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lunedì 26 agosto 2024
lunedì 22 gennaio 2024
Addio a Gigi Riva "Rombo di Tuono"
"Un autentico eroe del nostro tempo: per me non è mai nato nel calcio italiano uno come Gigirriva da Leggiuno. L'ho soprannominato prima Re Brenno e poi, dubitando del nostro senso storico, sono sceso a una metafora più western come "Rombo di tuono". Ha avuto fortuna almeno pari a quella di Toro Seduto". (Gianni Brera)
Nato durante la guerra, come tutta la generazione d'oro di calciatori italiani che s'impose tra gli anni '60 e '70, Luigi Riva, detto Gigi, classe '44, è stato un'icona e un simbolo. Del Cagliari, che condusse a uno storico scudetto nel 1970. Del ruolo di attaccante irriducibile e coraggioso fino quasi alla temerarietà; della nazionale italiana, della quale resta, ancora oggi, il maggior cannoniere con 35 reti. Nato a Leggiuno, sponda lombarda del Lago Maggiore, presto orfano, giunse in Sardegna diciannovenne, per non andarsene più. Alto, per i tempi alto, forte, dotato di un sinistro potentissimo, di un dribbling essenziale, di uno scatto perentorio, di un gran colpo di testa, di audacia agonistica e doti acrobatiche. Centravanti o ala sinistra, attaccante unico nel suo genere. Brera lo soprannominò "Rombo di Tuono". Due gravissimi infortuni con la maglia azzurra, per sfortuna e perché si gettava sempre nella mischia, forse troppo.
Riva in maglia azzurra |
Campione d'Europa con gli azzurri nel 1968, vicecampione del mondo nel 1970, in Messico. Dove giocò però una finale anonima. Idolo dei tifosi, non solo cagliaritani. Andò oltre il calcio. Lo conoscevano tutti, come conoscevano Mazzola e Rivera. Riva, poi, era anche un beniamino delle donne, che per lui andavano pazze, come 30 anni prima per Meazza. Resta il ricordo del grande calciatore secondo al Pallone d'oro del 1969 (dietro Rivera e davanti a Gerd Muller), terzo nel 1970 (dietro Gerd Muller e Bobby Moore). Tre volte capocannoniere della serie A e gol che sono diventati proverbiali. Rifiutò sempre di lasciare Cagliari e la Sardegna, rinunciando a ingaggi più ricchi e questa nettezza d'intenzione, questo disinteresse, contribuì ulteriormente alla sua leggenda.
mercoledì 13 dicembre 2023
La scomparsa di Antonio Juliano, storico capitano del Napoli
Ancora oggi, giorno della sua scomparsa, Antonio Juliano risulta il terzo calciatore più presente nella storia del Napoli, preceduto soltanto da Hamsik e Bruscolotti. Degli azzurri, Juliano fu capitano per dodici stagioni, conquistando per due volte la Coppa Italia, nel 1962 e nel 1976 e sfiorando lo scudetto del 1975, vinto dalla Juve con due soli punti di vantaggio. Quello, in particolare, era il Napoli allenato da Vinicio, di cui Juliano era anima e simbolo. Regista tecnico e compassato ma lucidissimo. Fu convocato in tre mondiali, in un'epoca ricca di qualità e concorrenza nel calcio italiano, che aveva a centrocampo Bulgarelli e De Sisti, ma anche, al netto della loro atipicità, Mazzola e Rivera. Giocò, Juliano, da subentrante, anche la finale dei mondiali messicani del 1970. Fu una bandiera del Napoli, quando di bandiere ancora ce n'erano.
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giovedì 9 luglio 2020
Il calcio degli anni '60. La rinascita italiana
Gli anni '60 segnarono il riscatto del calcio italiano, dopo il buio del decennio precedente, contrappuntato da due eliminazioni al primo turno, ai mondiali del 1950 e del 1954, e dalla mancata qualificazione ai mondiali di Svezia del 1958, poi grottescamente replicata 60 anni dopo, quando l'Italia non riuscì ad arrivare a Russia 2018.
