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venerdì 22 maggio 2020

Charly Gaul, l'arrampicatore del ciclismo

L'Angelo della Montagna doveva nascere in collina, nel Lussemburgo. Granducato la cui cima più alta è la Kneiff, 560 metri sul livello del mare. Collina per l'appunto, perché sotto la fatidica quota dei 600 metri. 


Charly Gaul nacque l'8 dicembre del 1932. E si accostò al ciclismo da ragazzo. Di corporatura esile eppure tenace, era e si definiva un peso piuma. Arrampicatore naturale, grimpeur d'elezione, correva scegliendo il rapporto più agile. Un rapporto "da maestrina" avrebbe osservato un giorno Mario Fossati, documentatissimo e acutissimo suiver. Appena esordì, Gaul venne subito accostato a Gino Bartali, allora considerato, come oggi, il più grande scalatore della storia del ciclismo. Come Bartali, Gaul scattava a ripetizione, fuori sella e diventava imprendibile. Tuttavia, se la pedalata di Bartali era potente e quasi violenta, quella di Gaul era leggera, angelicata. Come angelicato era il suo volto, al punto che Roland Barthes, critico letterario ed uno massimi intellettuali francesi negli anni '50 e '60, definì Gaul il "Rimbaud du Tour". Sì, perché ancora negli anni '50 il ciclismo lo seguivano tutti ed era più di uno sport.


File:Charly Gaul 1959 (cropped).jpg - Wikipedia
Charly Gaul, 1959
E Gaul fu protagonista al Tour de France, che vinse nel 1958, e al Giro d'Italia, che conquistò nel 1956 e nel 1959. Grandi corse a tappe che vinse da scalatore puro, come era successo a Bartali e come sarebbe accaduto a Van Impe, al Tour 1975, e a Pantani,  a Giro e Tour del 1998. Difficilissimo. Soprattutto all'epoca, quando per tante montagne c'erano altrettante cronometro, di solito pianeggianti, a favorire i grandi passisti. I Tour degli ultimi anni, quasi senza prove contro il tempo, Gaul li avrebbe vinti in serie.

La sua impresa più grande e più rammentata resta quella sul Monte Bondone, dove si concluse la ventunesima tappa del Giro d'Italia del 1956: era l'otto di giugno. Freddo polare, neve, condizioni proibitive, che tuttavia non convinsero Torriani a sospendere la corsa: sarebbe successo lo stesso 32 anni dopo sul Gavia! Gaul, che aveva un ritardo di 16 minuti dalla maglia rosa Fornara, uno capace di vincere quattro Giri della Svizzera, animò una fuga solitaria. Una fuga dal freddo. E vinse. Un trionfo omerico, mentre tanti corridori sfatti e assiderati, cercavano conforto nelle coperte e nella grappa. Ritiri e tanti arrivi fuori tempo massimo. Fu il Bondone a rivelare al mondo il talento ma anche la tempra di Charly Gaul. Prese la maglia rosa e la portò a Milano.

giovedì 21 maggio 2020

Roberto Visentini al Giro d'Italia: trionfo '86, amarezza '87. L'attacco di Roche nella tappa di Sappada

Contravveniva ad una delle regole non scritte del ciclismo, essendo di famiglia agiata. Come se avesse importanza! Roberto Visentini, classe 1957, era un corridore di moltissima classe, che ebbe un ruolo di primo piano al Giro d'Italia durante gli anni '80 e che avrebbe potuto recitare da protagonista anche al Tour de France, se soltanto non l'avesse disertato, come allora facevano i migliori ciclisti italiani da Moser a Saronni a Baronchelli. Tutti loro preferivano i ricchi ingaggi offerti dai circuiti che si organizzavano in tutta la Penisola nel mese di luglio!

Giro d'Italia 1986

Già nel 1983 aveva sfiorato il successo, Visentini, chiudendo secondo dietro il miglior Saronni di sempre. Visentini del resto, era un corridore completo, forte sul passo, abile in salita. Si rifece al Giro del 1986, l'ultimo della rivalità infinita tra Saronni e Moser. E se Moser, dopo l'inaspettato successo del 1984, era reduce dalla piazza d'onore dietro Hinault nel 1985, Saronni riemergeva da due stagioni agonisticamente buie. Proprio Saronni, grazie alla superiorità della Del Tongo nella cronosquadre, prese la maglia rosa nella terza tappa, salvo cederla per due giorni a Baronchelli, e riprenderla all'esito della Cosenza-Potenza, sesta tappa, quando vinse proprio Roberto Visentini.


