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mercoledì 8 giugno 2022

Riflessione sui numeri di Nadal. Non ha affrontato i migliori della storia sulla terra rossa

Dopo il tripudio di elogi, certo meritati, che hanno attinto Nadal all'esito del quattordicesimo trionfo al Roland Garros, prendendo le mosse da un precedente post, vorrei svolgere qualche riflessione sui numeri del campione maiorchino. 

Nadal ha vinto in carriera 92 titoli Atp, 63 dei quali sull'amata terra rossa: vale a dire il 68,4% dei suoi successi. Dopo di lui, per vittorie Atp sulla terra battuta, viene l'argentino Vilas, autore di 49 vittorie, seguito dall'austriaco Muster, 40, dal formidabile svedese Borg, 30, e dallo sapgnolo Orantes, pure 30. Poi, il cecoslovacco naturalizzato statunitense, Lendl, 28, il rumeno Nastase, 27, l'argentino Clerc, 21, lo svedese Wilander, 20 e infine, al nono posto di questa speciale classifica, il serbo Djokovic, 18. L'unico, Djokovic, contro cui Nadal abbia incrociato la racchetta nella sua carriera, battendendolo anche tre volte in finale a Parigi.

Di più, cosa avrebbe fatto Nadal contro l'estro di Adriano Panatta, che sulla terra rossa inflisse a Borg le due uniche sconfitte al Roland Garros? E contro Kuerten? Mai lo sapremo.


Snocciolati questi numeri, che sono noti e a disposizione di tutti, va da sé che:
a) Nadal non ha giocato con nessuno dei maggiori vincitori di titoli Atp sulla terra rossa, ad eccezione di Djokovic, che nella classifica di riferimento è appena al nono posto;
b) che Nadal non ha certo colpa del fatto che gli altri si fossero tutti ritirati prima che lui iniziasse a giocare.


Va aggiunto che Nadal neppure ha affrontato quei talenti sulla terra rossa, come Kuerten ma pure Moya e Ferrero, quando erano al meglio delle loro possibilità (declinavano quando lui esordiva).


Cosa ne voglio concludere?


Ne concludo che Nadal, il più forte giocatore di sempre sulla terra battuta (un dubbio al riguardo si può conservare solo con riferimento a Borg) ha furoreggiato in un'epoca, ormai più di tre lustri, in cui i migliori su quella superficie non hanno giocato. Perché l'avevano già fatto. Basti dire che, anche negli anni, e ci sono stati, in cui Nadal ha giocato meno per via dei tanti infortuni, nessuno, sulla terra rossa, ha saputo distinguersi e imporsi sugli altri.


Credo sia importante dirlo, perché, nel tennis conta tanto anche chi batti. E i suoi principali avversari in assoluto, Federer e Djokovic, hanno sempre avuto nella terra battuta la superficie meno congeniale se non meno amata. 


Gli impressionanti numeri di Nadal sulla terra rossa si spiegano anche così. Non soltanto così, ma anche così. 


lunedì 6 giugno 2022

Nadal XIV al Roland Garros. Senza affrontare Borg, Vilas, Wilander, Lendl, Kuerten

