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mercoledì 17 giugno 2020

Finale Coppa Italia: Napoli-Juve 4-2

Roma, Stadio Olimpico, ore 21:00, finale di Coppa Italia, tra Napoli e Juve. Sarri sfida il suo passato. Il Napoli di Gattuso ha la grande occasione di tornare alzare un trofeo. Nell'immediata vigilia, la partita mi pare equilibrata. Ma, un pronostico lo faccio ugualmente: vincerà il Napoli.

La cronaca.
Partiamo dalla fine. Ha vinto il Napoli. E mi ero sentito di pronosticarlo perché la Juventus vista contro il Milan mi era parsa davvero malmessa. Il Napoli di Gattuso è invece ordinato, solido, compatto. E nella gara regolamentare ha fatto meglio, ha  colpito due pali, ha avuto più occasioni, sopratutto nel finale. Pareggio a reti inviolate, si va direttamente ai rigori. Dal dischetto, due errori bianconeri di Dybala e Danilo.

Emblematica la faccia di Cristiano Ronaldo, mai visto giocare così male, dopo la partita. Prima di arrivare alla Juve, le finali di solito le vinceva.

Ultima notazione. Sarri ha perso contro il suo passato. C'era stato un Napoli di Sarri. Che ancora si ricorda. Una Juve di Sarri, invece, non s'è mai vista. Gioco lento, ripetitivo, senza strappi. Demme,  da solo, ha messo nel sacco tutto il centrocampo bianconero. Soprattutto dopo l'ingresso del sopravvalutato Bernardeschi.

Messico e nuvole: Italia-Germania 4-3 50 anni dopo

"Messico e nuvole / La faccia triste dell'America / Il vento soffia la sua armonica / Che voglia di piangere ho" (Paolo Conte)

Sono passati 50 anni, tanti. Da quel 17 giugno 1970, quando l'Italia si fermò per assistere ad una partita, che sarebbe divenuta proverbiale. La semifinale dei campionati del mondo di Mexico '70, ancora nominati Coppa Rimet.

File:Commemorative plaque Aztec Stadium.jpg - Wikipedia
Targa celebrativa della partita del Secolo
Italia-Germani 4-3, Mexico '70

L'Italia, campione d'Europa in carica, era giunta in semifinale tra molti stenti, dipesi dall'altura, dalla rarefazione dell'aria sopra i 2.000 m - anzi i 2.500 m, considerato che le prime quattro partite furono giocate a Toluca, 2.660 metri sul livello del mare - dalla cosiddetta maledizione di Montezuma, che attentava alle viscere dei giocatori.

La staffetta Mazzola-Rivera.
La spedizione azzurra era partita tra mille polemiche. Centro delle quali era Gianni Rivera, capitano del Milan e pallone d'oro in carica, entrato in rotta di collisione con il capo delegazione Mandelli. La stampa si divideva tra lui e Mazzola. Mazzola Sandro, figlio dell'immenso Valentino, che era capitano dell'Inter. Mazzola, dopo avere terrorizzato per un quinquennio le difese di mezza Europa con la sua velocità, il suo dribbling stretto ed il tiro fulmineo, secco, anticipato, aveva deciso di arretrare a mezzala. Forse per avvicinarsi al mito paterno. Da lì erano nati, più nella testa degli addetti ai lavori che in campo, problemi di coesistenza con Rivera. Che pure era un sontuoso dieci, dal tocco elegante ed illuminato, ma, come sosteneva Brera, di poco nerbo atletico. A conti fatti, i due avrebbero potuto coesistere, avendo un gioco diverso e complementare. E giocarono assieme tanto in azzurro, prima e dopo Messico '70. Quando, a partire dai quarti di finale contro i padroni di casa, il tecnico Valcareggi optò per una staffetta tra i due. Il primo tempo a Mazzola, più dinamico e ficcante, il secondo a Rivera, per inventare in favore di Riva e Boninsegna, a ritmo calato e avversari più stanchi. A dirla tutta, Valcareggi, Rivera, non lo vedeva in campo dall'inizio a prescindere da Mazzola. Nella prima partita del girone eliminatorio, vinta 1-0 contro la Svezia, gol di Domenghini, Rivera non giocò affatto. Lo stesso accadde nella gara successiva contro l'Uruguay. Riverà entrò, proprio all'inizio del secondo tempo, contro Israele: altro pareggio a reti bianche. Ai quarti, contro il Messico, Rivera era entrato ad inizio secondo tempo al posto di Domenghini. Mazzola avrebbe poi raccontato di aver avuto problemi di stomaco, il solito Montezuma, alla vigilia della partita con il Messico, ai quarti. E fu allora  che Valcareggi programmò di fargli giocare il primo tempo, per far poi posto a Rivera. L'Italia vinse 4-1, con reti azzurre di Riva (2), Rivera, proprio lui, e un'autorete. In semifinale, forse per la scaramanzia tanto cara al mondo del calcio, si decise per la medesima mossa.