Parlavo di riscatto, sì. E le ragioni di questa formidabile ripresa vanno anzitutto ricercate nella resurrezione di tutta la Penisola dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Era l'Italia del boom economico, con i consumi che raddoppiavano, il PIL che cresceva quasi a due cifre, lo sport che diventava fenomeno di massa. Era accaduto, proprio intorno al 1958 peraltro, che il calcio superasse, tra gli appassionati, il ciclismo, per guadagnare un primato mai più discusso di sport nazionale.
Eppure i mondiali del 1962, vinti dal Brasile, che si permise di rinunciare a Pelé, presto infortunato, e quelli del 1966, conquistati in casa dall'Inghilterra, videro ancora gli azzurri fuori al primo turno. Nel 1962, fallì la politica degli oriundi, i fortissimi sudamericani con origini italiane, spesso assai remote. Di quella spedizione fecero parte assi del calibro di Altafini, che aveva vinto il mondiale del 1958 con il Brasile, Sivori, Maschio, Sormani. Andò male, pare anche per le continue ingerenze sulle scelte tecniche della stampa specializzata, che all'epoca aveva, su un calcio visto da pochissimi, un ascendente quasi sacerdotale e per un arbitraggio ostile contro i padroni di casa del Cile. Andò persino peggio nel 1966 in Inghilterra, quando la Corea del Nord eliminò l'Italia, pur con l'attenuante del precoce infortunio occorso a Bulgarelli, quando, ancora per pochi anni, non erano permesse le sostituzioni.
Eppure l'Italia aveva iniziato a dominare le competizioni internazionali per club, vincendo tre Coppe dei Campioni consecutivamente: con il Milan di Rivera e Cesare Maldini e Altafini e Trapattoni, nel 1963; con l'Inter allenata da Herrera e capitanata da Picchi, nel 1964 e nel 1965, con la regia di Suarez, gli assolo in velocità di Mazzola e Jair, i ricami mancini di Corso, ed una difesa così riconoscibile da diventare leggendaria e proverbiale: Sarti, Burgnich, Facchetti...La Grande Inter.
La Grande Inter (1964/65) |
Il Real Madrid, che pure vinse la sua sesta Coppa dei Campioni nel 1966, eliminando l'Inter in semifinale, cominciava a declinare dopo il dominio della seconda metà degli anni '50. Sorgeva invece la stella del Manchester United di Busby e di Bobby Charlton, entrambi miracolosamente sopravvissuti al disastro di Monaco di Baviera, paragonabile alla tragedia di Superga, nel quale avevano perso la vita molti giovani talenti di sicuro avvenire, su tutti Duncan Edwards. La squadra inglese vinse il campionato nazionale nel 1965, poi di nuovo nel 1967 fino al successo più eclatante, quello nella Coppa dei Campioni del 1968: in avanti il trio delle meraviglie, la mezzala scozzese dal gol facilissimo, Denis Law, il centravanti inglese più tecnico e manovriero che si ricordi, Bobby Charlton, e l'ala destra nordirlandese, George Best, talento purissimo, estro senza freni, vita dissipata e gol magnifici.
Statue di Best, Law e Bobby Charlton |
Forse il giocatore più rappresentativo di questa magica decade fu però il portoghese, di origini mozambicane, Eusebio, poderoso centravanti dalla tecnica brasiliana, dalla progressione micidiale e dal tiro incendiario. Vinse, con il suo Benfica, la seconda Coppa dei Campioni consecutiva del 1962 e trascinò il Portogallo al terzo posto ai mondali del 1966 in Inghilterra, laureandosi capocannoniere con 9 gol.
Insieme a lui, il portiere sovietico Lev Jashin, campione d'Europa nel 1960, sempre vestito di nero, dal fisico imponente e i riflessi da gatto, per molti il miglior portiere di sempre. Ancora oggi si favoleggia sulle presunte doti ipnotiche esercitate sugli avversari. Sandro Mazzola ha più volte confermato questa leggenda, ricordando un rigore che Jashin gli parò in nazionale.
