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lunedì 27 maggio 2019

Quanto era sopravvalutato il Milan di Sacchi!

La narrativa calcistica italiana è piena di luoghi comuni. Uno dei più frequentati è il Milan di Sacchi. Cui molti riconoscono una rivoluzione che non ci fu. Prendo spunto dall'intervista, bella comunque, che gli ha fatto Paolo Condòandata in onda su Sky in questi giorni. Con Sacchi che si annette meriti altissimi, che si atteggia a grande riformatore, una sorta di Martin Lutero del rettangolo di gioco. Che evoca i padri fondatori - quattro annoiati studenti universitari inglesi, poco o punto consapevoli della fortuna che il gioco da loro codificato avrebbe avuto - per sostenere che il calcio dovrebbe essere offensivo, perché così nacque, o non essere. E abbiamo dovuto ascoltare il solito sermone sul catenaccio, che, ho provato a ricordarlo in un altro post, non nacque in Italia ma in Svizzera, sulla mentalità sparagnina degli allenatori italiani di maggioranza e sulla necessità, invece, tutta nordeuropea e modernista, di correre e assaltare e divertire, che, secondo Sacchi, il suo Milan avrebbe messo al centro del villaggio. Ho altri ricordi e alcune obiezioni:


  1. Il pressing, alto, portato persino dagli attaccanti, lungi dall'essere espressione di calcio offensivo, è invece il paradigma di una difesa perpetua, incessante. E stressante. Il pressing alto, la squadra corta e il sistematico ricorso al fuorigioco furono i canoni del gioco sacchiano. Gioco difensivo per eccellenza! 
  2. L'avvento di Berlusconi al Milan ottenne di sommuovere gli equilibri del calcio italiano, donando ai rossoneri un vantaggio competitivo incomparabile, che principiò nell'era sacchiana e culminò ai tempi di Capello, quando il Milan aveva di fatto due squadre e gli altri una. Sacchi, questo, non lo ricorda? Sacchi aveva uno squadrone, quando vinse contro la Steaua Bucarest, nel 1989: Gullit e Van Basten, Rijkaard e Baresi, Ancelotti e Donadoni e Maldini. E andate a rivedere quei quattro gol rifilati ad una difesa allegra e sbandata. Guardate Gullit, lasciato solo ai limiti dell'area, che stoppa di petto e tira, con tutta calma. 
  3. Quel Milan, in Italia, vinse solo uno scudetto in quattro anni. Grazie al tracollo inaspettato del Napoli di Maradona. Osservate il gol di Van Basten dell'1 maggio 1988 al San Paolo: Gullit si fa 60 metri palla al piede. Epperò non incontra un avversario sul suo cammino. Non uno che provi a fermarlo. Grande progressione, per carità. Ma, il Napoli non c'era più. Da un paio di mesi.
Ecco, Sacchi queste cose non le ha ricordate. E, poi, vedemmo quante difficoltà ebbe in nazionale. Che, con lui in panchina, spesso giocò male. Che raggiunse la finale a Usa 1994 solo grazie all'estro di Roberto Baggio e fu malamente eliminata agli Europei inglesi di due anni dopo. E ricordiamo anche la fallimentare esperienza di Sacchi al ritorno sulla panchina rossonera nella stagione 1996/97. Allora, quale rivoluzione? Grande società, grandi giocatori, pochi avversari di livello in Europa - squadre inglesi assenti per un quinquennio - e la cura maniacale di una difesa, che cominciava subito, con Van Basten, e non finiva più. A tutto campo e per tutto il tempo, questo sì, per indulgere ad una locuzione tanto cara a Sacchi. Per concludere: quanti giocatori ricordate, così, a memoria, del Nottingham Forest che vinse la Coppa dei Campioni nel 1979 e nel 1980? E quanti del Milan che fece doppietta dieci anni dopo? Rispondete. Dopo aver risposto, avrete un'idea su chi abbia inciso di più tra Brian Clough ed Arrigo Sacchi.

