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giovedì 3 febbraio 2022
lunedì 4 maggio 2020
Perché il Grande Torino fu così grande?
Sono rimasti in trasferta, per riprendere il toccante finale dell'articolo con il quale Montanelli ricordò la tragica scomparsa, sulla collina di Superga, del Grande Torino, di Novo ed Herbstein, avvenuta giusto 71 anni fa. Di quella squadra leggendaria si è scritto di tutto. Si è raccontato tutto. Ma, perché, calcisticamente, fu così grande? Provo a spiegarlo in tre punti.
- Anzitutto, una generazione irripetibile di talenti. Il presidente Novo voleva i migliori e li ebbe. Valentino Mazzola su tutti, giocatore universale prima di De Stefano e di Cruijff. Leader tecnico e carismatico, baricentro basso, mancino ma abilissimo con il destro, coriaceo nei contrasti, devastante in progressione, suggeritore e finalizzatore. Quando trovi un simile campione, il resto viene di conseguenza. E il "brasiliano" Maroso sulla sinistra. E il "gemello" di Mazzola, Loik. Il centravanti Gabetto, il mediano Grezzar, l'ala Ossola. Tutti fuoriclasse, tutti assieme.
- Il gioco nuovo. Un'applicazione originale del Sistema nell'Italia del Metodo. Meno lanci, molti più passaggi secondo la filosofia danubiana. Allenamenti individuali mirati, per rinforzare il piede debole, ritiri, preparazione atletica intensa. E l'importanza del movimento senza palla. Quello che apre e favorisce nuove linee di passaggio. E muoversi, invece di aspettare palla addosso, significa mutare posizione, sparigliare, confondere gli avversari. Il calcio totale, che già era stato sperimentato in Svizzera per la verità, si consolida con il Grande Torino. Mazzola, in campo, puoi trovarlo ovunque. Ovunque serva.
- Il secondo dopoguerra. C'è un'energia nell'aria dell'Italia della ricostruzione. C'è un desiderio di rivincita e di ripresa. Il Torino lo incarna naturalmente. Ha un carattere indomabile. Di qui le rimonte proverbiali. Si tratta di una squadra vera, che si muove come un blocco unico. Insomma, ha un'anima, che avvince e tiene assieme tutti i giocatori.
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martedì 16 ottobre 2012
Le dieci migliori mezze ali della storia
La mezz'ala è il ruolo più difficile del calcio. Un ruolo che ha spesso rischiato di estinguersi, costretto nelle forche caudine del 4-4-2, il modulo meno intelligente mai concepito. Ad ogni modo la mezzala, si scrive pure senza apostrofo, è stato il ruolo di strepitosi interpreti del gioco del calcio. Facitori di gioco e goleador, incursori e registi, qualche volta anche interdittori. Insomma una summa del gioco. Segue classifica. Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 21 marzo 2023.
1. Meazza*Aggiornamento del 21 marzo 2023.
2. Denis Law
3. Didì
4. Kocsis
5. Gerson
3. Didì
4. Kocsis
5. Gerson
6. Hector Scarone
7. Sandro Mazzola
8. Iniesta
9. Neeskens
10. Socrates
11. Kubala
7. Sandro Mazzola
8. Iniesta
9. Neeskens
10. Socrates
11. Kubala
12. Zsengeller
13. Gunter Netzer
14. Modric
15. Bernd Schuster
16. Giovanni Ferrari
17. Gren
18. Loik
19. Ballack
20. Scholes
21. Gerrard
22. Giresse
23. Lampard
24. Antognoni
13. Gunter Netzer
14. Modric
15. Bernd Schuster
16. Giovanni Ferrari
17. Gren
18. Loik
19. Ballack
20. Scholes
21. Gerrard
22. Giresse
23. Lampard
24. Antognoni
25. Bryan Robson
26. Tardelli
27. Seedorf
28. Junior
29. De Bruyne
30. Overath
31. Cerezo
32. Prosinecki
26. Tardelli
27. Seedorf
28. Junior
29. De Bruyne
30. Overath
31. Cerezo
32. Prosinecki
33. Scifo
34. David Silva
35. Toni Kroos
36. Nicola Berti
37. Souness
38. Boban
37. Souness
38. Boban
39. Rakitic
40. Pogba
41. Willy Van de Kerkhof
42. Olaf Thoen
43. David Platt
44. Joao Pinto
45. Mario Basler
46. Wijnaldum
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domenica 20 maggio 2012
Il Torino torna in serie A dopo un lungo purgatorio. Sale anche il Pescara di Zeman
E' finito il purgatorio del Torino, squadra di blasone antico, che torna al proprio posto: in serie A. Vittoria per 2-0 sul Modena, per salutare i cadetti. Era ora. Dopo una lunghissima sequela di illusioni e delusioni, la squadra gloriosa che fu di Valentino Mazzola e di Loik, di Meroni e Claudio Sala, di Pulici e Zaccarelli e Dossena e Ferrante, rivede il proscenio che merita. Bentornato Torino. E bentornato anche al Pescara di Zeman, promosso dopo il successo esterno contro la Sampdoria. Il tecnico boemo ha valorizzato alcuni giovani di talento, come Insigne, Immobile e Verratti, dei quali sentiremo parlare a lungo.
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martedì 8 novembre 2011
Perché la Lazio può vincere lo scudetto
La Lazio può vincere lo scudetto. Non tanto per il fatto di essere ora in testa alla classifica, in condominio con l'Udinese. Il che pure conta qualcosa. Ma, piuttosto, perché il gruppo biancoceleste è davvero forte. Soprattutto tra centrocampo ed attacco. Hernanes è la miglior mezzala del campionato, mezzala classica, un otto puro per intenderci, capace di corsa e forte di tecnica e con il talento, oggi sempre più raro, di calciare molto bene dalla distanza. Lampard, che tutto sommato ha carrateristiche analoghe, tiene a galla il Chelsea a 33 anni, propriamente per l'attitudine ad interpretare un ruolo antico, che fu di Loik e di Denis Law, di Sandro Mazzola seconda maniera e di Neeskens, certo ciascuno a suo modo. Ledesma, per tornare alla Lazio, è un mediano di qualità, Brocchi corre ancora molto. Davanti, poi, Klose, fortissimo, è in stato di grazia, Cissè sa fare decisamente meglio di quanto abbia mostrato finora e sono convinto che tornerà presto decisivo, da Rocchi possono venire gol preziosi e via dicendo. La difesa, come sempre nelle squadre di Reja, è accorta, Marchetti è un grande portiere. Insomma, magari con un paio di innesti mirati a gennaio, la Lazio può davvero vincere quello che sarebbe il suo terzo scudetto. Stiamo a vedere.
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