Nel 1960, furono organizzati i primi Campionati Europei per nazionali: vinse l'URSS. Nel 1964 toccò alla Spagna di Suarez e Gento. Nel 1968, 30 anni dopo il successo ai mondiali di Francia, toccò all'Italia allenata da Ferruccio Valcareggi. Che ebbe ragione in finale della Jugoslavia, dopo aver vinto il sorteggio con la monetina nella semifinale con l'URSS. Sorteggio vinto dal capitano Facchetti. La prima finale con la Jugoslavia finì in pareggio. Non essendo previsti i supplementari né, tanto meno, i rigori. Si rigiocò: vinse l'Italia con gol di Gigi Riva ed Anastasi. Per la prima volta, una massa di tifosi si riversò per le strade a festeggiare, sventolando bandiere tricolori. C'erano già state le occupazioni delle Università e le prime grandi manifestazioni studentesche. Di lì a poco, si sarebbero diffusi disordine e tumulti di piazza, contestazione generalizzata. Fu l'ultimo sprazzo di serenità prima che cominciasse uno dei periodi più bui e controversi della storia italiana.
Eusebio (Portogallo) |
Insieme a lui, il portiere sovietico Lev Jashin, campione d'Europa nel 1960, sempre vestito di nero, dal fisico imponente e i riflessi da gatto, per molti il miglior portiere di sempre. Ancora oggi si favoleggia sulle presunte doti ipnotiche esercitate sugli avversari. Sandro Mazzola ha più volte confermato questa leggenda, ricordando un rigore che Jashin gli parò in nazionale.
Lev Jashin (URSS) |
Nel 1960, furono organizzati i primi Campionati Europei per nazionali: vinse l'URSS. Nel 1964 toccò alla Spagna di Suarez e Gento. Nel 1968, 30 anni dopo il successo ai mondiali di Francia, toccò all'Italia allenata da Ferruccio Valcareggi. Che ebbe ragione in finale della Jugoslavia, dopo aver vinto il sorteggio con la monetina nella semifinale con l'URSS. Sorteggio vinto dal capitano Facchetti. La prima finale con la Jugoslavia finì in pareggio. Non essendo previsti i supplementari né, tanto meno, i rigori. Si rigiocò: vinse l'Italia con gol di Gigi Riva ed Anastasi. Per la prima volta, una massa di tifosi si riversò per le strade a festeggiare, sventolando bandiere tricolori. C'erano già state le occupazioni delle Università e le prime grandi manifestazioni studentesche. Di lì a poco, si sarebbero diffusi disordine e tumulti di piazza, contestazione generalizzata. Fu l'ultimo sprazzo di serenità prima che cominciasse uno dei periodi più bui e controversi della storia italiana.
Italia campione d'Europa nel 1968 |
Negli anni '60, ma fu questione specialmente, sebbene non solo, italiana, infuriò una serrata disputa sulla tattica. Fu allora che si cominciò a parlare di calcio all'italiana, talora, con sprezzatura, definito catenaccio, per contrapporlo al calcio più offensivo praticato dalle squadre del Nord Europa, Inghilterra in testa, o, in modo più tecnico e meno fisico, dal Brasile. Brera capeggiava i cosiddetti italianisti, convinti, sulla base di valutazioni culturali e biologiche spinte, che gli italiani fossero più acconci alla difesa e contropiede, che all'attacco con dominio del gioco. Troppi secoli di dominazioni subite e doti atletiche ritenute inferiori a quelle di popoli meglio nutriti e sviluppati. Era questa la tesi, molto politicamente scorretta. Dall'altra parte, la cosiddetta scuola napoletana, di Ghirelli e Palumbo, che inneggiava ad un calcio più offensivo e spensierato, eleggendone a simbolo Rivera ed il suo gioco compassato ma elegantissimo. La questione, sotto altre forme, e con l'ausilio di penne meno felici, dura ancora oggi.
