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venerdì 27 settembre 2024

Il Brasile dei mondiali del 1978: i dualismi

Alla vigilia dei mondiali d'Argentina del 1978, il Brasile allenato da Claudio Coutinho era indicato tra i principali favoriti, assieme all'Olanda, pur orfana di Cruijff, e alla squadra di casa. Il calcio migliore finì, a sorpresa, per giocarlo l'Italia di Bearzot, innervata dalla freschezza dei debuttanti Cabrini e Paolo Rossi, ispirata dalla regia atipica di Antognoni, dall'estro di Causio sulla fascia, dall'acume tattico di Zaccarelli, dall'elegante difesa di Scirea e dalla verve di Tardelli. I verdeoro, invece, pur chiudendo al terzo posto finale, attraversarono il torneo in mezzo a una tempesta di polemiche. Zico, il Pelé bianco, 10 di rara fantasia, dal dribbling stretto incontenibile, non era al meglio fisicamente e giocò spesso da subentrante. Fu messo in competizione dal tecnico e dalla stampa amica, con Mendonca, già centravanti poi arretrato sulla trequarti, stilisticamente squisito ma non sempre concreto, e Rivelino, unico superstite del meraviglioso Brasile del 1970, ala funambolica e  persino con Dirceu, che era più una mezzala dal sinistro al fulmicotone e che fu il migliore dei suoi. La regia della squadra era affidata a Batista, tecnico e tenace, che poi avrebbe per lo più deluso, specialmente il secondo anno, nella sua esperienza italiana alla Lazio. Ai fianchi di Batista giostravano un giovane Cerezo, mediano di grandi qualità e proprio Dirceu. In avanti, un altro dualismo, tra Reinaldo, una specie di Romario ante litteram, solo più alto e meno prolifico, e Roberto "Dinamite", goleador massimo, potente e molto solista. Il risultato di tanta confusione, anche dovuta a un eccesso di talento difficile da governare, produsse una mezza delusione. Poco calcio bailado, gioco per niente fluido, vittorie sofferte. E, come dicevo, un terzo posto finale dal sapore beffardo, considerata la vittoria finale, quanto mai discussa, dei rivali storici argentini, che superarono l'Olanda in finale, dopo i tempi supplementari. Il mondiale, che avrebbe dovuto consacrare Zico, incoronò invece il capocannoniere dell'Albiceleste, Kempes. 

mercoledì 25 novembre 2020

Maradona addio! Il più grande giocatore della storia del calcio se n'è andato a 60 anni.