La partita.
Mazzola spese il suo gioco dalle parti di Beckenbauer, libero a modo suo, cioè vero regista arretrato e primaria fonte del gioco tedesco, annullandolo. L'Italia era attenta, ma non guardinga e trovò prestò il gol, 8' del primo tempo, con un diagonale mancino di Boninsegna. Uno che nemmeno ci sarebbe stato in quei mondiali, senza l'infortunio di Anastasi. E che, a Cagliari, aveva faticato a trovare l'intesa con Riva. Da lì in poi, azzurri in controllo. Dopo l'intervallo, fuori Mazzola, tra i migliori, dentro Rivera. Ma, i tedeschi sembravano non averne. E la partita si avviava al tramonto senza grandi colpi di scena. Fino al recupero, quando l'ala sinistra alemanna Grabowski crossò in area per Schnellinger, che pare lì si trovasse per prima raggiungere gli spogliatoi e sfogarvi la delusione dell'eliminazione. E il terzino milanista segnò in spaccata. Difesa azzurra assente, dal libero Cera a Facchetti, apparso sotto tono. Pareggio e supplementari.

I supplementari.
Fu ai supplementari che una partita tutto sommato noiosa prese una piega inaspettata ed epica. Cinque gol cinque. Prima il mortifero centravanti tedesco Gerd Muller, a rapinare un pallone vagante in area piccola - nuovo errore sesquipedale della retroguardia azzurra -, poi, Riva, con magico sinistro incrociato a pareggiare. Quindi Burgnich, roccioso terzino mai domo a riportare avanti gli azzurri. Poi, ancora Muller a sorprendere Albertosi e, proprio lui, Rivera, sulla linea di porta. Ma lo sceneggiatore più geniale della storia del calcio volle che, ripreso il gioco, da Facchetti palla a Boninsegna, corsa sulla sinistra, cross e Rivera, proprio lui, ad insaccare di piatto destro alla destra di Maier, che si tuffava dalla parte opposta. Italia-Germania, che era ancora Germani Ovest per la verità, 4-3 e la fama di partita del secolo. 

Il mito.
Sarei nato cinque anni più tardi, ma di quella partita ho sentito parlare sin da piccolo e ricordo il film sulla Rai che nel 1990 - prima dei mondiali di casa nostra, che avremmo dovuto vincere e non vincemmo - ne rievocò il clima, i sentimenti e gli umori. Ne ho letto mille e mille volte. Resoconti ed interviste. Ho visto e rivisto quella partita. Che, a dirla tutta, non fu bella, anzi piena di errori, però, provate a trovarne un'altra, più simbolica, più iconica e, sì, più rappresentativa di quel mistero senza fine bello, parole di Brera, che è il calcio. Sono 50 anni oggi. Ma, è come fosse ieri.

Città del Messico, Stadio Azteca
Mercoledì 17 giugno 1970, ore 16:00
Italia-Germania Ovest 4-3 d.t.s.
9^ Coppa Rimet (Semifinali)

Italia: Albertosi (Cagliari), Burgnich (Inter), Facchetti (Inter) -cap.-, Bertini (Inter), Rosato (Milan), Cera (Cagliari), Domenghini (Cagliari), Mazzola (Inter), Boninsegna (Inter), De Sisti (Fiorentina), Riva (Cagliari) - Sostituzioni: Rivera per Mazzola 46', Poletti (Torino) per Rosato 91' - C.T.: Ferruccio Valcareggi.

Germania Ovest: Maier, Vogts, Patzke (65' Held), Beckenbauer, Schnellinger, Schulz, Gabrowski, Seeler - cap. -, Gerd Muller, Overath, Lohr - C.T.: H. Schon.