Saronni correva con il piglio del leader ed inseguiva il terzo successo al Giro, che l'avrebbe appaiato a Brunero, Bartali e Gimondi. Tra i rivali, oltre Visentini, Moser e Greg LeMond, già terzo al Giro 1985 e prossimo trionfatore del Tour de France del 1986. La corsa si decise nella sedicesima tappa, da Erba a Foppolo, quando vinse lo spagnolo Pedro Munoz e Saronni perse più di due minuti da Visentini. Che avrebbe mantenuto la maglia rosa sino all'arrivo finale di Merano. Primo Visentini, secondo Saronni a 1'02", terzo Moser, a 2'14", quinto Greg LeMond a 2'26".

Giro d'Italia 1987

Nel 1987 la Carrera di Visentini era un autentico squadrone, paragonabile al team Ineos dei tempi nostri. Tutti assieme correvano Visentini, per l'appunto, l'irlandese Roche, già terzo dietro Hinault e LeMond al Tour del 1985, Guido Bontempi, ormai re dello sprint, ma anche Leali e Chiappucci, allora soltanto un gregario, e Schepers. E tutti loro erano al via del Giro d'Italia 1987.

Visentini vinse il cronoprologo di Sanremo e fu sua la prima maglia rosa. Che cedette subito a Breukink, olandese classe 1964, che proveniva anch'egli da famiglia agiata, di casa presso i Reali dei Paesi Bassi. La cronosquadre di Lido di Camaiore, vinta, ca va sans dire, dalla Carrera, mise sul trono della corsa Roche, che si era prima aggiudicato la cronometro dal Poggio a Sanremo: sì, non c'è errore, tre prove contro il tempo nello spazio di quattro giorni!

Sarebbe stata un'altra cronometro, di 46 km, da Rimini a San Marino, a restaurare il dominio di Visentini, capace d'infliggere al compagno di squadra Roche più due minuti di distacco. A quel punto, il bis di Visentini sembrava in cassaforte. Il corridore più forte, con il luogotenente più forte, quale molti ingenuamente credevano Roche, con la squadra più forte, e sul punto dubbi non ce n'erano, la Carrera. E invece no!

Nella tappa da Lido di Jesolo a Sappada, Roche mosse all'attacco della maglia rosa. E si obietterà: anche Coppi, nel 1949, nella Briancon-Aosta, attaccò con Bartali in maglia gialla e gliela portò via. Sì, ma Bartali era caduto e dolorante. E Binda, commissario tecnico della nazionale italiana, ordinò a Coppi di attaccare. Invece, in quel Giro 1987, Roche fece di testa sua. Si sentiva più forte di Visentini e disobbedì a Boifava che gli chiedeva di desistere da quell'azione. Ch'era azione d'insubordinazione. La Carrera, tolto il belga Schepers, tirò per riprendere Roche, senza riuscirci. La tappa andò a Van der Velde. Visentini accusò Roche di tradimento del patto di squadra. Polemiche feroci. Roche da lì sino alla fine in maglia rosa, cercando fuori dalla Carrera il sostegno di cui aveva bisogno in corsa, fu oggetto di dure contestazioni sulla strada. Da parte non solo dei tifosi di Visentini, ma della gran parte dei tifosi italiani.

Giro d'Italia 1987 - Wikipedia
Stephen Roche in maglia rosa
al Giro d'Italia 1987
L'irlandese avrebbe legittimato il successo nella cronometro conclusiva da Aosta a Saint-Vincent, mentre Visentini si era già ritirato per una caduta. E, in quell'anno 1987, per lui incredibile ed irripetibile, Stephen Roche avrebbe conquistato anche Tour de France e campionato del mondo! Una sbornia di vittorie che l'avrebbe convinto a non correre per tutto il 1988. La carriera di Visentini, per contro, almeno ad alti livelli, finì lì.

mercoledì 20 maggio 2020

Giro d'Italia 1976: il tris di Gimondi!

Fu, quello del 1976, il terzo Giro d'Italia conquistato da Felice Gimondi, dopo i successi del 1967 e del 1969. Un Giro lottato e sofferto, che l'asso italiano si aggiudicò per soli 19" sul belga De Muynck e 49" su Bertoglio, vincitore dell'edizione del 1975.