mercoledì 6 gennaio 2016

Vincono Fiorentina e Juve, cade il Milan, pari inutile per la Roma

Ilicic è oggi la miglior mezzala del campionato: una sua doppietta spiana la strada al successo della Fiorentina sul campo del Palermo. La Juve coglie l'ottava vittoria consecutiva contro il Verona, portandosi a due punti dalla Fiorentina per ora capolista solitaria, in attesa che giochino Inter e Napoli. Sconfitta interna del Milan contro il Bologna dell'ottimo Donadoni: pericola Mihajlovic. Passo falso della Roma contro il Chievo del sottovalutato Paloschi, anche oggi a segno. Garcia rischia la panchina.

martedì 25 novembre 2014

Zenga non sbagliò sul gol di Caniggia ad Italia '90

Storia della colonna infame sportiva. Ecco, avrebbe dovuto essere questo il titolo più o meno manzoniano del post. Ma, insomma, per semplificare, si dirà che Zenga non sbagliò nelle semifinali mondiali del 1990 contro l'Argentina, che il gol di Caniggia fu un errore di squadra e dei difensori e non di Zenga. Donadoni, sfiatato, perde palla goffamente sulla trequarti avversaria, anzi propriamente la regala. Parte un contropiede manovrato dell'Argentina, palla a Maradona metà campo, triangolo, palla a Troglio, cross e palla, strana, bizzarra, soprattutto bassa, bassa come Caniggia, vicino all'area piccola, Ferri non interviene, Baresi nemmeno, se Zenga restasse in porta, la zuccata di Caniggia verso il palo lontano finirebbe in porta comunque. Zenga esce, ma la palla è bassa, bassa come Caniggia. E la palla finisce in porta. Ci sarebbe finita comunque. Eppure la storia verrà raccontata così: errore di Zenga, Italia eliminata. Non si parlerà invece di un contropiede che mai sarebbe dovuto partire, di un centrocampo azzurro che non contrasta gli argentini, di Baresi e Ferri che nemmeno riescono ad assestare una spallata di gioco a Caniggia. Né si parlerà degli errori precedenti di Vialli, paragonabili soltanto a quelli di Del Piero ad Euro 2000 contro la Francia. Non si parlerà dei rigori oratoriali calciati da Serena e Donadoni. Non si parlerà dei cambi sbagliati da Vicini, che tira fuori un rigorista scelto come Giannini, che esclude dall'inizio un Berti in grande forma, per schierare De Agostini che si pesta i piedi con Maldini. Di tutto questo non si parlerà. Perché c'è il capro espiatorio. Zenga. E la sua uscita improvvida. Che improvvida fu. Ma, soltanto per lui. Quella palla, bassa come Caniggia, finita sulla testa di Caniggia, che era basso come quella palla, in porta ci sarebbe finita comunque, anche se Zenga non fosse uscito. Uno studio appena scientifico di quella traiettoria lo dimostrerebbe. Storia di una colonna infame sportiva. Zenga non sbagliò. Non fu sua la colpa se la nazionale italiana più forte degli ultimi 40 anni, dopo quella del 1982, mai sconfitta nei tempi regolamentari, non vinse quel mondiale delle notti magiche.

domenica 26 ottobre 2014

Cassano 111 gol in serie A, 151 gol in carriera. Ma, il Parma è in crisi nera

Ancora una sconfitta per il Parma di Cassano, che si salva nella disfatta con un gol, utile più alle statistiche che ad altro. La crisi nera del Parma, complice una campagna di indebolimento che in estate ha privato Donadoni dei giocatori di maggior qualità, rischia di diventare irreversibile. A gennaio, occorreranno rinforzi, soprattutto in difesa. Quanto a Cassano, con la rete di ieri, diventano 111 i gol in serie A, 151 i gol in carriera. Il fuoriclasse barese farebbe ancora la differenza nel nostro campionato e dispiace vederlo impegnato nella lotta per non retrocedere.