Arbitro: Yamasaki (Messico)

Reti: Boninsegna (I) 8', Schnellinger (G) 90', G. Muller (G) 94', Burgnhic (I) 98', Riva (I) 104', G. Muller (G) 110', Rivera (I) 111'.

Spettatori: 105.000 circa.

martedì 16 giugno 2020

Inter: Sebastiano Esposito merita più spazio

Lukaku, ferma la difficoltà a decidere le partite importanti, è alla ricerca della miglior condizione: la sua mole richiede tempo, dopo la pausa imposta dal Covid.


Lautaro s'immagina già al Barca. Ed il suo sostituto naturale, Sanchez, è un giocatore forte ma logoro, il cui rendimento nelle ultime stagioni è sempre stato in discesa: quindici anni di professionismo si sentono.


Ora, essendo questa la situazione dell'attacco nerazzurro, concederei più spazio a Sebastiano Esposito: giovane, determinato e talentuoso. Ricordo che, nel 1988, Trapattoni, con Serena spesso infortunato, diede spazio al giovane Massimo Ciocci, ricavandone gol e belle prestazioni. Poi Ciocci, tolto il grande anno di Cesena, stagione 1990/91, non mantenne le promesse iniziali. Anche perché incappò, la stagione successiva, tornato all'Inter, nella confusione generata dalla rivoluzione di Orrico. Ma, questa è un'altra storia.

Ciò che voglio dire è che puntare su un giovane talento è sempre importante. Ben che vada, si sarà scoperto un campione. In caso contrario, il giocatore avrà sempre il tempo per riproporsi. L'Inter non avrebbe alcunché da perdere. Contro il Borussia Dortmund, Esposito fece vedere bei numeri. Poi, ha avuto rare occasioni di mettersi in mostra. Quelle occasioni che Conte dovrebbe concedergli ora, facendo di necessità virtù.

Tour de France 1982: Hinault IV

Fu il Tour de France degli olandesi, quello del 1982, con quattro corridori piazzati tra i primi dieci della classifica generale. Due dei quali sul podio. Non sul gradino più alto, però, dove si assise, per la quarta volta in carriera, Bernard Hinault.


Route of the 1982 Tour de France.png
Tour de France 1982

L'asso bretone fu subito maglia gialla, con la vittoria nel cronoprologo di Basilea. Poi, il simbolo del primato passò sulle spalle del primo corridore australiano di grande valore, almeno su strada, Phil Anderson. Hinault, tornò in vetta il giorno della festa nazionale francese, dopo l'ennesima cronometro, vinta dall'olandese, si è detto che fu il loro Tour, Knetemann. L'avrebbe tenuta sino a Parigi, difendendola in montagna e puntellandola a cronometro, dove avrebbe colto altri due successi parziali a Martigue e Saint-Priest. 

A Parigi, primo Hinualt, secondo, per la sesta volta in carriera!, l'olandese Zoetemelk, a 6'21", terzo l'olandese Van der Velde, a 8'59", quarto l'olandese Peter Winnen, a 9'24". E poi nono l'olandese Kuiper

All'epoca, gli italiani disertavano in massa il Tour. Il meglio piazzato risultò lo scalatore Mario Beccia, trentatreesimo a 52'35".

Da segnalare che ci furono 145,2 km di cronometro individuale più 69 km di cronometro a squadre, per complessivi 214,2 km contro il tempo. E una cronometro a squadre di ulteriori 73 km fu annullata per via di una manifestazione. Evidente era l'intenzione degli organizzatori di favorire Hinault, formidabile cronoman. Dei suoi 28 successi parziali al Tour, 13 arrivarono contro il tempo! Tre meno di Merckx, 16 cronometro al Tour, a fronte dei 34 trionfi parziali, altro record!, terzo, in questa speciale classifica, un altro grande francese, ma normanno, Anquetil, 11 successi contro il tempo.

lunedì 15 giugno 2020

La stagione di Conte all'Inter: il bivio

L'eliminazione dalla Coppa Italia brucia ancora. Perché l'Inter ha sprecato l'occasione di giocare per il titolo. Come, in autunno, ha sprecato la possibilità di qualificarsi agli ottavi di Champions.

