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giovedì 7 maggio 2020

Giro d'Italia 1990: il trionfo di Gianni Bugno

Trent'anni fa, il 18 maggio del 1990, cominciava il Giro d'Italia che Gianni Bugno avrebbe dominato dalla prima all'ultima tappa, come Girardengo nel 1919, come Alfredo Binda nel 1927, come Eddy Merckx nel 1973 (anzi quasi, perché nel '73 ci fu un cronoprologo a coppie e la prima maglia rosa non venne assegnata). E dopo Bugno più nessuno ci sarebbe riuscito. 
Tour Of Italy ´90 | Gianni Bugno Clincher Tires: Michelin Pr ...
 Gianni Bugno 1990

Bugno, passato professionista alla fine del 1985, era un predestinato, ricco di talento, un fuoriclasse molto considerato nel gruppo. Schivo, riservato, passista potente ed elegante, era il più veloce dei non velocisti e teneva benissimo in salita, soprattutto sulle salite adatte ai lunghi rapporti, che era il solo a saper spingere. E tutto questo sempre conservando una pedalata elegantissima, efficacissima, rotonda. Mai un segno di stanchezza o di alterazione sul volto, le spalle sempre dritte. Si era svelato al grande pubblico nel 1986, regolando in volata un certo Francesco Moser nel Giro dell'Appennino. Poi conquistato anche nel 1987 e nel 1988. Nel 1989, lo racconto per meglio inquadrare il corridore Bugno, quando il Giro dell'Appennino valeva anche per il titolo nazionale, era stato secondo dietro Argentin: più volte, nella sua carriera, Bugno avrebbe vinto contro pronostico, salvo tradire le attese quando la sua vittoria era annunciata.

Torniamo al Giro del 1990: 20 tappe, più di 3.400 km. Il favorito della vigilia era il francese Laurent Fignon, campione uscente e reduce dalla beffa degli 8", con i quali aveva ceduto a LeMond il Tour de France del 1989. Molto atteso anche Flavio Giupponi, classe 1964 come Bugno, che nelle ultime tre edizioni del Giro era stato quinto, quarto e secondo, nel 1989 proprio dietro Fignon. E poi c'era Marco Giovannetti, che aveva appena conquistato la Vuelta a Espana, cosa che ad un corridore italiano non succedeva dal 1981, con Battaglin. E c'erano anche lo stacanovista spagnolo dei grandi giri, Marino Lejarreta, l'altro iberico Echave ed il francese Mottet, che vantava un quarto posto al Tour del 1987 e un sesto posto al Tour del 1989. Bugno, proprio nel 1989, aveva ottenuto la sua migliore prestazione in una grande corsa a tappe: undicesimo al Tour. In quel 1990 aveva già conquistato la Milano-Sanremo, con magnifico assolo iniziato sulla Cipressa, e si era poi annesso il Giro del Trentino.

Bugno vinse subito il cronoprologo di 13 km a Bari. Vestita la maglia rosa, prese il controllo della corsa come un veterano. Sulla stampa e in televisione, tutti gli consigliavano di cederla, quella maglia, per non affaticare troppo la squadra e alleggerire la pressione su di sé. Ma, Bugno era come trasfigurato dal simbolo del primato. Volava. Ottenne a Vallombrosa, nella settima tappa, il secondo successo parziale. Tenne benissimo sulle montagne, anche il 2 giugno, quando fu secondo dietro Mottet sul Passo del Pordoi. Stravinse la cronoscalata del Sacro Monte di Varese. E giunse da trionfatore a Milano, con 6'33" su Charly Mottet e 9'01" su Marco Giovannetti. Era l'epifania di un campione polivalente, che avrebbe potuto ambire al titolo di campionissimo ed avrebbe invece vinto solo la metà, forse meno, di quanto la sua classe gli avrebbe permesso.

