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lunedì 11 marzo 2024

Inzaghi sulle orme di Herrera

Cross di Bastoni, gol di Bisseck. Ora, tutti hanno scoperto il segreto del calcio di Simone Inzaghi. Tutti hanno licenza di attaccare, se un difensore va in attacco, un centrocampista indietreggia. Le posizioni, in campo, mutano a seconda delle necessità, tutti sono esaltati da un'organizzazione che non strozza l'estro e premia l'audacia. Poi, contano i risultati e l'Inter di Inzaghi, che lo scorso anno perse dodici partite in campionato, in questa stagione sta dominando la serie A. E i paragoni con il passato tengono banco. A chi somiglia Inzaghi? A sé stesso, certo. Ognuno è unico, cambiano i tempi e i giocatori e gli avversari. Nulla si replica. Però, se proprio devo accostare Inzaghi a qualcuno, penso a Helenio Herrera. Tanti se ne meraviglieranno. Provo a spiegare.

  1. Herrera arrivò all'Inter nel 1960, reduce da due campionati vinti con il Barcellona contro il Real Madrid delle cinque Coppe dei Campioni consecutive. Quel Barcellona praticava un calcio offensivo, segnava gol a ripetizione, comandava il gioco con due centrocampisti universali come Kubala e Suarez, che un anno dopo avrebbe raggiunto Herrera all'Inter. Una volta a Milano, Herrera promise gol e spettacolo. Spettacolo e più di 100 gol in campionato. Sì, proprio lui, che sarebbe poi passato alla storia come re del catenaccio, della difesa e del contropiede.
  2. La sua prima Inter aveva davvero una grande vocazione offensiva, ma subiva troppo. Herrera imparava dalla sconfitte, imparava sul serio. Si rese conto che sarebbe servito, soprattutto in Serie A, un maggiore equilibrio. Seppe cambiare. Adottò il libero e vi adattò Picchi, che prima era un terzino: una formidabile intuizione. Così inizio a costruire quel mirabile edificio, che sarebbe diventato la Grande Inter.
  3. Herrera, fine psicologo e motivatore ante litteram, seguiva il corso delle sue idee e assumeva rischi. Così inventò Facchetti ala aggiunta, qualcosa di mai osservato prima. In Europa, restarono tutti di sasso, di fronte alle proverbiali galoppate del gigante nerazzurro, un terzino che arrivava sul fondo, crossava e tirava e segnava. Corso, ala sinistra di nome, se ne veniva in mezzo al campo, per liberare spazio a Facchetti. E nonostante l'11 sulle spalle, spesso prendeva palla a destra, si accentrava, scambiava e rifiniva o concludeva. Mazzola, cresciuto centrocampista, con Herrera divenne attaccante. Un attaccante, pure lui, mai visto prima. Una saetta velocissima e dal dribbling secco come il tiro, sempre anticipato. Non giocava spalle alle porta. Suarez, mezzala di talento cristallino, fu spostato davanti alla difesa e con i suoi lanci armava il contropiede di Jair e Mazzola. Fatti noti, certo, ma rivoluzionari a quei tempi. I numeri sulle spalle non dicevano tutto dei ruoli in campo. Si pensi anche a Domenghini, un'ala destra, impostato centravanti.
  4. Inzaghi, 60 e più anni dopo, fa lo stesso. I suoi calciatori possono cercarsi la posizione che più conviene e interpretanoo spesso ruoli inediti, a volte diversi nella medesima partita. L'organizzazione non ne risente, perché se uno sale, l'altro scende, perché in campo si ruota e si sorprende. Anche lui ha fatto di un trequartista, Calhanoglu, prima una mezzala poi un regista arretrato. Mkhitaryan, da sempre trequartista o seconda punta ora è mezzala e metronomo della squadra. I suoi difensori centrali, come è successo contro il Bologna, possono anche costruire e concludere.
  5. Insomma, Inzaghi è un grande allenatore perché, come Herrera, sa proporre soluzioni inaspettate ai suoi calciatori, convincedoli di poterle mettere in pratica, ottenendo da loro il meglio. E gli avversari ci capiscono sempre meno. Da ultimo, anche Inzaghi, come accadde a Herrera con Angelo Moratti, ha saputo correggere la rotta, almeno in campionato, dopo confronti serrati con dirigenza e proprietà. La duttilità è sempre segno d'intelligenza.

lunedì 6 dicembre 2021

La rivalità tra Inter e Real Madrid

Si tratta di una delle partite di maggior fascino del calcio europeo. Di una rivalità sbocciata nel maggio del 1964 quando, al Prater di Vienna, Milani e Sandro Mazzola, firmarono le reti dello storico primo successo dell'Inter in Coppa dei Campioni, battendo il Real Madrid di Gento e Santamaria, di Alfredo Di Stefano e Puskas. Nacque quella sera la Grande Inter.