File:Felice Gimondi - Giro d'Italia 1976.jpg - Wikipedia
Felice Gimondi in maglia rosa
al Giro d'Italia del 1976
Parlò belga, più fiammingo che vallone, quella corsa, visti gli acuti di De Vlaeminck, che conquistò gli arrivi di Caltanissetta, Cosenza, Lago Laceno e Arosio, e le tre vittorie del velocista Patrick Sercu. Ma, si misero in luce anche De Witte e Van Linden, oltre a De Muynk, rivale di Gimondi lungo tutta la Penisola. Tanti belgi, tranne il più celebre e forte e vincente, che pure quel Giro lo correva: Eddy Merckx. Proprio il campionissimo che aveva cannibalizzato l'ultimo decennio di corse, costringendo Gimondi, suo più tenace rivale, a moltissime piazze d'onore. Merckx non seppe recitare da protagonista in quell'edizione del Giro, sebbene reduce dalla settima affermazione alla Sanremo.

Gimondi vinse il Giro nella cronometro della penultima tappa ad Arcore, strappando la maglia rosa a De Muynk, secondo. Bertoglio, terzo, il giovane Francesco Moser, quarto a 1'07", Baronchelli, quinto a 1'35". 

martedì 19 maggio 2020

I migliori discesisti del ciclismo

Sulle salite si sale, ma dalle salite si scende. Molte grandi vittorie, nella storia del ciclismo, sono state costruite in discesa, dove il talento alla guida del mezzo, la compostezza in sella, il coraggio spinto fino all'ardimento, la scelta delle traiettorie più convenienti, la capacità di trovare e ritrovare un equilibrio dentro la precarietà, tutto questo assieme ha regalato momenti agonistici indimenticabili. Propongo una classifica dei migliori discesisti della storia del ciclismo.

  1. Fiorenzo Magni (Italia)
  2. Luis Ocana (Spagna)
  3. Gastone Nencini (Italia)
  4. Ferdy Kubler (Svizzera)
  5. Paolo Savoldelli (Italia)
  6. Samuel Sanchez (Spagna)
  7. Laurent Fignon (Francia)
  8. Peter Sagan (Slovacchia)
  9. Francesco Moser (Italia)
  10. Urs Freuler (Svizzera)
  11. Julian Alaphilippe (Francia)
  12. Wout Wagtmans (Olanda)
  13. Henri Anglade (Francia)
  14. Fabian Cancellara (Svizzera)
  15. Vincenzo Nibali (Italia)
  16. Andrè Leducq (Francia)
  17. Dmitri Konyeshev (Russia)
  18. Miguel Indurain (Spagna)
  19. Italo Zilioli (Italia)
  20. Romain Bardet (Francia)

I migliori velocisti del ciclismo

Propongo una classifica dei migliori velocisti della storia del ciclismo.


  1. Rik Van Steenbergen (Belgio)
  2. Mario Cipollini (Italia)
  3. Rik Van Looy (Belgio)
  4. Miguel Poblet (Spagna)
  5. Mark Cavendish (Regno Unito)
  6. Giuseppe Saronni (Italia)
  7. Erik Zabel (Germania)
  8. Freddy Maertens (Belgio)
  9. Oscar Freire Gomez (Spagna)
  10. Alessandro Petacchi (Italia)
  11. Tom Boonen (Belgio)
  12. Peter Sagan (Slovacchia)
  13. André Greipel (Germania)
  14. Djamolidine Abdoujaparov (Uzbekistan)
  15. Robbie McEwen (Australia)
  16. Marino Basso (Italia)
  17. Jean-Paul Van Poppel (Olanda)
  18. Raffaele Di Paco (Italia)
  19. Marcel Kittel (Germania)
  20. Guido Bontempi (Italia)

I migliori scalatori del ciclismo: grimpeur e passisti scalatori

La montagna e il ciclismo, un connubio ormai indissolubile, sebbene non necessario. E non originario. Le prime corse ciclistiche, fino ai primissimi anni del 1900, ne avevano pochissima di salita. Intendo, di salita vera. Al Tour de France, le salite degne di questo nome, si videro alla terza edizione, nel 1905, con il Massiccio dei Vosgi ed un assaggio di Alpi, per esempio. Si comprese presto, tuttavia, che lo spettacolo offerto dalle arrampicate sui versanti alpini o pirenaici era unico, sia da un punto di vista naturalistico ed estetico che da un punto di vista agonistico e sportivo. Molta storia ciclistica, soprattutto nelle corse a tappe, si è scritta in salita. Propongo una classifica dei migliori scalatori del ciclismo, distinguendo tra grimpeur, scalatori puri, e passisti scalatori. Scattisti gli uni, capaci di costanti progressioni i secondi. Proporrò anche una classifica dei migliori cronoman, dei migliori velocisti e dei migliori discesisti.