mercoledì 6 maggio 2020

Tour de France 1965: l'impresa di Gimondi

Il 1965 fu un anno d'oro per il ciclismo italiano. Vittorio Adorni aveva conquistato il Giro d'Italia e intendeva correre il Tour de France con ambizioni di classifica, forte di una squadra solida, alla quale, in sostituzione di Babini, venne al'ultimo aggregato il giovane Felice Gimondi, classe 1942. Le speranze francesi erano appuntate su Poulidor, vista l'assenza di Anquetil, l'elegantissimo campione normanno che aveva portato a cinque il numero dei Tour conquistati. Allora primato assoluto, poi eguagliato da Merckx, Hinault e Indurain. Gimondi vinse la terza tappa da Roubaix a Rouen e vestì la maglia gialla, che perse a La Rochelle e riconquistò due giorni dopo sui Pirenei, dopo la frazione che giungeva a Bagneres-de-Bigorre. L'avrebbe tenuta sino a Parigi, ormai capitano unico dopo il ritiro di Adorni, annettendosi le due cronometro del 10 e del 14 luglio, festa nazionale francese e tappa  finale celebrativa da Versailles a Parigi. Vani furono gli assalti al suo primato portati da Poulidor in salita, specialmente nella durissima tappa del Mont Ventoux, la cima cara al Petrarca: Gimondi quel giorno rischiò di saltare per voler rispondere agli scatti di Jimenez, Motta e Poulidor. Non saltò, però, offrendo la prima delle molte prove di straordinaria tenacia che avrebbero distinto la sua carriera. Per Poulidor sarebbe stato il secondo di otto podi al Tour, senza mai, durissima beffa del destino, indossare una sola maglia gialla. Gimondi riportava un italiano in trionfo a Parigi, dopo i successi di Bottecchia (1923, 1924), Bartali (1938, 1948), Coppi (1949, 1952) e Nencini (1960). Per rivedere un italiano in cima alla classifica del Tour de France, sarebbero poi trascorsi 33 anni, con la vittoria di Pantani del 1998. Oltre al primo posto di Gimondi, ci fu il terzo di Gianni Motta, che sarebbe stato il suo grande rivale italiano per molti anni. Da pochi mesi era approdato al professionismo anche un giovane belga, Eddy Merckx, che avrebbe vinto tutto, dappertutto, più di tutti. Costringendo Gimondi a molte piazze d'onore. Ciò non di meno, Gimondi dopo quel Tour del 1965 che lo rivelò al mondo, avrebbe vinto tre Giri d'Italia, una Vuelta a Espana, una Sanremo, una Roubaix, due Lombardia, un mondiale e tanto, tantissimo altro. Nonostante Merckx.
File:Felice Gimondi en 1966.jpg - Wikimedia Commons
Felice Gimondi

martedì 5 maggio 2020

Almanacco del 5 maggio: Napoleone, Cuper, Mourinho

Giorno curioso, questo 5 maggio. Giorno fatale? Lo sono tutti i giorni dell'anno. Accade alle volte, però, che un giorno assuma e mantenga un'eco diversa. L'ode manzoniana a Napoleone, che il 5 maggio 1821 chiuse gli occhi nel triste e sperduto esilio di Sant'Elena, ebbe risonanza pari all'evento medesimo da cui traeva ispirazione: la morte dell'imperatore o del terribile tiranno, a seconda degli opposti punti di vista, che aveva dominato la scena politica e militare, anzi, militare e politica dell'ultimo quarto di secolo. Qui parliamo, quasi sempre, di sport. E, si parva licet componere magnis, il 5 maggio del 2002 si consumò il maggior dramma della storia sportiva nerazzurra: l'Inter perse uno scudetto sul campo della Lazio, nell'ultima giornata di un campionato che aveva condotto dal principio. In un post recente, ho spiegato che fu soprattutto Cuper a determinare quella sconfitta. E il ricordo, oggi 5 maggio 2020, di Napoleone Bonaparte mi suggerisce un'altra idea, che potrebbe contribuire a spiegare cosa accadde quel giorno all'Olimpico. Napoleone diceva di volere generali più fortunati che bravi. Anche, forse, perché confidava nelle sue eccezionali capacità strategiche. Ecco, diciamo che Cuper, il 5 maggio 2002 non solo non fu bravo, ma nemmeno fortunato. Otto anni dopo, il 5 maggio del 2010, l'Inter di Mourinho, egli sì condottiero di stoffa napoleonica, vinse la finale di Coppa Italia contro la Roma, con un gol guascone di Milito: fu la prima tappa del triplete, completato da scudetto e Champions League nello spazio di pochi giorni.
Napoleone Bonaparte - Wikipedia
Napoleone Bonaparte

lunedì 4 maggio 2020

Perché il Grande Torino fu così grande?

Sono rimasti in trasferta, per riprendere il toccante finale dell'articolo con il quale Montanelli ricordò la tragica scomparsa, sulla collina di Superga, del Grande Torino, di Novo ed Herbstein, avvenuta giusto 71 anni fa. Di quella squadra leggendaria si è scritto di tutto. Si è raccontato tutto. Ma, perché, calcisticamente, fu così grande? Provo a spiegarlo in tre punti.