Conte era stato ingaggiato per vincere subito, definito da Marotta "top player metaforico". Per ora, è andata diversamente. Conte pratica sempre lo stesso calcio, fatto di corsa, pressing, gioco sulle fasce. Non rinuncia al dogma dei 3 difensori nemmeno contro un solo attaccante, com'è accaduto nella partita contro il Napoli. Il suo è un calcio logorante ed ormai privo di segreti per gli avversari. Funziona solo con una condizione atletica ottimale. Che, in una stagione, può durare pochi mesi. Figuriamoci ora, dopo la pausa imposta dal Covid

La stagione non è finita. E, al netto dei miei pregiudizi, mai negati, su Conte, per il suo passato bianconero - non l'avrei voluto all'Inter - potrebbe anche finire meglio di come si sia messa. In Europa League, la migliore Inter potrebbe dire la sua. E persino in campionato, vista la Juve arrancante ed un calendario favorevole, l'ipotesi di una rimonta è non del tutto irreale. Il problema è proprio ciò che sarà nel prossimo mese e mezzo. Vincere o andare vicini a vincere non sarebbe come piazzarsi terzi o, peggio, quarti in campionato, uscendo presto in Europa League

Né si può invocare i pretesi miglioramenti nel gioco. Che ho visto fino ad un certo punto. E fino a dicembre. Sicché, e concludo, o Conte vince l'Europa League (risultato minimo: semifinali) o vince il campionato (risultato minimo: secondo posto), oppure il sacrificio di accettarlo sulla panchina dell'Inter, per quel che mi riguarda, non sarà valso la pena. Anche perché non venitemi a dire che il Napoli di Gattuso è più forte dell'Inter. O che lo è la Lazio di Inzaghi, che dispone di una rosa palesemente più corta.

Tour de France 1978: la prima di Hinault

Bernard Hinault, bretone di Yffiniac, dopo essere passato al professionismo nel 1975, evitò di correre il Tour fino al 1978. Quando vi si presentò, dopo aver già conquistato la Vuelta a Espana. 

Route of the 1978 Tour de France.png
Tour de France 1978
La concorrenza era forte, dal connazionale Thevenet, vincitore di due Tour, tra cui l'ultimo del 1977, lo scalatore belga Van Impe e l'eterno secondo olandese Zoetemelk (che, poi, il suo unico Tour de France l'avrebbe conquistato a 34 anni nel 1980, approfittando proprio del ritiro di Hinault). 

La prima maglia gialla fu dell'olandese da classiche Raas. Nella quarta frazione, la cronometro a squadre penalizzò moltissimo Hinault, costretto a un difficile recupero. Il 7 luglio, giorno dell'ottava tappa, il suo primo acuto alla Grande Boucle. Contro il tempo: da Saint Emilion a Sainte-foi-la-Grande, in Nuova Aquitania, alla vigilia dei Pirenei. La maglia gialla si trasferì sulle spalle del belga Bruyère. 

Sui Pirenei, il ritiro inaspettato di Thevenet, che apriva spazio alle ambizioni di tutti gli altri, a cominciare da Hinault. Il giorno della festa nazionale francese, a cronometro, fu la volta di Zoetemelk, che si vestì di giallo all'esito della frazione conclusa sull'Alpe d'Huez: vincitore di giornata fu Kuiper, che precedette Hinault di soli 8". Zoetemelk prese comunque la maglia gialla, tenendola nelle successive frazioni alpine. Fino alla terza, e più lunga, cronometro  individuale di quel Tour, 72 km, da Metz a Nancy, che Hinault stravinse, infliggendo a Zoetemelk un ritardo di 4'10", quasi 3,5" a chilometro! Fu il trionfo, poi celebrato due giorni dopo a Parigi. Dove salì sul gradino più alto del podio, precedendo Zoetemelk di 3'56" ed il portoghese Agostinho di 6'54".

Bernard Hinault 1978 (cropped).jpg
Bernanrd Hinault, 1978
Per Hinault, sarebbe stato il primo di cinque Tour de France. Il secondo dei dieci Grandi Giri conquistati in una carriera straordinaria.

sabato 13 giugno 2020

Napoli-Inter: 1-1. Conte fallisce ancora. Napoli in finale di Coppa Italia

Stadio San Paolo di Napoli, ore 21.00.