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mercoledì 9 ottobre 2019
Pioli è il nuovo allenatore del Milan
Esonerato Giampaolo, è Pioli il nuovo allenatore del Milan. Adeguato, più che alle esagerate ambizioni della dirigenza, aggrappata al ricordo di un passato che non può tornare, al valore dell'attuale rosa rossonera: la medio - bassa classifica. Del resto, la storia del Milan, eccettuato il regno berlusconiano, è storia di alti e di bassi. Dopo lo scudetto del 1907, il Milan rimase 44 anni senza vittorie! Fino al titolo del 1951 ai tempi del Gre-No-Li. E poi, dopo l'epoca di Rivera, ci furono le due retrocessioni, nel 1980 e nel 1982. La storia! Tornando all'attualità, c'è da dubitare che Pioli resti sulla panchina del Milan fino al termine della stagione.
sabato 17 maggio 2014
Storia dei mondiali di calcio: 10^ puntata (1970, in Messico vince il Brasile, Italia seconda)
Altro che quattro, quattro, due, disponibilità al sacrificio, culto ossessivo del gruppo, diagonali, fuorigioco e sciocchezze assortite sul tema. Il Brasile del 1970, la più straordinaria squadra della storia del calcio, mai avrebbe visto la luce in questi tempi. Dopo la cocente delusione del 1966, il Brasile aveva in testa un solo obiettivo, vincere i campionati del mondo del 1970, organizzati dal Messico. Che già aveva accolto le Olimpiadi del 1968. Una singolare coincidenza voleva che ci fossero contemporaneamente cinque straordinari numeri dieci nel campionato verdeoro. Un qualunque allenatore di scuola sacchiana ne avrebbe fatto giocare uno soltanto. Zagallo, nel frattempo divenuto commissario tecnico, osò invece schierarli tutti assieme. Il dieci, con tutte le conseguenze del ruolo, cadde, noblesse oblige, sulle spalle di Pelé. Tostao si adattò come centravanti, Gerson arretrò in cabina di regia, Jarzinho andò all'ala destra, Rivelino all'ala sinistra. Un magnifico assieme di artisti del pallone, dribbling, tiro, giocate di prima. Quelli che nelle squadre di club erano tenori chiamati al do di petto, seppero cantare in coro come mai prima. L'Italia, campione d'Europa in carica, aveva tante stelle, da Mazzola e Rivera, chiamati dopo i quarti ad una sciocca staffetta, a Riva e Boninsegna, che nel Cagliari fino ad un anno prima bisticciavano e che in quell'estate trovarono una grande intesa, da Facchetti, a De Sisti, a Burgnich a Domenghini. In semifinale, contro la Germania Ovest, la partita era vinta allo scadere dei tempi regolamentari. Fu un gol di Schnellinger su dormita della difesa azzura a riaprire i giochi. Mazzola era uscito alla fine del primo tempo. Al suo posto Rivera. Nei supplementari colpi di scena a ripetizione, errori, gol, rimonte, fino al gol decisivo di Rivera per un 4-3 finale rimasto leggendario. Festa in tutta Italia e tricolori sventolanti nelle piazze: era la prima volta nel dopoguerra. Nell'altra semifinale, il Brasile ebbe ragione dell'Uruguay. In finale, il Brasile passò con un folgorante colpo di testa di Pelé, pareggio di Boninsegna. Dopo un'ora di gioco, l'Italia aveva tenuto botta. Poi, i brasiliani dilagarono. Gerson dalla distanza, Jarzinho con un diagonale dei suoi, infine il capitano verdeoro Carlos Alberto, all'esito di un'azione magistralmente diretta da Pelé. Terzo mondiale per il Brasile, che si aggiudicò definitivamente la Coppa Rimet. Capocanniere del torneo, il centravanti tedesco Gerd Muller, un torello implacabile in area di rigore, autore di dieci gol. (1^ puntata, 2^ puntata, 3^ puntata, 4^ puntata, 5^ puntata, 6^ puntata, 7^ puntata, 8^ puntata, 9^ puntata, 10^ puntata, 11^ puntata)
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venerdì 30 novembre 2012
Elzeviro: 2. Sandro Mazzola, immenso fuoriclasse
