Blog di critica, storia e statistica sportiva fondato l'11 maggio 2009: calcio, ciclismo, atletica leggera, tennis ...
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mercoledì 10 aprile 2024
lunedì 11 aprile 2022
Il calcio di Guardiola è sopravvalutato
Considero, non da oggi, sopravvalutato il calcio proposto da Guardiola. Che invece apprezzavo tanto da calciatore. Anche quando nessuno più lo cercava e fu Mazzone, raro intenditore, a volerlo con sé. Provo a spiegarmi.
1. Guardiola non ha inventato il tiki-taka.
Ricevere il pallone e passarlo e poi di nuovo, sino allo sfinimento degli avversari, nell'attesa di trovare un varco, premesso che non mi pare un gran modo di giocare al calcio, non è un'invenzione di Guardiola. E nemmeno di Aragones, c.t. della Spagna dal 2004 al 2008. Gli spagnoli hanno spesso giocato così, con fitte trame di passaggi. E i portoghesi anche. Il Portogallo di Figo, Rui Costa e Joao Pinto giocava così. Solo che aveva più dribbling, soprattutto con Figo e Pinto. Passarsi la palla, per muovere gli avversari e costringerli a concedere spazi era tipico - altro sport, stessi risultati - anche dell'Olimpia Milano di Dan Peterson. Le vittorie che sono arrivate attraverso questo modo di giocare sono dipese dalla qualità degli interpreti. La Spagna campione d'Europa nel 2008, aveva un centrocampo con Xavi, Iniesta e Xabi Alonso! Il Barca di Guardiola, oltre a Xavi e Iniesta aveva Busquets e, davanti, Messi e Eto'o il primo anno. Per tacere degli altri, tutti giocatori dalla tecnica raffinata.
2. Guardiola è un difensivista mascherato.
Come Sacchi, Guardiola fa del pressing alto la sua regola aurea. L'ha dichiarato mille volte: vuole riconquistare il pallone vicino all'area avversaria. Questo non è sempre possibile. E spesso le squadre di Guardiola sono state fulminate in contropiede. La maggiore abilità di Guardiola è quella comunicativa. Il suo sguardo spiritato, ieratico, da padre del deserto, ha fatto breccia nella stampa internazionale, che poco ha evidenziato i mercati faraonici cui Guardiola ha costretto le sue società. Eppure Bayern Monaco e City non hanno vinto la Champions con lui, fermo ai due successi con il Barca, ottenuti grazie all'irripetibile generazione di calciatori di quel Barca.
3. Guardiola allena per dimostrarsi bravo.
Guardiola cambia tanto, cambia sempre. Ruoli dei suoi giocatori, distanze tra i reparti. Cambia per dimostrare di essere bravo. Come Sacchi, per fare un esempio, nell'Europeo del 1996: Italia fuori al primo turno. Perché vuole intestare a sé ogni vittoria. Perché vuole la sua firma in calce a ogni successo. Ma, il successo, pur con i migliori giocatori che lui continuamente richiede - e che qualche volta mortifica - non sempre arriva. Con lui, un talento pure come Grealish deve giocare pochi minuti spalle alla porta. Il centravanti non lo vuole, s'è inventato la storia dello spazio come centravanti. E gli hanno creduto! Ha perso la finale di Champions contro il Chelsea lo scorso anno, facendo passare Tuchel, che non lo è, per un grande allenatore.
4. Manchester City-Liverpool non è stata una grande partita.
Tanti non saranno d'accordo, ma la gara di ieri sera a me non è piaciuta. Ho vista tanta confusione. Qualità tecnica diffusa, ma tanta confusione. E verticalità solo nel Liverpool di Klopp. Molti cross per nessuno del City: succede, senza un nove di ruolo. E quello di Cancelo che ha portato al gol di Gabriel Jesus, più che un'invenzione del terzino portoghese, è stato un fuorigioco sbagliato dai Reds. Insomma, non dico che Guardiola non sia bravo - anzi è stato bravissimo a edificare il proprio mito - ma non ha inventato alcunché. Il suo è un gioco, come dicevo in premessa, di difesa altissima, sostanzialmente monocorde, interpretato da grandi giocatori e, tutto sommato, non abbastanza vincente in rapporto alle spese di mercato.