L'Inter cerca di rimontare il risultato dell'andata. E ci riesce subito con un angolo di Eriksen che sorprende Ospina. Il portiere del Napoli saprà poi riscattarsi con almeno due grandi parate. E l'assist per Insigne, che, a fine  primo tempo, guida magistralmente un ribaltamento di fronte dopo un angolo per l'Inter. Gol di Mertens, che sale a 122 gol  nella storia azzurra. Staccato Hamsik. Il belga è capocannoniere assoluto. Pessimo lo schieramento della difesa nerazzurra nell'azione. Prendere un gol in contropiede, essendo in vantaggio, è un'assurdità. Evidenti le colpe di Conte, che non ha saputo guidare il posizionamento dei suoi uomini. E certe situazioni vanno previste e preparate in allenamento. È toccato ad Eriksen rincorrere Insigne! Nella ripresa, Inter sotto tono. A nulla sono serviti i cambi.  Certo, Sanchez ha fatto meglio di un impalpabile Lautaro. E Lukaku, ma questa non è una notizia, le partite importanti le sbaglia tutte. Tre centrali difensivi contro il solo Mertens mi sono sembrati troppi. E poi Skriniar e Bastoni sono troppo lenti per fare il mezzo destro e il mezzo sinistro. La stagione nerazzurra non ha preso una bella piega. In virtù della vittoria all'andata, il pareggio di stasera ha qualificato il Napoli alla finale contro la Juve. Altro obiettivo fallito da Conte, dopo la mancata qualificazione agli ottavi di Champions. 

venerdì 12 giugno 2020

Juve-Milan 0-0. Juve in finale di Coppa Italia

Partita appena decente. Del resto, dopo una così lunga pausa, sarebbe stato irragionevole attendersi di più. Il Milan è anche rimasto in dieci. Errore dal dischetto per un Cristiano Ronaldo poco in forma. Il Milan ha potuto solo difendersi, mostrando molti limiti di qualità, acuiti dall'assenza di un finalizzatore. Una notazione su Donnarumma: la sua tecnica resta molto rozza e rudimentale. Non tiene un pallone.  Raramente azzarda una presa e le sue respinte sono goffe.  Penso, ma lo scrivevo anche anni fa, che sia sopravvalutato. 

Classifica dei goleador nelle fasi finali di Mondiali, Europei e Coppa America

I gol si sommano e si contano. Ma, si pesano anche. Intendo proporre una classifica dei maggiori goleador nelle fasi finali delle tre grandi competizioni per nazionali di calcio:
  • Mondiali
  • Europei
  • Copa America
                                        
 Calciatore Paese Mondiali Europei Copa America  Totale
1. Ronaldo da Lima  Brasile 15 gol         - 10 gol 25 gol
2. Gabriel O. Batistuta  Argentina 10 gol         - 13 gol 23 gol
3. Pelé Brasile 12 gol         -   8 gol 20 gol
4. Miroslav Klose Germania  16 gol         3 gol                          -       19 gol
5. Zizinho Brasile 2 gol  17 gol 19 gol
6. Gerd Muller Germania Ovest 14 gol 4 gol         - 18 gol
7. Norberto Mendez  Argentina        -          - 17 gol 17 gol
8. Cristiano Ronaldo Portogallo   7 gol 9 gol         - 16 gol
9. Jurgen Klinsmann  Germania  11 gol  5 gol          - 16 gol
10. Jair Rosa Pinto Brasile   2 gol  13 gol  15 gol
11. Paolo Guerrero Perù   1 gol         - 14 gol 15 gol
12. Hector Scarone Uruguay   1 gol          - 13 gol  14 gol
13. Lionel Messi Argentina    6 gol         -   8 gol 14 gol
14. Edu Vargas  Cile   1 gol         - 13 gol 14 gol
15. Just Fontaine Francia 13 gol         -          - 13 gol
16. Michel Platini  Francia   4 gol 9 gol          - 13 gol
17. David Villa Spagna   9 gol 4 gol          - 13 gol
18. José M. Moreno Argentina       -         - 13 gol 13 gol
19. Bebeto Brasile    6 gol         -   6 gol 12 gol
20. Gonzalo Higuain Argentina   5 gol         -   7 gol 12 gol
21. Rudi Voeller Germania    8 gol 4 gol          - 12 gol
22. Roberto Porta Uruguay       -         - 12 gol 12 gol
23. Angel Romano Uruguay       -         - 12 gol 12 gol
24. Sandor Kocsis Ungheria   11 gol         -          - 11 gol
25. Herminio Masantonio  Argentina       -         - 11 gol 11 gol
26. Victor Ugarte Bolivia       -         - 11 gol 11 gol