I Grimpeur
  1. Gino Bartali (Italia)
  2. Charly Gaul (Lussemburgo)
  3. Marco Pantani (Italia)
  4. Federico Bahamontes (Spagna)
  5. Lucien Van Impe (Belgio)
  6. José Manuel Fuente (Spagna)
  7. Julio Jimenez Munoz (Spagna)
  8. Lucho Herrera (Colombia)
  9. Vicente Trueba(Spagna)
  10. Nairo Quintana (Colombia)
  11. Raymond Poulidor (Francia)
  12. Alejandro Valverde (Spagna)
  13. Thibaut Pinot (Francia)
  14. Roberto Heras (Spagna)
  15. René Vietto (Francia)
  16. Richard Virenque (Francia)
  17. Claudio Chiappucci (Italia)
  18. Joaquim Rodriguez (Spagna)
  19. Steven Rooks (Olanda)
  20. Imerio Massignan (Italia)
I Passisti/Scalatori
  1. Fausto Coppi (Italia)
  2. Eddy Merckx (Belgio)
  3. Bernard Hinault (Francia)
  4. Alfredo Binda (Italia)
  5. Alberto Contador (Spagna)
  6. Chris Froome (Inghilterra)
  7. Luison Bobet (Francia)
  8. Felice Gimondi (Italia)
  9. Luis Ocana (Spagna)
  10. Pedro Delgado (Spagna)
  11. Gianni Bugno (Italia)
  12. Laurent Fignon (Francia)
  13. Greg LeMond (USA)
  14. Miguel Indurain (Spagna)
  15. Jacques Anquetil (Francia)
  16. Costante Girardengo (Italia)
  17. Joop Zootemelk (Italia)
  18. Vincenzo Nibali (Italia)
  19. Bernard Thevenet (Francia)
  20. Tony Rominger (Svizzera)

lunedì 18 maggio 2020

Tour de France 1920: l'ultimo sigillo del belga Thys

Si è tanto discusso, e giustamente, dei successi che la Seconda Guerra tolse a Coppi e, soprattutto, a Bartali. Ma, quante vittorie, la Grande Guerra del '14-'18 tolse al corridore belga Philippe Thys? Parliamo di un campione assoluto, che si era aggiudicato le edizioni del Tour de France del 1913 e del 1914. Alla ripresa, nel 1919, fu costretto al ritiro durante la prima tappa.


Nel 1920, vinse il suo terzo Tour, il primo a riuscirci nella storia della Gran Boucle: un primato che avrebbe detenuto da solo fino al tris di Luison Bobet nel 1955 e prima di essere, più avanti, superato da Anquetil, Merckx, Hinault e Indurain.


Nell'edizione del 1920, Thys prese la maglia gialla nella seconda tappa da Le Havre a Cherbourg e la tenne fino a Parigi, forte di quattro successi parziali. Precedette il connazionale Heusghem di quasi un'ora. Nove, sui primi dieci della classifica generale, furono belgi. Un dominio pressoché assoluto, mai più ripetuto. E pensare che, dal 1978, nessun corridore belga sale più sul podio di una grande corsa a tappe!

Dopo di allora, Thys, ormai trentenne, non seppe più ripetersi. Nel 1925, come gregario di Ottavio Bottecchia nell'Automoto, corse il suo ultimo Tour, ritirandosi nella nona tappa. 

Mats Wilander: il campione schivo del tennis

"...di Borg, il giovane Mats era una sorta di clone, soprattutto per la regolarità e la resistenza..." (Gianni Clerici, "500 anni di tennis")
Predestinato ad una grande carriera, senza dubbio. Basti pensare che il suo primo torneo vinto da professionista fu il Roland Garros, nel 1982, quando doveva ancora compiere 18 anni. Mats Wilander, svedese di Vaxio, sconfisse in finale un veterano come l'argentino Guillermo Vilas. E subito i pensieri corsero a Borg, il dominatore del tennis mondiale, ritiratosi per noia (?) un anno prima. Solo che Wilander a Borg somigliava fino ad un certo punto. Se ne possedeva le qualità atletiche eccezionali, la freddezza nel gioco, la prevalenza da fondo campo e la resistenza alla fatica, non era però animato dalla medesima voglia di vincere, portava i capelli, ricci, piuttosto corti e non era minimamente adatto a diventare il personaggio ch'era stato il più illustre connazionale, che aveva tolto il tennis dall'atmosfera rarefatta e pitigrilliana dei circoli, per farne fenomeno di massa.