venerdì 10 dicembre 2021
Inter e Juve agli ottavi, Atalanta in Europa League, Milan a casa
Bilancio appena sufficiente, dopo i gironi di Champions League. Inter, come seconda, e Juve, come prima, agli ottavi di finale. All'esito di gironi abbordabili. Atalanta in Europa League, dopo la sconfitta interna contro il Villareal: i giocatori di Gasperini pagano, più dell'inesperienza, che forse c'era tre anni fa, un gioco molto impegnativo da un punto vista nervoso e fisico. Il Milan, sempre celebrato dalla stampa, è arrivato quarto, con quattro punti: fuori da tutto. In un girone difficile, ma, insomma, tutto si può dire tranne che abbia brillato. Sacchi, a settembre, aveva dichiarato che Milan e Atalanta, a suo dire, avevano maggiore attitudine europea, più di Inter e Juve. Non mi stupisce minimamente, al netto degli avversari rispettivamente incontrati, che sia andata in modo completamente diverso.
lunedì 27 maggio 2019
Quanto era sopravvalutato il Milan di Sacchi!
La narrativa calcistica italiana è piena di luoghi comuni. Uno dei più frequentati è il Milan di Sacchi. Cui molti riconoscono una rivoluzione che non ci fu. Prendo spunto dall'intervista, bella comunque, che gli ha fatto Paolo Condò, andata in onda su Sky in questi giorni. Con Sacchi che si annette meriti altissimi, che si atteggia a grande riformatore, una sorta di Martin Lutero del rettangolo di gioco. Che evoca i padri fondatori - quattro annoiati studenti universitari inglesi, poco o punto consapevoli della fortuna che il gioco da loro codificato avrebbe avuto - per sostenere che il calcio dovrebbe essere offensivo, perché così nacque, o non essere. E abbiamo dovuto ascoltare il solito sermone sul catenaccio, che, ho provato a ricordarlo in un altro post, non nacque in Italia ma in Svizzera, sulla mentalità sparagnina degli allenatori italiani di maggioranza e sulla necessità, invece, tutta nordeuropea e modernista, di correre e assaltare e divertire, che, secondo Sacchi, il suo Milan avrebbe messo al centro del villaggio. Ho altri ricordi e alcune obiezioni:
- Il pressing, alto, portato persino dagli attaccanti, lungi dall'essere espressione di calcio offensivo, è invece il paradigma di una difesa perpetua, incessante. E stressante. Il pressing alto, la squadra corta e il sistematico ricorso al fuorigioco furono i canoni del gioco sacchiano. Gioco difensivo per eccellenza!
- L'avvento di Berlusconi al Milan ottenne di sommuovere gli equilibri del calcio italiano, donando ai rossoneri un vantaggio competitivo incomparabile, che principiò nell'era sacchiana e culminò ai tempi di Capello, quando il Milan aveva di fatto due squadre e gli altri una. Sacchi, questo, non lo ricorda? Sacchi aveva uno squadrone, quando vinse contro la Steaua Bucarest, nel 1989: Gullit e Van Basten, Rijkaard e Baresi, Ancelotti e Donadoni e Maldini. E andate a rivedere quei quattro gol rifilati ad una difesa allegra e sbandata. Guardate Gullit, lasciato solo ai limiti dell'area, che stoppa di petto e tira, con tutta calma.
- Quel Milan, in Italia, vinse solo uno scudetto in quattro anni. Grazie al tracollo inaspettato del Napoli di Maradona. Osservate il gol di Van Basten dell'1 maggio 1988 al San Paolo: Gullit si fa 60 metri palla al piede. Epperò non incontra un avversario sul suo cammino. Non uno che provi a fermarlo. Grande progressione, per carità. Ma, il Napoli non c'era più. Da un paio di mesi.
lunedì 10 settembre 2018
Elezeviro: Sacchi e Balotelli
giovedì 7 dicembre 2017
Ancora sui limiti di Sarri e la crisi del Napoli
lunedì 13 febbraio 2017
I 50 anni di Roberto Baggio. Cinque ragioni per ricordarlo
- Il dribbling: un fondamentale, che non si allena o che si allena poco. Baggio ne è stato un virtuoso naturale. Grazie alla sapienza innata del tocco, alla padronanza del palleggio, alle finte di corpo ed allo scatto fulmineo. Aveva non solo il primo, ma anche il secondo ed il terzo, qualche volta il quarto dribbling. Come oggi solo Messi. E prima di lui, Meazza, Di Stefano, Garrincha, Pelé, Sivori, Sandro Mazzola, Cruijff, Best, Zico e poi Ronaldo, il brasiliano. Me ne dimentico pochi.
