sempre prometeiche del più straordinario calciatore mai nato. Stupore e incredulità. La notizia mi raggiunge via radio, mentre sono in automobile. Dall'Argentina la notizia della morte di Diego Armando Maradona. Che stesse male e da tempo era noto; che avesse di recente subìto un delicato intervento chirurgico anche; che fosse scampato, lungo la scoscesa via dei mille eccessi seguiti allo splendore incandescente del campo, a molti agguati della vecchia con la falce pure. Tutto questo era noto, ma che Maradona potesse morire, ecco, questo era impossibile da pensare. Perché gli eroi non muoiono. E non dovrebbero morire. E Maradona era stato un eroe. Un eroe del Sud del Mondo, cresciuto dentro una delle tante ville miseria di Buenos Aires, ed era asceso alla gloria imperitura. Gli scudetti contro la storia a Napoli, il Mondiale 1986 contro le leggi della fisica, con l'Argentina. Con quel sinistro fabuloso e incantatore, che con la palla amoreggiava senza bisticci, ricambiato, tramutando in successi inaspettati tutti i sogni più avventurosi. Maradona aveva conservato lo sguardo timido del ragazzetto che, a dieci anni, intervistato dalla televisione argentina, dopo aver regalato palleggi e giocate da prestigiatore, diceva di voler giocare un mondiale con l'Argentina e di volerlo vincere: due sogni aveva, quei due. Li avrebbe realizzati entrambi. Menotti non lo convocò ai mondiali di casa del 1978, lasciando a Kempes e Passarella e Ardiles il compito di portare acqua al mulino dei colonnelli. Meglio così. Maradona era già un fenomeno, che solo di lontano poteva rassomigliare a Sivori, fortissimo ma senza un decimo della forza dirompente e del carisma di Diego Armando, o a Rivelino, brasiliano, mancino va da sé, idolo d'infanzia del medesimo Maradona. I due sommati e moltiplicati per dieci non potevano valere un decimo di Maradona. E sia detto con rispetto per quei campioni veri. Il problema è che Maradona era di un'altra pasta. Veniva da un altro mondo. Giocava un altro calcio. Nessuno ha saputo prendere per mano squadre, oneste e modeste, e portarle al trionfo come ha fatto lui. Nessuno ha saputo elevare il livello di gioco dei compagni come ha fatto lui. Nessuno, in nessuno sport. L'identificazione simbiotica e romanzesca che visse con Napoli, trascinata due volte sul tetto d'Italia fu emblematica e, mi si lasci dire, metacalcistica perché antistorica. Maradona fu il novello Masaniello, cui il popolo, tutto il popolo, però, mai voltò le spalle, continuando a sentirne e subirne e impetrarne fascino e malia anche quando Maradona se ne andò. Via dall'Italia nel marzo del 1991 è come se fosse oggi. Perché gli eroi, Maradona fu un eroe magnifico, possono fermare il tempo e lo fermano. I suoi gol, quella punizione dentro l'area contro la Juve di Tacconi, il gol contro l'Inghilterra a Messico '86, le giravolte e le rabone, e i mille calci che non riuscivano ad atterrarlo - perché Maradona aveva nelle cosce e nel tronco una forza erculea, che se ne infischiava dei suoi 165 cm - quei tiri mai violenti e sempre vincenti, quelle inesorabili carezze al pallone, tutto questo non è passato e non passerà. Non c'è Pelé che tenga, figuriamoci Messi. Maradona è stato, anzi, è, il più grande giocatore di ogni tempo. Perché è oltre il tempo. Maradona è morto e con lui se ne va, rattristata ma fiera, una parte della nostra giovinezza. Eppure Maradona è giovane, perché gli eroi sono giovani e belli. E noi possiamo illuderci di rimanere - e forse davvero restiamo - i ragazzi che eravamo allora, quando, anche tifando per altre squadre, ci dicevamo: hai visto? Hai visto cos'ha fatto Maradona? Sapevamo che sfuggiva anche al novero dei campionissimi e ce n'erano ai tempi, da Rummenigge a Platini a Zico. Epperò Maradona, questo l'ammettevamo tutti, era altro, era oltre, era troppo. Chi era Maradona? Dovreste intervistare i suoi compagni di squadra. Non uno, non uno di loro ha mai avuto parole che non fossero d'inalterabile riconoscenza e d'incessante elogio, nonostante gli allenamenti disertati e i molti privilegi che gli lasciavano. Perché Maradona era il più forte, senza lasciarlo intendere e senza farlo pesare. Assumendo tutte le responsabilità e dividendo tutti gli onori. Solo di qualche onere, l'allenamento appunto, amava fare a meno. Ma, in campo, in campo Maradona era sempre Maradona. Lo sapevano i compagni e lo sapevano gli avversari. Se mai vi venisse in mente, che so?, il confronto con Pelé, ecco, andate a leggere le formazioni, una migliore dell'altra, del Brasile del 1958, del 1962 (Pelé giocò una partita e mezza e fu sostituito, benissimo, da Amarildo) e del 1970, e poi scorrete la formazione dell'Argentina del 1986. Su, non c'è confronto. Pelé grandissimo, Maradona incommensurabile. La rive gauche del calcio. Il rivoluzionario, l'antagonista, il barricadero. Ve le figurate le facce degli inglesi, pieni di birra un'ora prima della chiusura dei pub, quando in cinque minuti Maradona scrisse il più grande dramma scespiriano mai rappresentato: gol di mano e poi il gol del secolo? Che faccia fece la Thatcher di fronte al pernacchio di quello scugnizzo, di quel guascone sudamericano, che Galeano definì il più umano degli dei e Brera ribattezzò divino scorfano? Una sconfitta militare, quella delle Malvinas vendicata con una sequela ritmata di tutte le figure del tango. Maradona non solo giocava meglio di chiunque altro, Maradona era il campione di un romanzo popolare, che ce la faceva. Era Jean Valjeant e Oliver Twist, ma pure, a modo suo, il principe Myskin, che il mondo, anche soltanto per sublimi, sfuggenti attimi lo cambiava sul serio. Il re di una corte dei miracoli, che batteva moneta e concedeva grazie. Mi piace ricordare che quando calciava i rigori, di solito, il portiere restava fermo, immobile, al centro della porta. Percosso e attonito, parafrasando qualcuno. Così siamo noi in questo momento. Perché, no, non ce l'aspettavamo. Che la terra gli sia lieve.

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