Quattordici successi al Roland Garros. L'ultimo ieri, contro il norvegese Ruud, che, per la facilità della partita e la modestia dell'avversario, ha ricordato il primo, contro l'argentino Mariano Puerta, nel 2005: almeno, allora, Nadal perse il primo set al tie-break. Nel mezzo, in diciassette anni, altre dodici vittorie: quattro contro Federer (2006, 2007, 2008, 2011), tre contro Djokovic (2012, 2014, 2020), due contro Thiem (2018, 2019), una contro Soderling (2010), una contro Ferrer (2013), una contro Wawrinka (2017). Quattordici vittorie in quattordici finali, 122 partite vinte e tre sole sconfitte sulla terra rossa di Parigi: da Soderling agli ottavi di finale, nel 2009, da Djokovic ai quarti di finale, nel 2015, da Granollers, al terzo turno nel 2016 (ma Nadal si ritirò). Numeri impressionanti e, per se stessi, indiscutibili. So di avere un'opinione impopolare, so che mi fa ombra il tifo storico per Federer e l'antipatia che Nadal, non come uomo, ma come tennista, mi ha sempre ispirato. Ma tutte le vittorie che ha ottenuto a Parigi, tantissime, straordinariamente tante, sono venute non contro veri specialisti della terra battuta. Non contro i migliori di sempre, almeno. Non del calibro, per stare all'era Open, di un Borg, di un Vilas, ma pure di un Wilander, di un Lendl, di un Kuerten, di uno stesso Muster. Nemmeno del livello di Moya o Ferrero, che declinavano quando lui debuttò. Insomma, Nadal, il più grande giocatore della storia sulla terra rossa, non ha affrontato né il secondo né il terzo, neppure il quarto giocatore della storia sulla medesima superficie. Sotto questo aspetto, gli è andata bene. Non ne ha colpa. Ha battuto - e con merito - chi ha affrontato. Cambia qualcosa nella valutazione delle sue vittorie? Probabilmente no. Però, è andata così. E mi pare giusto ricordarlo.

lunedì 18 maggio 2020

Mats Wilander: il campione schivo del tennis

"...di Borg, il giovane Mats era una sorta di clone, soprattutto per la regolarità e la resistenza..." (Gianni Clerici, "500 anni di tennis")
Predestinato ad una grande carriera, senza dubbio. Basti pensare che il suo primo torneo vinto da professionista fu il Roland Garros, nel 1982, quando doveva ancora compiere 18 anni. Mats Wilander, svedese di Vaxio, sconfisse in finale un veterano come l'argentino Guillermo Vilas. E subito i pensieri corsero a Borg, il dominatore del tennis mondiale, ritiratosi per noia (?) un anno prima. Solo che Wilander a Borg somigliava fino ad un certo punto. Se ne possedeva le qualità atletiche eccezionali, la freddezza nel gioco, la prevalenza da fondo campo e la resistenza alla fatica, non era però animato dalla medesima voglia di vincere, portava i capelli, ricci, piuttosto corti e non era minimamente adatto a diventare il personaggio ch'era stato il più illustre connazionale, che aveva tolto il tennis dall'atmosfera rarefatta e pitigrilliana dei circoli, per farne fenomeno di massa.


Dopo il successo sulla terra rossa parigina del 1982, Wilander seguitò a vincere un po' ovunque. Anche sul cemento di Cincinnati. E sull'erba. Non a Wimbledon, ma a Melbourne, quando lo Slam australiano era ancora sui prati e chiudeva la stagione agonistica. Nel 1983, battendo in finale Ivan Lendl e nel 1984, superando Kevin Kurren. Al Roland Garros sarebbe tornato ad imporsi, a quasi 21 anni, nel 1985, sempre contro Lendl, mentre aveva perduto, nel 1983 in finale da Yannick Noah. Wilander è solidissimo, impossibile batterlo al quinto set, ma il suo gioco non entusiasma. Sebbene abbia abbandonato il rovescio bimane in fase d'attacco, quando stacca la sinistra e si porta rete, dove l'esperienza nel doppio ha migliorato di molto il suo gioco di volo. Nel frattempo, è salito alla ribalta un altro svedese, dal tennis classico ed elegante, Stephan Edberg, che, insieme all'aitante tedesco Boris Becker, animerà una delle più belle e lottate rivalità a Wimbledon. Ecco, proprio Wimbledon resterà sempre inaccessibile a Wilander, che lì mai saprà spingersi oltre i quarti di finale. Gli anni 1986 e 1987, sono per Wilander meno vincenti che in passato. Lendl, che lo supera a Parigi e New York nel 1987, è l'indiscusso numero uno al mondo, Becker ed Egberg dividono il tifo, McEnroe vive un precoce declino. Wilander vince ancora Cincinnati e a Roma, ma, complice anche un temperamento quanto mai schivo e riservato, pare entrare in un cono d'ombra. Sembra.