Inter-Real Madrid
27 maggio 1964

Nel 1966 i nerazzurri e i blancos s'incrociano di nuovo nella massima competizione continentale. I madrileni vincono nella semifinale d'andata con gol di Pirri. Al ritorno, vantaggio di Amancio pareggiato da Facchetti. Il Real va in finale, che poi vincerà: sarà il sesto alloro. L'anno dopo, di nuovo di fronte, ai quarti di finale, ed è l'Inter a passare il turno. In finale, i nerazzurri, senza Suarez e Corso, saranno sconfitti a sorpresa dal Celtic Glasgow.

Nel 1981, mentre il calcio europeo parla diffusamente inglese, Inter e Real Madrid si ritrovano in semifinale di Coppa dei Campioni. Entrambe sentono il bisogno di rinnovare gli antichi fasti dopo anni di anonimato europeo. All'andata, la squadra di Bersellini perde 2-0 al Bernabeu: gol di Santillana, centravanti che diverrà un totem negativo per i nerazzurri, e Juanito. Al ritorno, il capitano Graziano Bini segna il gol della vittoria, che non vale però il passaggio del turno. Il Real sarà sconfitto in finale dal Liverpool.

Inter e Real Madrid si sfidano altre tre volte nei successivi quattro anni: nel 1983 in Coppa delle Coppe, nel 1985 e nel 1986 nelle semifinali di Coppa Uefa. Passa sempre il Real, segna sempre Santillana. Nel 1985 al Bernabeu, Bergomi viene colpito da una monetina piovuta dagli spalti e lascia il campo nel primo tempo. Il Real ribalta il 2-0 dell'andata e vince 3-0. Il potere politico del Real impedisce la vittoria a tavolino per i nerazzurri. L'anno dopo, Altobelli e Rummenigge vengono massacrati dai difensori avversari, ma l'unico espulso, per reazione, sarà Mandorlini. Finisce 3-1 a Madrid, replica del 3-1 per l'Inter al Meazza. Si va ai supplementari. Segna Santillana, finisce 5-1 per il Real.


Bisogna aspettare la doppietta di Roberto Baggio, girone eliminatorio della Champions League, nell'autunno del 1998, per assistere ad un successo significativo dell'Inter sul Real. Le ultime tre sfide, tra 2020 e 2021, sempre nelle fasi a gironi della Champions, le ha vinte il Real. L'Inter va domani al Bernabeu nelle migliori condizioni possibili, per inseguire un successo che manca da 23 anni. In diciotto confronti, fino ad ora, 7 sono state le vittorie dell'Inter, 9 le vittorie del Real Madrid, due i pareggi. Non so come andrà a finire il prossimo, ma l'Inter dell'ultimo mese non credo che soffrirà il miedo escenico, come ebbe a definirlo Jorge Valdano, del Santiago Bernabeu.

sabato 20 giugno 2020

Tributo a Mario Corso, "il piede sinistro di Dio"

È uscito dal campo anche Mariolino Corso, l'11 della Grande Inter. Il più svogliato, talentuoso, imprevedibile giocatore di quella squadra irripetibile, che segnò un 'epoca.

Corso era approdato all'Inter a soli 17 anni,  nel 1958, quando Angelo Moratti, da tre anni subentrato a Masseroni alla presidenza, cercava con ostinazione la vittoria. Dal 1959, cominciò a trovare posto tra i titolari. E subito gli esperti iniziarono a domandarsi quale fosse il suo ruolo. Sì perché Corso, participio passato del verbo correre, la palla la voleva tra i piedi. Poi, inventava. Chiedeva un triangolo, cambiava gioco, lanciava di prima, batteva a rete o avanzava in dribbling. E, una volta iniziata la progressione, non c'era più modo di fermarlo. Perché la sua falcata era ampia, il controllo del pallone assoluto, cioè sciolto da ogni esterna interferenza. E un difensore che avesse arrischiato un anticipo, avrebbe subíto l'onta del tunnel. Come usava Sivori, che Corso ammirava e che gratificò di due tunnel appena si affrontarono.