Inter si decide la stagione: domani Napoli-Inter

La stagione dell'Inter entra, anzi rientra, nel vivo. La semifinale di ritorno di Coppa Italia, contro il Napoli, dopo lo 0-1 casalingo dell'andata, è il primo serio crocevia di un'annata calcistica anomala, ancora suscettibile di assumere qualunque piega. Può essere un successo, una transizione o un fallimento. E credo che Conte e Marotta lo sappiano.

Napoli-Inter
Domani sera, al San Paolo, l'Inter dovrebbe schierare la seguente formazione:

Handanovic; Skriniar, De Vrij, Bastoni; Candreva, Brozovic, Barella, Young, Eriksen; Lukaku, Lautaro Martinez.


Classifica dei primi dieci goleador in attività

Propongo una classifica aggiornata dei primi dieci goleador in attività.

 Cristiano Ronaldo Portogallo  737 gol
 Lionel Messi Argentina 710 gol
 Zlatan Ibrahimovic Svezia 546 gol
 Robert Lewandowski Polonia 478 gol
 Luis Suarez Uruguay 473 gol
 Sergio Aguero  Argentina 422 gol
 Klaas-Jan Huntelaar Olanda 418 gol
 Edinson Cavani Uruguay 403 gol
 Neymar Brasile 379 gol
 Wayne Rooney Inghilterra 363 gol

Il mito di Roberto Rivelino

Rivelino, all'anagrafe brasiliana, Roberto Rivellino, è stato uno dei massimi calciatori della storia brasiliana. Di schiette origini italiane, intraprese la sua leggendaria carriera nel Corinthians di San Paolo. Numero 10, nel Paese, il Brasile, dove quel numero aveva assunto, già prima di Pelé, una dimensione simbolica, narrativa, immaginifica e quasi magica. Quando ancora in Europa si delirava per il 9, il centravanti, i brasiliani subivano l'incantamento delle giocate impreviste e spettinate dei grandi artisti, di cui il 10 sulla maglia era il primo e più immediato segno di distinzione.


Rivelino è un brevilineo dalla corporatura massiccia che occhieggia alla pinguedine. Alto 1,69 m, supera di non poco i 70 kg. Il baricentro basso, unito ad una tecnica da prestigiatore, è il segreto dei suoi improvvisi cambi di direzione, che lasciano sul posto i difensori avversari, che sottopone anche a continui tunnel e ad un dribbling di cui, con il tempo, acquisterà la privativa: l'elastico. Il suo mancino accarezza il pallone, ora da sinistra verso destra e ritorno, ora da destra verso sinistra e ritorno. Va sempre via al malcapitato controllore di turno.

Ai mondiali messicani del 1970, Rivelino è uno dei cinque numeri dieci che l'allenatore Zagallo, già due volte campione del mondo con la nazionale verdeoro da giocatore, pretende di far convivere. Con lui ci sono Gerson, Jairzinho, Tostao e sua maestà Pelè. Il dieci, noblesse oblige, andrà a quest'ultimo, Tostao si adatterà a giostrare da centravanti, Jairzinho agirà da ala destra, Gerson da mezzala e Rivelino andrà all'ala sinistra. Sarà un trionfo. Rivelino incanta.

Stampa:Brazil 1970.JPG - Wikipedija
Brasile 1970
Rivelino è alla sinistra di Pelé

Ai mondiali tedeschi del 1974, con il precoce ritiro dal calcio di Tostao e l'abbandono della nazionale da parte di Pelè, sarà proprio Rivelino il giocatore simbolo del Brasile, il cui sogno s'infrangerà contro il gioco totale dell'Olanda. Quarto posto finale.