Nel 1988, Wilander torna a vincere una prova Slam. Il suo terzo Australian Open, ora sul cemento, a gennaio, e contro l'idolo di casa, Pat Cash. A giugno, a Parigi, il capolavoro della sua carriera. Prevale in finale sulla sua antitesi tennistica, il mancino d'attacco, Henri Leconte, anch'egli beniamino di casa. Agli Us Open, perché Wimbledon resta stregato, batte per l'ennesima volta Lendl: tre titoli Slam in un anno e primo posto della classifica mondiale, strappato proprio all'impassibile cecoslovacco naturalizzato americano. Resterà ai vertici Atp per cinque mesi, Wilander. Ma, la sua testa ha già svoltato. D'un tratto la voglia di tennis, dei sacrifici legati al tennis, l'abbandona. Di lì a fine carriera, vincerà solo altri due tornei: Palermo, 1988, Itaparica 1990. Per ritirarsi, di fatto, nel 1991. Tornare in campo nel 1993 e fino al 1995. Senza più essere davvero competitivo. Ed ecco che la sua storia torna a somigliare a quella di Borg. Che all'apice del successo, si era sentito svuotato, mollando tutto. Chiuderà con sette titoli dello Slam in undici finali disputate.

domenica 22 luglio 2018

Bastad 2018: trionfa Fognini. Battuto Gasquet in tre set. Settimo titolo Atp perFognini

Battuto il talentuoso francese Gasquet in tre set. Fabio Fognini conquista a Bastad, Svezia, terra rossa, il suo settimo titolo Atp. Meglio di lui, nell'era Open, solo Panatta, vincitore di dieci tornei del circuito maggiore. Bastad (Swedish Open), peraltro, è torneo di grande prestigio, nel cui albo d'oro figurano Nastase e Borg, Wilander e Nadal. Ora, anche Fognini. Campione vero, cui manca solo l'acuto in una prova dello Slam.

mercoledì 24 gennaio 2018

Nadal e la polemica sul "cemento" dopo il ritiro a Melbourne

Un tempo, è noto a tutti gli appassionati di tennis, tre prove dello Slam, su quattro, si giocavano sull'erba. La sola eccezione era rappresentata dal Roland Garros, da sempre disputato sulla terra battuta o terra rossa. Si giocava anche con attrezzi assai diversi da quelli odierni. Racchette di legno, con le quali era impossibile imprimere la forza oggi permessa da materiali assai più evoluti. Il tennis, con la rivoluzione tecnologica delle racchette, è profondamente cambiato già alla fine degli anni '70. E proprio allora si è cominciato a giocare sempre meno sull'erba, passando molti tornei al più duro cemento, di cui oggi si lamenta Nadal e che, tuttavia, proprio a Nadal ha regalato non poche vittorie in tanti tornei. Anche dello Slam: 3 vittorie agli Us Open, 1 agli Australian Open. Tornei che, un tempo, si giocavano sull'erba. Gli Us Open fino al 1974, passando poi alla terra verde nel 1975 e, da ultimo, al cemento nel 1978. Gli Australian Open si sono giocati sull'erba sino al 1987. Wilander vinse il primo torneo sul cemento australiano di Melbourne nel 1988, dopo aver conquistato due edizioni sull'erba. Orbene, Nadal di cosa si lamenta? Credo che sia l'ultimo a potersi lamentare perché il suo gioco, da anni incompatibile con l'erba, basti guardare le precoci eliminazioni in serie negli ultimi Wimbledon, si appasta piuttosto bene con il cemento, per quanto non come la terra rossa. Il cemento richiede forza, prestanza, tonicità muscolare. Che a Nadal proprio non difettano. Semmai è il gioco di Nadal a facilitarne gli infortuni. Tanta corsa, molte scivolate e spaccate, un grandissimo dispendio di energia. Senza dimenticare la muscolatura ipertrofica, quasi culturista. Federer, che ha un fisico asciutto, da atleta di 40 anni fa, si è infortunato molto di meno. Ed il cemento non c'entra. Detto questo, magari si tornasse a giocare di più sull'erba. Ma, Nadal non se ne gioverebbe.