Il segreto di Corso stava nella caviglia? Anche, certo. Come quello di McEnroe sarebbe stato nel polso. Strabiliò con le sue punizioni a "foglia morta", che sembravano quelle a "folha seca" di Didì. Con la palla che sormontava la barriera e poi scendeva, anzi s'inabissava nella rete con il portiere immobile. Un prodigio tecnico, che le cronache degli anni '30 riconobbero anche al sommo Meazza. Chi volesse davvero farsi un'idea dell'estro impareggiabile di Mariolino Corso dovrebbe leggere "Il più mancino dei tiri" di Edmondo Berselli, anno 1995. Lì c'è tutto.

Nel 1960, arriva Herrera sulla panchina dell'Inter. E comincia subito con Corso una lunga, ma fertile antipatia. Herrera è un visionario. Opera una rivoluzione: preparazione atletica intensa, esercizi tattici frequenti, rigore alimentare e ricerca dell'intensità. Corso scalpita. Detesta allenarsi e trova insopportabile l'enfasi retorica del Mago. Che parla troppo per i suoi gusti. Non è il solo a pensarla così. Brera lo battezza "Habla Habla". Corso, mentre sprona la squadra, mormora invece un più incisivo: "tasi mona".

Tutti i campionissimi dell'Inter pendono dalle labbra di Herrera. Da Mazzola a Facchetti a Suarez. Tranne due: il capitano Picchi, che in campo si permette di dare ordini diversi da quelli del Mago, e Mario Corso, che porta in campo il calcio della strada, quello istintivo e primordiale. Non corre e men che meno rincorre, gioca dove la tribuna ombreggia il prato e si concede lunghe pause di contemplazione. È un'insubordinazione che Herrera non gli perdona: ogni anno il suo nome è il primo nella lista dei cedibili consegnata ad Angelo Moratti. Ma, Moratti, che aveva accontentato Herrera, mandando via Angelillo, Corso, lo difende. È il suo pupillo. Non solo non va via ma deve giocare titolare. Herrera si adegua. Seguiranno tre scudetti, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali. Molti i gol decisivi del suo mancino, di più gli assist. Nelle difficoltà, palla a Suarez o palla a Corso. È l'arma tattica più micidiale di quella squadra leggendaria. 

Herrera va via nel 1968. Corso resta. E guida l'Inter, con Mazzola e Facchetti e Burgnich e Jair, ad un altro storico scudetto nel 1971 e alla finale di Coppa dei Campioni del 1972, persa contro l'Ajax di Crujff.

In nazionale, Corso gioca. Ma non quanto meriterebbe. Gli si rimprovera l'anarchia tattica. Come al solito. Ha più problemi di Rivera. Nell'ottobre del 1961, la nazionale italiana va in trasferta a Tel Aviv: doppietta di Corso nel 4-2 contro Israele. Il tecnico israeliano, stupito dalle magie di Corso, lo definisce il "piede sinistro di Dio".

Amatissimo dai tifosi, amatissimo dai presidenti, anche Massimo Moratti, condividerà la predilezione del padre, Corso è un simbolo intramontabile dell'Inter e dell'idea dell'Inter. Successore di Skoglund e predecessore di Beccalossi e di Recoba. Gli altri mancini che hanno reso romantica la storia della squadra più romantica. 

Giocava con i calzettoni abbassati, Mariolino Corso. Tanto sapeva che i difensori avversari non l'avrebbero preso. Caracollava invece di correre. Poetava, prima che il calcio diventasse prosa. La terra gli sia lieve.


mercoledì 28 dicembre 2016

La "rive gauche" del calcio

Mummo Orsi, Skoglund, Puskas, Didì, Sivori, Gento, Mariolino Corso, Overath, Rivelino, Riva, Gerson, Beccalossi, Eder, Maradona, Savicevic, Giggs, Rivaldo, Recoba, Van der Vaart, Adriano, Robben, David Silva, Messi, Ozil, Bale, Dybala. La rive gauche del calcio.

mercoledì 18 marzo 2015

Inter - Wolsfburg: si cerca l'impresa, ricordando le grandi rimonte del passato

Coppa dei Campioni, semifinali, 1965. L'Inter perde 2-0 a Liverpool e ribalta il risultato a San Siro, non ancora intitolato a Giuseppe Meazza, con Corso, autore di una memorabile punizione delle sue, Peirò, che ruba il pallone al portiere avversario, e Facchetti, prototipo del terzino d'attacco, qualcosa di mai visto prima. L'Inter vincerà la coppa contro il Benfica. Coppa Uefa 1990/91, l'Inter perde 2-0 contro l'Aston Villa. Al ritorno rovescia il risultato con Klinsmann, Berti e Bianchi. L'Inter vincerà la coppa contro la Roma. Coppa Uefa 1997/98, l'Inter esce sconfitta 2-0 a Strasburgo. Al ritorno prevale 3-0 con Ronaldo, Zanetti e Simeone. Vincerà la coppa contro la Lazio. In queste ore di vigilia, i ricordi di simili, giustamente epiche rimonte, prova a ridare fiato all'ammosciato tifo nerazzurro. Battere il Wolfsburg, per provare a vincere l'Europa League. Mancini è all'ultima spiaggia. Stiamo a vedere. 