Dopo il successo sulla terra rossa parigina del 1982, Wilander seguitò a vincere un po' ovunque. Anche sul cemento di Cincinnati. E sull'erba. Non a Wimbledon, ma a Melbourne, quando lo Slam australiano era ancora sui prati e chiudeva la stagione agonistica. Nel 1983, battendo in finale Ivan Lendl e nel 1984, superando Kevin Kurren. Al Roland Garros sarebbe tornato ad imporsi, a quasi 21 anni, nel 1985, sempre contro Lendl, mentre aveva perduto, nel 1983 in finale da Yannick Noah. Wilander è solidissimo, impossibile batterlo al quinto set, ma il suo gioco non entusiasma. Sebbene abbia abbandonato il rovescio bimane in fase d'attacco, quando stacca la sinistra e si porta rete, dove l'esperienza nel doppio ha migliorato di molto il suo gioco di volo. Nel frattempo, è salito alla ribalta un altro svedese, dal tennis classico ed elegante, Stephan Edberg, che, insieme all'aitante tedesco Boris Becker, animerà una delle più belle e lottate rivalità a Wimbledon. Ecco, proprio Wimbledon resterà sempre inaccessibile a Wilander, che lì mai saprà spingersi oltre i quarti di finale. Gli anni 1986 e 1987, sono per Wilander meno vincenti che in passato. Lendl, che lo supera a Parigi e New York nel 1987, è l'indiscusso numero uno al mondo, Becker ed Egberg dividono il tifo, McEnroe vive un precoce declino. Wilander vince ancora Cincinnati e a Roma, ma, complice anche un temperamento quanto mai schivo e riservato, pare entrare in un cono d'ombra. Sembra.

Nel 1988, Wilander torna a vincere una prova Slam. Il suo terzo Australian Open, ora sul cemento, a gennaio, e contro l'idolo di casa, Pat Cash. A giugno, a Parigi, il capolavoro della sua carriera. Prevale in finale sulla sua antitesi tennistica, il mancino d'attacco, Henri Leconte, anch'egli beniamino di casa. Agli Us Open, perché Wimbledon resta stregato, batte per l'ennesima volta Lendl: tre titoli Slam in un anno e primo posto della classifica mondiale, strappato proprio all'impassibile cecoslovacco naturalizzato americano. Resterà ai vertici Atp per cinque mesi, Wilander. Ma, la sua testa ha già svoltato. D'un tratto la voglia di tennis, dei sacrifici legati al tennis, l'abbandona. Di lì a fine carriera, vincerà solo altri due tornei: Palermo, 1988, Itaparica 1990. Per ritirarsi, di fatto, nel 1991. Tornare in campo nel 1993 e fino al 1995. Senza più essere davvero competitivo. Ed ecco che la sua storia torna a somigliare a quella di Borg. Che all'apice del successo, si era sentito svuotato, mollando tutto. Chiuderà con sette titoli dello Slam in undici finali disputate.

domenica 17 maggio 2020

La biografia di Chiellini fa chiasso. Ma fino a Chiasso

Non posso fare la recensione di un libro che non leggerò. E poi sono uscite tante anticipazioni della biografia di Giorgio Chiellini, capitano della Juve. Le polemiche con Melo e Balotelli, il suo odio per l'Inter. E le sue idee sul calcio, sugli allenatori. Non entro nel merito. E c'è da aggiungere che il libro ha già ricevuto tante attenzioni, ha già fatto molto chiasso. Ma fino a Chiasso. Anzi un poco prima. Perché la carriera di Chiellini è stata tutta italiana. Ha vinto solo in Italia. Mai una Coppa Europea. Due eliminazioni al primo turno ai mondiali e persino una mancata qualificazione ai mondiali. Si dirà. Ma è stato secondo con l'Italia agli Europei del 2012. Sì, in finale, mentre era infortunato, lo aveva condotto proprio Balotelli, con la doppietta in semifinale alla Germania.  In finale poi, Chiellini fu espulso dopo mezz'ora. C'è da capirlo. Si giocava oltre il confine.