Con qualche giorno di ritardo, giunge un tributo a Sandro Mazzola per i suoi 70 anni. Bandiera dell'Inter, primo asso, assieme a Rivera e Riva, di statura internazionale, dopo la strepitosa generazione degli anni '30, Sandro Mazzola, che Brera per sintesi chiamava Mazzandro, è stato tra i pochi calciatori capaci di uscire dalla dimensione del campo di gioco e dei quotidiani sportivi, per entrare in quello che la sociologia degli anni '60 chiamava, con non poca enfasi, "immaginario collettivo". Predestinato, figlio di padre illustre, Valentino Mazzola, capitano del Grande Torino, tragicamente scomparso a Superga nel 1949, Sandro Mazzola seppe farsi strada tra lo scetticismo di tanti, che in lui volevano vedere il giovane raccomandato dalla fama paterna. All'Inter lo volle Benito Lorenzi, il rapidissimo attaccante toscano, terrore delle difese avversarie, che del padre era stato amico ed ammiratore. Esordì in serie A alla fine della stagione 1960/61, diciotto anni e mezzo, contro la Juventus. L'Inter per protesta schierava la formazione primavera e Mazzola segnò il gol della bandiera su rigore. Si riaffacciò in prima squadra, per diventare titolare, nella stagione 1962/63, quella del primo scudetto firmato Helenio Herrera ed Angelo Moratti. Non uscì più di squadra fino al 1977, quando si ritirò. Nel mezzo quattro campionati, due Coppe dei Campioni, con la folgorante doppietta al Real Madrid al Prater di Vienna nel 1964, due Coppe Intercontinentali. Fu centravanti, velocissimo, scattante, dal tiro saettante ed improvviso, eseguito con anticipo di movimento, dal dribbling agile e fulmineo, fu mezzala destra di primissimo ordine, costretto in nazionale a contendere il posto a Rivera, ch'era diverso da lui, dando vita ad una delle rivalità più celebri e letterarie della storia dello sport italiano, ala destra alla fine della carriera. Gol meravigliosi, come quello eseguito dopo infiniti palleggi in nazionale contro la Svizzera. Rispettato in tutta Europa, in tutto il mondo. Nove volte candidato al Pallone d'oro, dove fu secondo nel 1971, campione d'Europa nel 1968, vicecampione del Mondo nel 1970. Il suo stile di gioco divenne proverbiale, come proverbiale era stato lo stile, diversissimo, del padre. Quando si pensa alla storia degli anni '60, il nome di Sandro Mazzola si fa subito, tra i primi. Ecco dieci gol tra i suoi più belli.
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mercoledì 24 ottobre 2012
I dieci numeri 10 più forti della storia
Veniamo ai migliori numeri dieci della storia del calcio. Il numero dieci, da sempre, simboleggia il talento più puro, meno ordinario, quello capace di accendere la fantasia dei tifosi, di escogitare la giocata vincente, di decidere, magari con un colpo, una partita. Poi, è noto, negli anni '30 e '40 il 10 era sulla maglia della mezzala sinistra, in Italia Giovanni Ferrari o Valentino Mazzola, poi spesso identificò il regista, si pensi a Suarez, che però ho collocato in altra classifica. Pelé era un attaccante, che agiva dietro la prima punta. Cruijff, che accidentalmente indossava il numero 14, un uomo ovunque, Maradona semplicemente il calcio e via dicendo. Come per i centravanti, ai primi dieci aggiungo anche i secondi. Questa la classifica che propongo. Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 13 aprile 2022: estendo la classifica ai primi trenta numeri 10 più forti della storia.
*Aggiornamento del 13 aprile 2022: estendo la classifica ai primi trenta numeri 10 più forti della storia.
1. Maradona
2. Pelé
3. Cruijff
4. Messi
5. Zico
6. Schiaffino
7. Roberto Baggio
8. Platini
9. Zidane
10. Valentino Mazzola
11. Labruna
11. Labruna
12. Rivera
13. Ronaldinho
14. Totti
15. Cubillas
15. Cubillas
16. Zizinho
17. Modric
18. Michael Laudrup
19. Van Himst
20. Skoglund
21. Ricardo Bochini
22. Riquelme
23. Schuster
22. Riquelme
23. Schuster
24. Gascoigne
25. Bergkamp
26. Gullit
27. Francescoli
25. Bergkamp
26. Gullit
27. Francescoli
28. Hagi
29. Ballack
29. Ballack
30. Mancini
31. Overath
32. Del Piero
31. Overath
32. Del Piero
33. Rui Costa
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