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mercoledì 14 aprile 2021

I 54 anni di Nicola Berti, bandiera nerazzurra

Difficile da credere, per chi abbia ancora nella mente il ciuffo ribelle di quando arrivò, ventunenne, da Firenze; la cavalcata impetuosa di Monaco di Baviera; le sette reti sette, tutte su azione, dello scudetto dell'89; il gol nel derby del 1993, annunciato e realizzato, dopo dribbling su Maldini e tunnel a Costacurta, punizione di Sosa e suo tremendo colpo di testa; il rientro nella primavera del 1994, salvezza, va da sé e Coppa Uefa, con firma in semifinale e in finale, replicando il gol nell'altra Uefa vinta nel 1991; le accelerazioni violente, le scivolate audaci, i tiri al volo; il gusto della polemica e le battute mordaci, gli aforismi beffardi che escogitava come solo Peppino Prisco. I milanisti, quando avevano la squadra più forte, fischiavano sempre loro due: Berti e Prisco. Fischi di paura e di rispetto. L'apologia dell'interismo, questo era ed è Berti. Difficile da credere, dicevo, che Nicola Berti compia oggi 54 anni. Non li dimostra. Invecchiato per niente. Come non sono invecchiati i ricordi delle sue prodezze, che scemarono negli ultimi anni solo per due infortuni dolorosissimi alle ginocchia.

Nicola Berti

Nato ala destra, divenne con Trapattoni, che doveva farlo coesistere con Bianchi, mediano d'assalto, guastatore, un moschettiere, d'ascendenza guascona, del centrocampo più forte della storia nerazzurra: con lui e Bianchi, c'erano Matteoli e Matthaeus. Pensando all'Inter, si pensa a Berti. Tra i primi. 

martedì 8 settembre 2020

Olanda-Italia 0-1. Infortunio per Zaniolo

La nazionale di Mancini è una squadra organizzata, di buona qualità, ma senza fuoriclasse. L'unico sarebbe Zaniolo, andato incontro, a quanto pare, ad un altro gravissimo infortunio. Al ginocchio sinistro dopo quello al ginocchio destro. E tutto nello spazio di pochi mesi. Accanimento della malasorte su un grande talento di 21 anni. Dopo Zaniolo, c'è Barella, che, tanto per offrire dei riferimenti, ha la corsa di Tardelli, il temperamento e i gol di Berti, non la forza fisica del primo, non la progressione del secondo, ma più tecnica di entrambi. Insomma, è un gran giocatore. Quanto a Mancini, da me mai troppo apprezzato come tecnico - per contro, fu un grandissimo e sottovalutato calciatore - ammetto che ha saputo rivedere certe convinzioni di alcuni anni fa. A cominciare da quelle sul "centrocampo fisico". Convinzioni così categoriche che lo illusero che Kuzmanovic potesse far la differenza come Vieira. Insomma, ha capito che il gioco può comandarsi, in mezzo al campo, anche senza colossi. E che i marcantoni non sono tutti uguali: un conto, appunto, è Vieira, un altro è Kuzmanovic. La nazionale italiana, in questa fase, è tra le migliori d'Europa. Sebbene non abbia fuoriclasse davanti. 

venerdì 9 novembre 2018

Fenomenologia di José Mourinho

Due partite, due gesti. Tre dita a rimembrare il triplete, sommo vertice della carriera sua e della storia recente dell'Inter, quando la Juve annaspava nelle difficoltà del dopo calciopoli; la mano portata all'orecchio, a chiedere: strillate ora, insultate ora, che vi ho battuto, a casa vostra, quando pensavate di aver vinto. Un modo da commedia per dire ai tifosi juventini: muti! Zitti e muti! In queste due immagini, all'esito delle due sfide di Champions League tra Juve e Manchester United, c'è tutta la fenomenologia di José Mourinho. Archetipico uomo di calcio, condottiero abilissimo e vanitosissimo e comunicatore massimo. Istrione nato. Uno come lui, nei salotti parigini della Terza Repubblica, avrebbe fatto impallidire l'immagine di un eroe letterario come Giogio Duroy, il celebre Bel Ami di Maupassant. Un aforista acutissimo, politicamente scorretto, con il gusto della sfida, della provocazione e del paradosso. Tutto in poche, fulminanti battute. Tanti sono intimiditi dalle grandi platee, dagli stadi, dalle folle rumorose e dalla stampa schierata. Mourinho no. Per questo tanti, per lo più i mediocri e gli ipocriti, non lo sopportano. Dal 2010 non è più l'allenatore dell'Inter, ma i rivali dell'Inter lo soffrono, ancora oggi, più di chiunque. Come capitava soltanto con Peppino Prisco e Nicola Berti.