  • Anzitutto, una generazione irripetibile di talenti. Il presidente Novo voleva i migliori e li ebbe. Valentino Mazzola su tutti, giocatore universale prima di De Stefano e di Cruijff. Leader tecnico e carismatico, baricentro basso, mancino ma abilissimo con il destro, coriaceo nei contrasti, devastante in progressione, suggeritore e finalizzatore. Quando trovi un simile campione, il resto viene di conseguenza. E il "brasiliano" Maroso sulla sinistra. E il "gemello" di Mazzola, Loik. Il centravanti Gabetto, il mediano Grezzar, l'ala Ossola. Tutti fuoriclasse, tutti assieme.
  • Il gioco nuovo. Un'applicazione originale del Sistema nell'Italia del Metodo. Meno lanci, molti più passaggi secondo la filosofia danubiana. Allenamenti individuali mirati, per rinforzare il piede debole, ritiri, preparazione atletica intensa. E l'importanza del movimento senza palla. Quello che apre e favorisce nuove linee di passaggio. E muoversi, invece di aspettare palla addosso, significa mutare posizione, sparigliare, confondere gli avversari. Il calcio totale, che già era stato sperimentato in Svizzera per la verità, si consolida con il Grande Torino. Mazzola, in campo, puoi trovarlo ovunque. Ovunque serva.
  • Il secondo dopoguerra. C'è un'energia nell'aria dell'Italia della ricostruzione. C'è un desiderio di rivincita e di ripresa. Il Torino lo incarna naturalmente. Ha un carattere indomabile. Di qui le rimonte proverbiali. Si tratta di una squadra vera, che si muove come un blocco unico. Insomma, ha un'anima, che avvince e tiene assieme tutti i giocatori.

Calcio: prove tecniche di ripartenza in serie A

Non si gioca da due mesi. Il coronavirus ha fermato il calcio. Non solo il calcio. Ma, le squadre di serie A sono pronte a riprendere gli allenamenti, con cautela, circospezione, prudenza. In obbedienza al noto principio di precauzione. Di massima precauzione, secondo i dettami dei virologi, che sono i nuovi filosofi della Repubblica di Platone. Domani, riprenderà, ad Appiano Gentile, anche l'Inter. Mi domando se questa ripartenza condurrà davvero ad un ritorno alle competizioni. Restano ancora dodici giornate da giocare in serie A. Tredici per l'Inter. Poi, ci sarebbero anche le Coppe Europee.

Giro d'Italia 1994: Berzin, Pantani, Indurain

Nel 1994, al Giro d'Italia c'è aria di rinnovamento. Torna Miguel Indurain, alla ricerca del tris rosa, c'è sempre Chiappucci, che ha in squadra un relativamente giovane scalatore, in fondo ha già 24 anni, Marco Pantani, c'è Eugenio Berzin, russo, egli pure di 24 anni, che ha appena conquistato la Liegi-Bastogne-Liegi. E c'è anche Bugno, che ha avuto nel 1993 il suo annus horribilis, che ha vinto, due mesi prima e d'un soffio, il Giro delle Fiandre su Museeuw e cerca conferme alla sua rinascita agonistica nella corsa a tappe che più ama.
La corsa.
La prima sorpresa alla seconda tappa. Breve cronometro, che, udite, udite, sfugge ad Indurain ed è vinta dal suo ex gregario, il francese Armand De Las Cuevas, che ha lasciato la Banesto per la Castorama, inseguendo ambizioni di successo in proprio. Secondo è Berzin! Solo terzo Indurain. Il giorno dopo, Moreno Argentin, a Osimo, prende tappa e maglia rosa. Quarta tappa, con arrivo a Loreto Aprutino, Bugno scatta nel finale e fa il vuoto facilmente. Tutti i grandi del gruppo, il primo è Chiappucci, si danno la pena di organizzare l'inseguimento. Bugno si volta spesso a sorvegliare il rientro del gruppo, che evita e vince a braccia alzate. Avesse insistito di più, avrebbe preso la maglia rosa, che resta invece ad Argentin, per 7". E Bugno perde qui il suo Giro. Come, nel 1991, l'aveva perso nella Collecchio-Langhirano, cronometro di 43 km che aveva vinto su Bernard, fermandosi ad un secondo dalla maglia rosa di Chioccioli. Cosa intendo dire? Bugno, dotato di classe immensa, ha una corsa però neghittosa, di rimessa, raramente attacca e mai programma un attacco. Strategicamente è molto naif. Il Giro del 1990 lo vinse proprio perché prese subito la maglia, tenendola fino al termine. Ma, torniamo al 1994. Il giorno dopo Berzin, a Campitello Matese si aggiudica tappa e maglia rosa. Che terrà fino alla fine, consolidando il suo vantaggio nella cronometro che arriva a Follonica, che domina, e nella cronoscalata di Passo del Bocco. Indurain non è più il tiranno contro il tempo. A Follonica, dopo Berzin, c'è, ancora lui!, De Las Cuevas, Bugno è terzo. Il navarro cede due minuti e mezzo! Tutti aspettano una crisi di Berzin sulle montagne, perché si dubita possa mantenere la forma della Liegi. La manterrà a dispetto di tutti i pronostici. Il Giro si arrampica sulle Dolomiti. Il 4 giugno Pantani vince a Merano e si rivela al grande pubblico. Siamo di fronte ad uno scalatore puro, formidabile, della razza di Bartali e di Gaul, dice subito Rino Negri. Come Bartali scatta con le mani basse sui manubri e se ne va. Il giorno dopo, nella tappa che arriva all'Aprica,  Pantani dà spettacolo sulle pendenze innaturali del Mortirolo. Indurain cerca di restare con lui. Ma, è inutile. Il ritmo di Pantani, quello che dirà di tenere per "abbreviare la sua agonia", è insostenibile per chiunque. Bugno tracolla sul Mortirolo. Poi, lungo l'Aprica, dimezza lo svantaggio. Come sempre cresce con lo scorrere dei chilometri. Peccato, per lui, che la tappa ne misuri solo 188! Alla fine, il Giro andrà a Berzin, classe 1970, davanti a Pantani, nuovo idolo dei tifosi, classe 1970, che ha detronizzato il capitano Chappucci, e Indurain, sconfitto dopo tre anni in un grande giro. Bugno è ottavo. Con molti rimpianti.
Giro d'Italia ´94 | Indurain,Berzin,Pantani | Anders | Flickr
Indurain, Berzin, Pantani al Giro 1994