venerdì 15 maggio 2020

Italia-Francia 6-2: 15 maggio 1910, prima partita della nazionale italiana

Sono passati 110 anni. La Belle Epoque era al tramonto, cui avrebbe contribuito anche la guerra che l'Italia, un anno dopo, avrebbe dichiarato alla Turchia per la conquista della Libia. Preannuncio dell'immane conflitto che stava per scatenarsi in Europa. Presidente del Consiglio era Luzzatti, ma il dominus della politica italiana restava Giovanni Giolitti. Allo Stadio Civico Arena di Milano, il 15 maggio del 1910, alle ore 15:30, ci fu il debutto della nazionale italiana di calcio contro la Francia, davanti a poco meno, o poco più, di 4.000 spettatori. Il calcio era ancora un gioco praticato da pochissimi amatori, quasi sconosciuto nel Mezzogiorno, per niente popolare, dacché lo sarebbe diventato solo nel primo dopoguerra. Ed era un calcio confuso e confusionario, che ancora andava dietro alla Piramide di Cambridge: grosso modo tutti all'attacco, continui uno contro uno, assembramenti - allora non vietati! - e contrasti dozzinali, campanili e rinvii strampalati. Alcuni calciatori provenivano dalla ginnastica, dai quadri svedesi e dalla parallele asimmetriche. L'Italia era allenata da Umberto Meazza, solo omonimo del magnifico Giuseppe Meazza, che sarebbe nato, sempre a Milano, di lì a pochi mesi. La selezione dei giocatori era affidata ad una commissione tecnica federale. L'Italia vinse 6-2. Fu soltanto l'inizio.


File:Italy football team 1910.jpg - Wikipedia
Nazionale Italiana al debutto, 15 maggio 1910

ITALIA: De Simoni (U.S. Milanese), Varisco (U.S. Milanese), Calì (Doria) (cap.), Trerè (Ausonia), Fossati (Inter), Capello D. (Torino), Debernardi (Torino), Rizzi (Ausonia), Cevenini I (Milan), Lana (Milan), Boiocchi (U.S. Milanese). Commissione tecnica federale. All.: U. Meazza.

FRANCIA: Tessier, Mercier, Sollier, Rigal, Ducret, Vascout, Mouton, Sellier, Bellocq, Ollivier, Jourde (cap.). Commissione tecnica interfederale.

Reti: 13' Lana, 20' Fossati, 49' Sellier, 59' Lana, 62' Ducret, 66' Rizzi, 82' Debernardi, 89' Lana rigore.

giovedì 14 maggio 2020

La serie A riparte il 13 giugno? Forse, pare, Covid permettendo

Ora, si parla del 13 giugno 2020, per la ripartenza del campionato di calcio di serie A. Non v'è la minima certezza. Che, del resto, manca in ogni altro ambito, in Italia, il più grande periodo ipotetico dell'Occidente.

Giro d'Italia 1974: 1. Merckx 2. Baronchelli 3. Gimondi. Il secondo minor distacco nella storia del Giro: Baronchelli perse per 12"

"Io ho sempre corso per vincere e basta" (Eddy Merckx in un'intervista data a Cheo Condina, il manifesto, 13 marzo 2004)
Una delle edizioni più avvincenti e lottate del Giro d'Italia fu quella del 1974. La prima maglia rosa fu del belga Reibrouck, che vinse la tappa d'avvio dal Vaticano a Formia. Alla terza tappa, il simbolo del primato passò sulle spalle del grande scalatore spagnolo Fuente, che s'impose sul traguardo di Sorrento. Merckx, Gimondi e il giovane Baronchelli, 21 anni da compiere, erano i più immediati inseguitori del grimpeur iberico, che riuscì ad aggiudicarsi altre due tappe, tra le Marche e l'Emilia.
File:Gianbattista Baronchelli.JPG - Wikipedia
Gianbattista Baronchelli

Merckx si riavvicinò, dominando la cronometro di Forte dei Marmi. Poi, la quattordicesima tappa, con arrivo a Sanremo. Fuente commise uno degli errori che i corridori più sottovalutano e che, spesso, si rivelano esiziali: si alimentò poco o male o poco e male. Insomma, crisi di fame e dieci minuti di ritardo. Che Fuente non avrebbe saputo più recuperare, nonostante la superiorità in salita. Merckx ne avrebbe respinto gli assalti con una difesa ad oltranza, cui era poco abituato dai suoi "mille" successi, ma tenne. Soprattutto su Le Tre Cime di Lavaredo, arrivo che l'aveva lanciato sulle strade italiane nel 1968, e dove rischiò di perdere il suo quinto Giro per l'attacco di Fuente, che vinse la tappa, e di Baronchelli. A Milano, primo Merckx, secondo Baronchelli ad appena 12", terzo Gimondi a 33". Fuente, a dispetto di cinque vittorie di tappa, sarebbe stato solo quinto in classifica generale, dovendosi accontentare della maglia verde di miglior scalatore, introdotta quell'anno. Tutto per aver mangiato poco verso Sanremo.