"Zero tituli" marzo 2009. José Mourinho
"Negli ultimi giorni non si è parlato della Roma, che ha grandissimi giocatori ma finirà la stagione con zero tituli. Non si è parlato del Milan, che ha 11 punti meno di noi e finirà la stagione con zero tituli. Non si è parlato della Juve, che ha conquistato tanti punti con errori arbitrali".

José Mourinho

mercoledì 18 marzo 2015

Inter - Wolsfburg: si cerca l'impresa, ricordando le grandi rimonte del passato

Coppa dei Campioni, semifinali, 1965. L'Inter perde 2-0 a Liverpool e ribalta il risultato a San Siro, non ancora intitolato a Giuseppe Meazza, con Corso, autore di una memorabile punizione delle sue, Peirò, che ruba il pallone al portiere avversario, e Facchetti, prototipo del terzino d'attacco, qualcosa di mai visto prima. L'Inter vincerà la coppa contro il Benfica. Coppa Uefa 1990/91, l'Inter perde 2-0 contro l'Aston Villa. Al ritorno rovescia il risultato con Klinsmann, Berti e Bianchi. L'Inter vincerà la coppa contro la Roma. Coppa Uefa 1997/98, l'Inter esce sconfitta 2-0 a Strasburgo. Al ritorno prevale 3-0 con Ronaldo, Zanetti e Simeone. Vincerà la coppa contro la Lazio. In queste ore di vigilia, i ricordi di simili, giustamente epiche rimonte, prova a ridare fiato all'ammosciato tifo nerazzurro. Battere il Wolfsburg, per provare a vincere l'Europa League. Mancini è all'ultima spiaggia. Stiamo a vedere. 

domenica 10 novembre 2013

L'Inter batte il Livorno nel giorno del ritorno, inutile, di Zanetti

Brutta partita, bassi ritmi, ma vittoria preziosa. Propiziata da una papera di Bardi, che, da ex interista, avverte la pressione della partita, ma poi si riprende e lascia intravedere grandi potenzialità. Per me, è più forte di Handanovic. L'Inter porta a casa i tre punti, spreca poche energie, registra una buona prova di Kovacic, autore dell'assist del raddoppio di Nagatomo, ma anche il ritorno meno necessario della storia, quello di Saverio Zanetti. Celebrato come avesse realizzato chissà quale impresa. A 40 anni, l'argentino non riesce a smettere con il calcio giocato e rimane attaccato alla parte che più gli riesce, quella del difensore di se stesso. Fosse dipeso da me, avrebbe chiuso la carriera con l'Inter nel 1997, dopo la sfuriata seguita alla sostituzione in favore del grande Nicolino Berti, finale di ritorno di Coppa Uefa persa per un rigore ciabattato da Zamorano. Ed invece, nel 2013, sta ancora in campo insieme a "chioma fluente" Cambiasso. Non condivido.

mercoledì 28 marzo 2012

Stramaccioni deve "panchinare" Zanetti e Cambiasso

Stramaccioni deve fare di testa sua. Non ascoltare le elegie di Moratti in favore di Zanetti e Cambiasso e spedire i due anziani argentini in panchina. Senza se e senza ma. Moratti deve smetterla di difendere questi senatori imbolsiti, che sono di ostacolo alla necessaria rifondazione della squadra. Insomma, Stramaccioni è chiamato a rappresentare il nuovo corso. Non può lasciarsi condizionare dalle paturnie dei clan interni. Peraltro, per conto mio, Zanetti andava cacciato dall'Inter nel 1997, finale di Coppa Uefa, poi persa ai rigori. Si ribellò alla sostituzione decisa da Hodgson. E non perché avesse allora contestato Hodgson, ma perché al suo posto entrava Berti, non il primo venuto. Zanetti pensa a se stesso, ha sempre pensato a se stesso. A 39 anni, a quanto pare, ancora percepisce un ingaggio di 3 milioni di euro. Se ne torni in Argentina!

giovedì 2 febbraio 2012

Calcio: quanto conta un allenatore?