Stupore e incredulità. Lo stesso stupore e la stessa incredulità che provavo, tanti anni fa, di fronte alle prodezze sempre nuove, sempre abbaglianti, sempre prometeiche del più straordinario calciatore mai nato. Stupore e incredulità. La notizia mi raggiunge via radio, mentre sono in automobile. Dall'Argentina la notizia della morte di Diego Armando Maradona. Che stesse male e da tempo era noto; che avesse di recente subìto un delicato intervento chirurgico anche; che fosse scampato, lungo la scoscesa via dei mille eccessi seguiti allo splendore incandescente del campo, a molti agguati della vecchia con la falce pure. Tutto questo era noto, ma che Maradona potesse morire, ecco, questo era impossibile da pensare. Perché gli eroi non muoiono. E non dovrebbero morire. E Maradona era stato un eroe. Un eroe del Sud del Mondo, cresciuto dentro una delle tante ville miseria di Buenos Aires, ed era asceso alla gloria imperitura. Gli scudetti contro la storia a Napoli, il Mondiale 1986 contro le leggi della fisica, con l'Argentina. Con quel sinistro fabuloso e incantatore, che con la palla amoreggiava senza bisticci, ricambiato, tramutando in successi inaspettati tutti i sogni più avventurosi. Maradona aveva conservato lo sguardo timido del ragazzetto che, a dieci anni, intervistato dalla televisione argentina, dopo aver regalato palleggi e giocate da prestigiatore, diceva di voler giocare un mondiale con l'Argentina e di volerlo vincere: due sogni aveva, quei due. Li avrebbe realizzati entrambi. Menotti non lo convocò ai mondiali di casa del 1978, lasciando a Kempes e Passarella e Ardiles il compito di portare acqua al mulino dei colonnelli. Meglio così. Maradona era già un fenomeno, che solo di lontano poteva rassomigliare a Sivori, fortissimo ma senza un decimo della forza dirompente e del carisma di Diego Armando, o a Rivelino, brasiliano, mancino va da sé, idolo d'infanzia del medesimo Maradona. I due sommati e moltiplicati per dieci non potevano valere un decimo di Maradona. E sia detto con rispetto per quei campioni veri. Il problema è che Maradona era di un'altra pasta. Veniva da un altro mondo. Giocava un altro calcio. Nessuno ha saputo prendere per mano squadre, oneste e modeste, e portarle al trionfo come ha fatto lui. Nessuno ha saputo elevare il livello di gioco dei compagni come ha fatto lui. Nessuno, in nessuno sport. L'identificazione simbiotica e romanzesca che visse con Napoli, trascinata due volte sul tetto d'Italia fu emblematica e, mi si lasci dire, metacalcistica perché antistorica. Maradona fu il novello Masaniello, cui il popolo, tutto il popolo, però, mai voltò le spalle, continuando a sentirne e subirne e impetrarne fascino e malia anche quando Maradona se ne andò. Via dall'Italia nel marzo del 1991 è come se fosse oggi. Perché gli eroi, Maradona fu un eroe magnifico, possono fermare il tempo e lo fermano. I suoi gol, quella punizione dentro l'area contro la Juve di Tacconi, il gol contro l'Inghilterra a Messico '86, le giravolte e le rabone, e i mille calci che non riuscivano ad atterrarlo - perché Maradona aveva nelle cosce e nel tronco una forza erculea, che se ne infischiava dei suoi 165 cm - quei tiri mai violenti e sempre vincenti, quelle inesorabili carezze al pallone, tutto questo non è passato e non passerà. Non c'è Pelé che tenga, figuriamoci Messi. Maradona è stato, anzi, è, il più grande giocatore di ogni tempo. Perché è oltre il tempo. Maradona è morto e con lui se ne va, rattristata ma fiera, una parte della nostra giovinezza. Eppure Maradona è giovane, perché gli eroi sono giovani e belli. E noi possiamo illuderci di rimanere - e forse davvero restiamo - i ragazzi che eravamo allora, quando, anche tifando per altre squadre, ci dicevamo: hai visto? Hai visto cos'ha fatto Maradona? Sapevamo che sfuggiva anche al novero dei campionissimi e ce n'erano ai tempi, da Rummenigge a Platini a Zico. Epperò Maradona, questo l'ammettevamo tutti, era altro, era oltre, era troppo. Chi era Maradona? Dovreste intervistare i suoi compagni di squadra. Non uno, non uno di loro ha mai avuto parole che non fossero d'inalterabile riconoscenza e d'incessante elogio, nonostante gli allenamenti disertati e i molti privilegi che gli lasciavano. Perché Maradona era il più forte, senza lasciarlo intendere e senza farlo pesare. Assumendo tutte le responsabilità e dividendo tutti gli onori. Solo di qualche onere, l'allenamento appunto, amava fare a meno. Ma, in campo, in campo Maradona era sempre Maradona. Lo sapevano i compagni e lo sapevano gli avversari. Se mai vi venisse in mente, che so?, il confronto con Pelé, ecco, andate a leggere le formazioni, una migliore dell'altra, del Brasile del 1958, del 1962 (Pelé giocò una partita e mezza e fu sostituito, benissimo, da Amarildo) e del 1970, e poi scorrete la formazione dell'Argentina del 1986. Su, non c'è confronto. Pelé grandissimo, Maradona incommensurabile. La rive gauche del calcio. Il rivoluzionario, l'antagonista, il barricadero. Ve le figurate le facce degli inglesi, pieni di birra un'ora prima della chiusura dei pub, quando in cinque minuti Maradona scrisse il più grande dramma scespiriano mai rappresentato: gol di mano e poi il gol del secolo? Che faccia fece la Thatcher di fronte al pernacchio di quello scugnizzo, di quel guascone sudamericano, che Galeano definì il più umano degli dei e Brera ribattezzò divino scorfano? Una sconfitta militare, quella delle Malvinas vendicata con una sequela ritmata di tutte le figure del tango. Maradona non solo giocava meglio di chiunque altro, Maradona era il campione di un romanzo popolare, che ce la faceva. Era Jean Valjeant e Oliver Twist, ma pure, a modo suo, il principe Myskin, che il mondo, anche soltanto per sublimi, sfuggenti attimi lo cambiava sul serio. Il re di una corte dei miracoli, che batteva moneta e concedeva grazie. Mi piace ricordare che quando calciava i rigori, di solito, il portiere restava fermo, immobile, al centro della porta. Percosso e attonito, parafrasando qualcuno. Così siamo noi in questo momento. Perché, no, non ce l'aspettavamo. Che la terra gli sia lieve.