- Il senso del gol: 318 gol da professionista, sesto italiano assoluto, dopo Piola, 364 gol, Del Piero, 346 gol, Meazza 338 gol, Totti, 323 gol e Toni, 322 gol. Roberto Baggio ha segnato in tutti i modi, persino di testa ogni tanto, grazie alla precisione chirurgica del tiro, spesso eseguito in anticipo, prendendo il portiere in contropiede. Di destro e di sinistro, in area e fuori dall'area, quasi mai di forza, sempre con eleganza. E tanti gol nelle occasioni solenni, 9 ai mondiali, come Paolo Rossi e Vieri, il quale ultimo, però, segnò solo un gol, contro la Norvegia nel '98, nelle gare ad eliminazione diretta. Baggio, invece, trascinò letteralmente la triste Italia di Sacchi alla finale di Usa '94, perduta ai rigori contro il Brasile. L'errore di Baggio dal dischetto, un dispetto di un destino saragattianamente cinico e baro, fece il giro del mondo. Ma, senza di lui, quell'avventura azzurra sarebbe terminata molto prima.
- Il gioco contro tempo: fateci caso, la maggior parte dei calciatori, approssimandosi la porta, accelera, aumenta la frequenza dei passi, si fa frenetica. Baggio, no. Alla vista del portiere, più spesso, rallentava. Aspettava il difensore farglisi sotto e poi, dribbling a rientrare, con il destro od il sinistro, e tiro all'angolo con il piede opposto. Questo incedere caracollante, quasi esitante ed invece colmo di forza consapevole, a Brera, che lo vide nei primi anni di carriera, ricordava il grande Meazza.
- L'invidia degli allenatori: sebbene Baggio non avesse il piglio del comando, per tutta la carriera, e forse con la sola eccezione di Mazzone al Brescia, fu sofferto moltissimo dagli allenatori. Su tutti Lippi, che lo mandò via dalla Juve e gli preferì persino Russo all'Inter, e Capello, che lo sostituiva con immancabile puntualità. Ma, anche Ulivieri a Bologna, dove Baggio risorse, 22 gol all'esito di un campionato che lo condusse al suo terzo mondiale, quello di Francia '98. E perché? Perché Baggio, asso naturale, riusciva, quasi senza volerlo, a dimostrare la superiorità del singolo sul gruppo, dell'estro sullo spartito, dell'assolo sulla sinfonia, del guizzo sulla tattica. Sacchi, che ne trasse immensi benefici in nazionale, ancora oggi, trova modo e maniera di punzecchiare Baggio. E solo perché costui si era opposto alla monacazione forzata nei suoi schemi.
- L'individualismo ai tempi della mistica del gruppo: Gramsci scrisse che "i più non esistono fuori dell'organizzazione". E tutto sommato è vero. Ecco, Roberto Baggio nel novero dei più non c'è stato e non poteva starci. E' sopravvissuto alla più grande e più inutile rivoluzione della storia del calcio. Quella cominciata proprio da Sacchi, perché il calcio totale olandese era ben altro, come ben altro era stata la meravigliosa Ungheria di Puskas. Giocava da solo Baggio, il che non significa che non servisse assist meravigliosi ai compagni o che non ne ricevesse. Ma, insomma, non rincorreva gli avversari, non ripiegava, come si dice malamente da qualche lustro a questa parte. Non andava a tempo. Epperò decideva. Ha cambiato molte squadre in carriera, diventando il beniamino di tutte le tifoserie. Egregio, perché fuori dal gregge. Un campione senza tempo.