Conta molto un allenatore di una squadra di calcio. Nel bene e nel male. Perché, di là dalla tattica da sempre sopravvalutata, decide chi gioca e chi no, ma, sopratutto come un giocatore deve giocare, in quale ruolo, quanto tempo, con quale libertà. E, da quando ci sono le sostituzioni, disattendere un ordine della panchina può costare caro, già a partita in corso. Sandro Mazzola ama raccontare che una volta, ancora giovane, Herrera gli chiese di giocare centravanti, nel ruolo che l'avrebbe consacrato asso della Grande Inter e simbolo del calcio italiano, ma, Mazzola era stato nelle giovanili centrocampista e tale si sentiva. Così giocò, e bene, a centrocampo. Primissimi anni '60, le sostituzioni non erano ancora possibili, Mazzola giocò tutta la partita. Herrera si congratulò per la prova, ricordandogli, però, che da quel momento in poi avrebbe dovuto agire da punta. Oggi, non sarebbe possibile. Ci sono allenatori che sostituiscono anche un subentrato: Capello l'ha fatto più di una volta. Il potere di un tecnico, oggi, è notevolissimo. Certo, c'è tecnico e tecnico. Trapattoni trasformò Matteoli da trequartista incostante a grande regista difensivo nell'Inter dei record, come Berti da ala destra, doppione di Bianchi, in formidabile interno assaltatore. Zeman fece di Totti un grandissimo atleta, spianandogli una carriera leggendaria. Mazzone tolse Pirlo, lento sul passo, da dietro le punte, e ne fece un sontuoso architetto del gioco. Tutto questo nel bene. Altre volte, l'allenatore sbaglia e chiede, pensate a Roberto Baggio con Ulivieri, di coprire come un mediano, salvo ravvedersi alla fine, oppure, pensate sempre a Roberto Baggio con Lippi, tiene l'asso in panchina per fare spazio a Nello Russo. Insomma, l'allenatore conta eccome. A condizione che metta ogni giocatore nella condizione di rendere al meglio. Ci riuscirà Ranieri con Sneijder?

lunedì 31 ottobre 2011

L'Inter può finire in B? Branca si dimetta

L'Inter può finire in B? Impossibile, avrebbe sentenziato Peppino Prisco. Perché la storia testimonia la presenza dell'Inter in serie A fin dal primo campionato a girone unico, stagione 1929/30, che l'Inter, allora Ambrosiana, vinse peraltro. Con Giuseppe Meazza capocannoniere e stella lucentissima del calcio europeo. Rischiò la retrocessione nel torneo 1946/47, tanto che Meazza, che andava per le trentasette primavere, dovette scendere di nuovo in campo e trascinò i nerazzurri alla salvezza da capitano allenatore. Nel 1993/94, infortunati Ferri, Bianchi e Berti, in crisi di ambientamento Bergkamp e Jonk, che voleva giocare nelle stesse zolle di campo predilette dal talentuoso Dell'Anno, si dovette attendere la penultima giornata per schivare il pericolo B. Il rientro precoce di Nicola Berti aveva avuto un effetto dirompente sulla squadra, permettendole di conquistare i punti necessari. L'Inter di oggi, purtroppo, pare rivivere quei pericoli di caduta. E non vedo nella rosa attuale giocatori carismatici al punto di invertire la rotta. Non c'è un Meazza, ma, neppure un Berti. Sicché risalta ancor di più l'errore della miope dirigenza nerazzurra di non richiamare Zenga: se non in campo, almeno il carisma necessario sarebbe stato in panchina. E, per contagio, sugli spalti. Ritengo, inoltre, che Ranieri, dalla persona seria che è, non potrà resistere a lungo in queste condizioni. Alla prossima sconfitta, si dimetterà. Perché è vero che ci sono stati errori anche da parte sua, ma, altrettanto vero che non ha mano libera. Insomma, uno che a Roma ha spedito Totti, 33 anni e mezzo allora, in panchina nel derby, possibile che non possa mandare in panchina Zanetti Saverio, anni 38, contro la Juve? Se non ha potuto, vuol che non ha il comando delle operazioni. Presto, ne trarrà le dovute conseguenze. Branca si dimetta!