Eddy Merckx - Wikipedia
Eddy Merckx in maglia rosa
Quello tra Merckx e Baronchelli fu il secondo minor distacco tra i primi due della classifica nella storia del Giro d'Italia, dopo gli 11" che nel 1948 regalarono a Fiorenzo Magni il suo primo Giro, davanti a Cecchi. Nel 1995, sempre Magni avrebbe impedito a Coppi la vittoria del sesto Giro per 13". Nel 2012, Joaquim Rodriguez avrebbe perso da Hesjedal per soli 16".

martedì 12 maggio 2020

Giro d'Italia 1988: Hampsten e la tempesta sul Gavia. L'impresa mancata di Johan Van der Velde

"Vidi Van der Velde passare su con le maniche corte, come era partito, con la neve sui capelli" (Claudio Gregori, intervista concessa a Roberto Cauz e Riccardo Spinelli, "Chissà che l'utopia non vinca")
Il Giro d'Italia del 1988 fu una corsa in bianco e nero, perché il 5 giugno, durante la quattordicesima tappa verso Bormio, sul Passo del Gavia, una tempesta da romanzo gotico si abbatté sulla corsa. Mai vista tanta neve nel mese di giugno. Freddo glaciale. Corridori assiderati. Moltissimi costretti al ritiro. Le lancette dell'orologio del ciclismo volarono indietro a ritmo impensato. Distacchi come negli anni '30, tanti finirono fuori tempo massimo. Quel giorno, un americano, Hamspten, vestì la maglia rosa, per tenerla sino a Milano.

File:Gavia1998.jpg - Wikipedia
Gavia, Giro d'Italia 1988
Facciamo un passo indietro. Alla vigilia, si annunciava un grande Giro. Al via, i favoriti erano Visentini, vincitore nel 1986, protagonista del litigio di squadra con Roche nel 1987, lo spagnolo Pedro Delgado, già vincitore di una Vuelta e secondo al Tour dell'anno prima, e poi l'irlandese polivalente Sean Kelly, l'olandese Breukink e, soprattutto, il francese Jean-Francois Bernard. Che agli osservatori pareva il più talentuoso ed era in rampa di lancio dopo il terzo posto colto al Tour del 1987. E Bernard fu la prima maglia rosa, indossata dopo il successo nel cronoprologo di Urbino, cui sarebbero seguite altre due affermazioni  parziali in quel Giro. A sfilare la maglia rosa al francese, alla quarta tappa, fu un gregario di fondo, Massimo Podenzana dopo una lunga fuga conclusa sul traguardo di Rodi Garganico. L'avrebbe tenuta nove giorni. L'acuto della sua carriera. Prima di vincere due campionati italiani e di finire settimo al Giro del 1994. Sulla salita di Campitello Matese, successo di Chioccioli, che, nel volto e solo nel volto, somigliava a Fausto Coppi, e perciò era detto Coppino. Chioccioli correva nella Del Tongo capitanata da Saronni. Alla vigilia della tappa del Gavia, Chiccioli era primo, Saronni nono.