Il giovane Maradona, argentino, e perciò poco propenso all'ammirazione dei brasiliani, confesserà, all'apice della fama, di essersi ispirato a due campioni degli anni '70: il connazionale Bochini e, come si sarà intuito, Roberto Rivelino. Maestro del dribbling, dell'assist e del tiro.

giovedì 11 giugno 2020

Indurain e Froome: i più vecchi campioni dei Grandi Giri

Non c'è un 'età per vincere nelle grandi corse a tappe. C'è, questo sì, un'età per non vincere più. La soglia fatidica si colloca intorno ai 34 anni. Si potrebbe obiettare che siffatta affermazione sia priva di basi scientifiche. No. Una base statistica, sempre che la statistica sia una scienza, c'è. Nella storia del Tour de France, del Giro d'Italia e della Vuelta a Espana, nessuno ha vinto, parlo della classifica generale, oltre i 34 anni. Insomma nessuno che ne avesse compiuti 35. Con la sola eccezione di Horner, vincitore della Vuelta nel 2013 a quasi 42 anni! Eccezione clamorosa, ma solitaria. A fronte di 106 Tour, 102 Giri e 74 Vuelta: 282 Grandi Giri! 

E la spiegazione, dal fisiologo che non sono, mi pare tutto sommato semplice. Con l'incedere del tempo, diminuiscono le doti di recupero. Se ne hanno testimonianze univoche in tutti gli sport, non soltanto nel ciclismo. Dopo una certa età, bisogna allenarsi di più e si recupera di meno, più lentamente. Va da sé che, nel ciclismo, si possa restare molto competitivi, in età agonisticamente avanzate, nelle corse di un giorno o nelle brevi corse a tappa, mentre sia più difficile tenersi a galla nei Grandi Giri, che si svolgono in tre settimane, per più di 3.000 km, con due soli giorni di riposo. 

C'è un altro dato significativo. I grandi dominatori di Tour, Giro e Vuelta, hanno tutti cominciato prestissimo o presto a vincere. Bartali vinse il suo primo Giro, nel 1936, prima di compiere 22 anni; Coppi ottenne il suo primo Giro prima di compierne 21; Anquetil conquistò il Tour, nel 1957, a 23 anni e pochi mesi; Gimondi, vinse il Tour, nel 1965, prima dei 23 anni; Merckx colse il primo Giro, nel 1968, a 23 anni; Hinault, la prima Vuelta a 23 anni e mezzo e il primo Tour tre mesi dopo. Più avanti, lo stesso Alberto Contador vinse il primo Tour a meno di 25 anni.


File:Miguel INDURAIN.jpg - Wikimedia Commons
Miguel Indurain in maglia gialla
Dei plurivincitori dei Grandi Giri, il meno precoce fu, a lungo, Miguel Indurain. Che, sì, prima del successo del 1991 a Parigi, era stato decimo al Tour dell'anno precedente. E, certo, aveva nel palmares già un bel po' di brevi corse a tappe: due Parigi-Nizza, il Criterium Internazional e via dicendo. Sicché si poteva immaginare che avesse doti per vincerne anche una di tre settimane. Ma, non era detto. La storia è piena di corridori che hanno vinto le une, quelle brevi, e non le altre. Tanto più che Indurain, che vinse il primo Tour a 27 anni appena compiuti, riuscì ad annettersi anche i quattro successivi, oltre ai Giri del 1992 e del 1993. Cosa voglio intendere? Nulla, riporto solo dati. Continuo a non spiegarmi come Indurain sia riuscito a passare in una stagione da buon corridore di brevi corse a tappe a dominatore incontrastato dei Grandi Giri. Al netto dei racconti apologetici successivi, quando passò professionista, nel 1986, nessuno l'avrebbe detto, nessuno lo diceva. Era ben superiore, all'esordio nel professionismo, la reputazione dei suoi coetanei, Gianni Bugno ed Erik Breukink.


File:Tour de France 2017, froome uran (36124020176).jpg - Wikipedia
Chris Froome in maglia gialla precede Rigoberto Uran

Poi, nel 2013, c'è stato il successo di Froome, a 28 anni, uno più di Indurain quando vinse il Tour del 1991. Ad onor del vero, Froome era stato già secondo al Tour un anno prima, nel 2012, quando ordini di squadra forse gli vietarono di spodestare il capitano Wiggins. E, sempre ad onor del vero, a Froome è stato assegnato, anni dopo e a tavolino, anche il successo nella Vuelta 2011, quando di anni ne aveva 26. Ed allora, tra i plurivincitori delle grandi corse  a tappe, il primato di "anzianità" d'affermazione di Miguel Indurain resta.