lunedì 29 ottobre 2012

I dieci migliori attaccanti (ali sinistre) della storia

Per completare la formazione della storia del calcio, manca l'ultimo ruolo, che indico nell'attaccante - ala sinistra, ruolo ibrido per definizione, nel quale per ragioni di comodità, andrò a contare giocatori fra loro molto diversi, ma, insomma, il calcio non è una scienza esatta e molto dipende dal modulo. In questa classifica, lo chiarisco in previsione di ragionevoli critiche, voglio inserire quei giocatori d'attacco, abituati a partire dalla fascia, soprattutto da quella sinistra. Seconde punte alcune volte, ali sinistre dal gol facile altre volte. Nessun dubbio, sul primo posto, assegnato a Puskas. Segue la classifica dei primi dieci (ora estesa i primi 37). Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 3 giugno 2024.

  1. Puskas
  2. Rummenigge
  3. Cristiano Ronaldo
  4. Rivelino
  5. Sivori
  6. Neymar
  7. Czibor
  8. Nyers
  9. Riva
  10. Raul Gonzalez Blanco
  11. Giggs
  12. Schevchenko
  13. Ribery
  14. Rensenbrink
  15. Corso
  16. Henry
  17. Gento
  18. Orsi
  19. Cantona
  20. Recoba
  21. Dzajic
  22. Gareth Bale
  23. Piet Keizer
  24. Rivaldo
  25. Nedved
  26. Blochin
  27. Zagallo
  28. Stoichkov
  29. David Villa
  30. Reguzzoni
  31. Eder (Brasile 1982)
  32. John Robertson
  33. Reus
  34. Overmars
  35. Ginola
  36. Di Canio
  37. Barnes
  38. Perisic
  39. Insigne

giovedì 18 ottobre 2012

I dieci migliori centravanti della storia

Passiamo ai dieci migliori centravanti della storia del calcio. Pure in questo caso, non è facile assimilare calciatori tra loro diversi, tenendo nel debito conto l'attitudine di parecchi campioni a mutare ruolo nel corso della carriera, Meazza fu un immenso centravanti, come lo fu Di Stefano, ma poi scelsero, eccellendovi, altre zone di campo. Meazza è tra le mezze ali, Di Stefano ho voluto inserirlo tra i centravanti, perché sebbene uomo ovunque, il gol era la sua ossessione. Hidegkuti fu un grande centravanti arretrato, ma, alla resa dei conti, era sostanzialmente un regista offensivo, come il primo Michael Laudrup, che pure indossava sempre il numero 9. Nessuno dei due è stato preso in considerazione per questa graduatoria. Segue la classifica, che è difficile, così, ai soliti primi dieci, aggiungo anche i secondi. Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 9 maggio 2024: estendo la classifica ai settantasei migliori centravanti della storia.

  1. Ronaldo                                     
  2. Di Stefano
  3. Eusebio
  4. Van Basten
  5. Pedernera
  6. Romario
  7. Gerd Muller
  8. Greaves
  9. Piola
  10. Batistuta
  11. Ademir
  12. Nordahl
  13. Tostao
  14. Kempes
  15. Leonidas
  16. Bobby Charlton
  17. Altobelli
  18. Dixie Dean
  19. Harry Kane
  20. Gary Lineker
  21. Sarosi
  22. Arsenio Erico
  23. Bican
  24. Careca
  25. Paolo Rossi
  26. Ibrahimovic
  27. Uwe Seeler
  28. Aguero
  29. Van Nistelrooy
  30. Shearer
  31. Lewandowski
  32. Benzema
  33. Vieri
  34. Klose
  35. Sindelar
  36. Luis Suarez
  37. Fritz Walter
  38. Krankl
  39. Van Persie
  40. Dixie Dean
  41. Hugo Sanchez
  42. Roberto "Dinamite"
  43. Boninsegna
  44. Adriano
  45. Santillana
  46. John Charles
  47. Atilio Garcia
  48. Drogba
  49. Weah
  50. Michael Owen
  51. Eto'o
  52. Bettega
  53. Voeller
  54. Klinsmann
  55. Crespo
  56. Rooney
  57. Cavani
  58. Diego Milito
  59. Trezeguet
  60. Fernando Torres
  61. Luis Artime
  62. Angelillo
  63. Higuain
  64. Giordano
  65. F. Inzaghi
  66. Icardi
  67. Papin
  68. Lukaku
  69. John Hansen (Danimarca)
  70. Hrubesch
  71. Toni
  72. Lacombe
  73. Pruzzo
  74. Bierhoff
  75. Makaay
  76. Julio Cruz
  77. Jan Wright