File:Jean-François BERNARD.jpg - Wikimedia Commons
Jean-Francois Bernard
Poi, il Gavia. I corridori, quel giorno, dovettero provare le stesse sensazioni avvertite da Octave Lapize sul Tourmalet, nel Tour de France del 1910. Sofferenza assoluta, sforzo innaturale. Sul Gavia passa per primo, da solo, Johan Van der Velde, in maglia ciclamino. La neve sta cadendo sempre più copiosa mentre l'olandese si avvicina al gran premio della montagna. Inizia la discesa verso Bormio e non si copre: errore tremendo. Sarà un calvario per lui. E per tanti altri. Parte la corsa alle mantelline, ma nulla servirebbe come un giornale, più giornali da mettere sotto la maglietta. Terremoto in classifica. Sono i più magri, ma i ciclisti sono tutti magri, a patire di più. Saronni e Visentini persero mezz'ora. Bernard, lì finì la sua carriera nelle grandi corse a tappe, poco meno di dieci minuti. Van der Velde, che aveva dovuto fermarsi in camper e poi ripartire per un principio di congelamento, arrivò anche dopo. Il successo di tappa andò a Breukink, olandese assiduo frequentatore della casa reale. Polemiche si abbattono sull'organizzazione della corsa e sulla decisione di Torriani di non neutralizzare la tappa. Andy Hampsten, si diceva, prese la maglia rosa, legittimandola con il successo nella cronoscalata del Valico del Vetriolo. A Milano, vittoria di Hampsten, primo statunitense a vincere il Giro, secondo Breukink a 1'43", terzo lo svizzero Zimmermann a 2'45". Nessun italiano sul podio: quarto Giupponi, quinto Chioccioli, sesto Giovannetti.

Fu il secondo anno consecutivo senza italiani sul podio della corsa della Gazzetta: nel 1987 aveva vinto Roche, su Millar e Breukink. Era accaduto anche nel 1972, con Merckx primo, Fuente secondo e Galdòs terzo, sarebbe successo di nuovo nel 1995, con vittoria di Rominger su Berzin e Ugrjumov, nel 2012, con Hesjedal, Joaquim Rodriguez e De Gendt e nel 2018, con Froome, Tom Dumoulin e Miguel Angel Lopez. Sei volte in 102 edizioni!

lunedì 11 maggio 2020

Giro d'Italia 1980: il trionfo di Hinault, le sette tappe di Saronni

"La differenza  fra martire ed eroe è minima, un colpo di vento, la sfortuna. Io non voglio essere martire". (Bernard Hinault)
Quando, nel 1980, il bretone Bernard Hinault, detto Il Tasso, approdò al Giro d'Italia, nel suo palmares figuravano già una Vuelta a Espana e due Tour de France. L'Italia aveva un'agguerrita schiera di pretendenti alla maglia rosa finale, guidata da Saronni e Moser, rispettivamente primo e secondo nel Giro del 1979. E oltre a loro Baronchelli e il giovane Visentini, Panizza e Battaglin. Hinault era reduce dai freschi successi alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Giro di Romandia.
Giro d'Italia ´82 | Tommy Prim, Bernard hinault, Lucien van ...
Bernard Hinault, al Giro del 1982 (che pure avrebbe vinto)
Cronoprologo a Moser, prima maglia rosa a Genova. Hinault s'impossessò del simbolo del primato a Pisa, dopo la seconda prova contro il tempo del Giro. Saronni uscì presto di classifica, avrebbe comunque chiuso al settimo posto e, quel che più conta, avrebbe vinto sette tappe! Impresa alla Binda o alla Guerra degli anni eroici del ciclismo. Nella settima tappa, ad Orvieto, acuto di Visentini, che strappò la maglia rosa ad Hinault, tenendola fino a Roccaraso, dove al successo parziale dell'asso francese fece seguito il primato in classifica dello scalatore Wladimiro Panizza, sempreverde dopo 35 primavere e tredici anni di carriera! Eppure Hinault già correva da padrone. A 26 anni mostrava, alla prima esperienza al Giro, la sicurezza del veterano. Scortato da un luogotenente d'eccezione, il connazionale Bernaudeau, uno spesso tra i primi dieci tra Tour e Vuelta. Proprio Bernaudeau avrebbe vinto la Cles-Sondrio, dopo fuga avviata per propiziare l'attacco di Hinault sullo Stelvio: strategia vincente. Hinault sfilò la maglia rosa a Panizza e la tenne fino a Milano. Primo Hinault, secondo Panizza a 5'43", terzo Battaglin a 6'30".
File:Wladimiro Panizza - Tour 1976.jpg - Wikimedia Commons
Waldimiro Panizza al Tour de France del 1976
Bernard Hinault avrebbe vinto altri due Giri d'Italia, in tutto tre in tre partecipazioni, nel 1982 e nel 1985, un'altra Vuelta e altri tre Tour de France: dieci grandi corse a tappe, solo una meno di Eddy Merckx! Ma fu anche dominatore di classiche. Persino della Parigi-Roubaix, che pure detestava, ritenendola un'anacronistica via crucis. Diceva di sé di essere prima bretone e poi francese. Fu amato, in Francia, meno di Anquetil, molto meno di Poulidor. Ma, i francesi hanno graduatorie di affetto tutte loro.