martedì 9 dicembre 2014

Recoba incanta ancora: assist vellutato per Alonso nell'ultima giornata di Apertura. Nacional campione

Il titolo era già stato conquistato con largo anticipo. Ma, il Nacional ha continuato a vincere, battendo anche il Tacuarembo nell'ultima giornata dell'Apertura 2014 della Primera Division de Uruguay: alla fine 42 punti su 45. In gol il solito Alonso, su assist pregevolissimo di Alvaro Recoba, tornato, a 38 anni e mezzo, a distillare con generosità il suo calcio antico. Una volta, all'Inter, la fantasia era appaltata ai mancini come Skoglund, Corso, Beccalossi e, per ultimo, proprio Recoba. Oggi, il mancino nerazzurro è Dodò. Che gioca un mucchio di palloni, con esiti spesso comici.Del resto, la qualità è quella che è. O tempora o mores

lunedì 29 ottobre 2012

I dieci migliori attaccanti (ali sinistre) della storia

Per completare la formazione della storia del calcio, manca l'ultimo ruolo, che indico nell'attaccante - ala sinistra, ruolo ibrido per definizione, nel quale per ragioni di comodità, andrò a contare giocatori fra loro molto diversi, ma, insomma, il calcio non è una scienza esatta e molto dipende dal modulo. In questa classifica, lo chiarisco in previsione di ragionevoli critiche, voglio inserire quei giocatori d'attacco, abituati a partire dalla fascia, soprattutto da quella sinistra. Seconde punte alcune volte, ali sinistre dal gol facile altre volte. Nessun dubbio, sul primo posto, assegnato a Puskas. Segue la classifica dei primi dieci (ora estesa i primi 37). Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 10 gennaio 2024.

  1. Puskas
  2. Rummenigge
  3. Cristiano Ronaldo
  4. Rivelino
  5. Sivori
  6. Neymar
  7. Czibor
  8. Nyers
  9. Riva
  10. Raul Gonzalez Blanco
  11. Giggs
  12. Schevchenko
  13. Ribery
  14. Rensenbrink
  15. Corso
  16. Henry
  17. Gento
  18. Orsi
  19. Cantona
  20. Recoba
  21. Dzajic
  22. Gareth Bale
  23. Piet Keizer
  24. Rivaldo
  25. Nedved
  26. Blochin
  27. Zagallo
  28. Stoichkov
  29. David Villa
  30. Eder (Brasile 1982)
  31. John Robertson
  32. Overmars
  33. Ginola
  34. Di Canio
  35. Barnes
  36. Perisic
  37. Insigne

lunedì 18 giugno 2012

Storia di Recoba: 13 (vince il campionato 2011/12 con il Nacional)

Eravamo rimasti alla vittoria del titolo di Apertura con il Nacional Montevideo, autografato con un suo gol meraviglioso a 15 minuti dal termine. Alvaro Recoba va in vacanza e si ripresenta, febbraio 2012, nel torneo di Clausura. Nel quale viene schierato sempre titolare e gioca da volante, come in sudamerica viene chiamato il regista schierato davanti la difesa. Il Nacional perde qualche colpo, ma, con l'incedere delle giornate recupera punti e posizioni. Nella sfida con il Penarol, derby sentitissimo, Recoba regala una magia su calcio di punizione, chi dice folha seca alla Didì, chi dice foglia morta alla Mario Corso. E' una punizione alla Recoba, in realtà. Il Nacional Montevideo si classifica secondo nel torneo di Clausura dietro il sorprendente Defensor Sporting. Sabato 16 giugno 2012, finale per l'aggiudicazione del campionato uruguaiano 2011/12. Al 41' del primo tempo decide una prodezza del Chino, beffardo tocco di sinistro, il sinistro per eccellenza, sull'uscita del portiere. Il Nacional vince il titolo numero 33, ma c'è chi dice il numero 44, Recoba è l'eroe della partita e della stagione. A 36 anni suonati. Un fuoriclasse impareggiabile. La storia di Recoba, c'è da scommetterci, non finisce qui (cfr. 1^ puntata, 2^puntata, 3^ puntata, 4^ puntata, 5^ puntata, 6^ puntata, 7^ puntata, 8^ puntata, 9^ puntata, 10^ puntata, 11^ puntata, 12^ puntata).