Ci sarebbe e c'è, tra i grandi, ma vinse solo il Tour, sebbene tre volte di seguito, Louison Bobet. Si aggiudicò il suo primo Tour a 28 anni, nel 1953. Prima di allora, tuttavia, era già arrivato terzo e quarto alla Grande Boucle.


mercoledì 10 giugno 2020

Juve-Milan il 12, Napoli-Inter il 13 giugno: ore 21:00. Il calcio riparte dalla Coppa Italia

Dopo più tre mesi si torna a giocare, l'ultima partita fu Juve-Inter, in campionato, dell'8 marzo scorso, disputata a porte chiuse. E, senza pubblico, si giocheranno anche le semifinali di ritorno della Coppa Italia, tra Juve e Milan e Napoli e Inter. Le due partite saranno trasmesse dalla RAI.
File:Coppa Italia - Logo 2019-2020.svg - Wikipedia
Coppa Italia 2019/20

- Venerdì 12 giugno 2020, ore 21:00

Juventus - Milan (1-1)


- Sabato 13 giugno 2020, ore 21:00


Napoli - Inter (1-0)


martedì 9 giugno 2020

Giro d'Italia 1985: il tris di Hinault! "Il Tasso" correva solo per vincere

Al Giro d'Italia del 1985 tornò a correre, per la terza volta, l'asso francese, anzi bretone, Bernard Hinault. Che aveva già conquistato la corsa della Gazzetta nel 1980 e nel 1982. Due su due. Che sarebbero diventate tre su tre. 


File:La volata a tre 1981.jpg - Wikipedia
Parigi-Roubaix 1981: nel velodromo di Roubaix, Hinault
precede De Vlaeminck e Moser


Moser, campione uscente dopo il sorprendente trionfo del 1984, coronato dalla straordinaria rimonta nella cronometro di Verona ai danni di Fignon, cercava un difficile bis. Molta attesa c'era anche per Saronni, dopo la deludente ultima stagione. E molta curiosità destava il giovane americano Greg LeMond.


Moser fu subito maglia rosa, aggiudicandosi, ancora a Verona, il cronoprologo. Alla terza tappa, il simbolo del primato si trasferì sulle spalle del suo grande rivale, Giuseppe Saronni, grazie all'affermazione della sua Del Tongo-Colnago, nella cronosquadre, bissata dal successo individuale a Pinzolo, il giorno dopo. In Val Gardena, passò al comando Visentini, che da anni dava segni di poter vincere il Giro, sempre senza riuscirci. Tenne la maglia rosa nove giorni, fino a Maddaloni, quando Hinault sbaragliò la concorrenza contro il tempo, balzò in testa alla classifica e ci rimase fino a Lucca, dove il Giro terminò con un'altra cronometro, questa volta appannaggio di Moser. Primo Hinault, secondo Moser a 1'08", terzo LeMond a 2'55". Saronni, pur vincitore di due tappe, non andò oltre il quindicesimo posto in classifica generale.

Hinault, di lì a poco, avrebbe vinto anche il suo quinto Tour de France, precedendo proprio LeMond, peraltro suo compagno di squadra a La Vie Claire. L'anno dopo, il 1986, sarebbe accaduto il contrario al Tour, primo LeMond, secondo Hinault. Che poi decise di ritirarsi, a soli 32 anni! Aveva sempre corso per vincere, generalmente riuscendoci, Hinault, e non avrebbe potuto accontentarsi di andare avanti per dei piazzamenti. Osservate la sua determinazione feroce nella foto, sopra riportata, della volata vittoriosa alla Parigi-Roubaix, corsa che detestava, ma che inseguì e conquistò con volontà incrollabile. Il manifesto della sua carriera: vincere! Nel 1993, commentando il duello Indurain/Rominger per la maglia gialla, Hinault sbottò, osservando la condotta di gara  troppo arrendevole dello svizzero: "Corre per essere secondo, non è bello per il ciclismo". Soltanto Merckx, che sprintava anche per i traguardi volanti, ha avuto, nel ciclismo, un desiderio di successo superiore a quello di Hinault. Desiderio di successo che Hinault, secondo il costume del tasso, in corsa dissimulava, in attesa di piazzare il colpo risolutivo. Non è, pertanto, un caso che, in una classifica a punti, certo opinabile, dei maggiori ciclisti della storia, Merckx ed Hinault siano risultati primo e secondo.