sabato 2 maggio 2020

Inter: Lautaro, Werner o Icardi

Chi sarà il centravanti dell'Inter 2020/21? Si parla molto di Werner, nove tecnico del Lipsia, gran giocatore che farebbe bene in Italia, come in genere i tedeschi. E se ne parla, perché Lautaro Martinez potrebbe andare al Barca. Sempre che i catalani paghino la clausola di risoluzione. Ci sarebbe poi Icardi. Il cui cartellino è ancora proprietà dell'Inter. Come scritto lo scorso anno, Icardi s'integrerebbe bene con Lukaku. Come ha già fatto Lautaro. E come farebbe Werner. Insomma, il ruolo di centravanti nerazzurro dovrebbe avere comunque un egregio interprete. Cosa servirebbe, per rinforzare la rosa? Un centrocampista di movimento, tecnicamente e tatticamente sapiente, bravo ad inserirsi e concludere: Van de Beek.

giovedì 30 aprile 2020

Il ciclismo ai tempi del Coronavirus: si tornerà a correre nel 2020? Il nuovo calendario?

Si tornerà a correre nel 2020? Il coronavirus ha sigillato lo sport nel mondo. Ciclismo compreso. Il progetto di far correre Tour de France, Giro d'Italia e Vuelta a Espana, in questo singolare ordine, a far tempo da agosto, e fino a novembre, appare ancora campato per aria. Per tacere delle classiche. Difficile fare previsioni. I corridori si spostano da una nazione all'altra. E al seguito hanno massaggiatori, medici, direttori sportivi, addetti stampa. Dormono negli alberghi. Sono sottoposti a continui controlli. In corsa, stanno a contatto di gomito nel gruppo. Sudano, spesso si raffreddano, si ammalano. Difficile, difficilissimo che, rebus sic stantibus, si possa ripartire. Intanto, è notizia di oggi che la Clasica di San Sebastian , che si disputa sempre in agosto, tornerà nel 2021. Aspettiamo. Nell'attesa del nuovo calendario ciclistico 2020, sempre che l'UCI ne annunci uno, ci rifugiamo nella storia del ciclismo.

Tour de France 1992: 1. Indurain 2. Chiappucci 3. Bugno. La strana cronometro del Lussemburgo. L'impresa di Chiappucci sul Sestriere

Nel 1992, Indurain venne al Tour de France dopo aver conquistato il Giro d'Italia, davanti a Chiappucci. Bugno, con in testa soltanto la maglia gialla, aveva disertato la corsa della Gazzetta, svolgendo una programmazione mirata al potenziamento muscolare per le prove contro il tempo. A cronometro, migliorerà poco, e peraltro era già abbastanza forte, perdendo invece in salita, dove aveva, naturali, doti se non di scatto almeno di progressione davvero notevoli. Va da sé che il Tour propone cronometro a profusione. Com'era accaduto con Anquetil e poi con Hinault, che però era anche ottimo scalatore, ora succede con il navarro Indurain. Che si aggiudica subito il cronoprologo. Bugno, che al Giro della Svizzera ha vinto a cronometro, ma perso il successo finale in favore di Giorgio Furlan, aspetta la cronometro del Lussemburgo per avere conferme. Arriveranno solo smentite. Indurain, in 65 km, infligge tre minuti al secondo classificato, curiosamente il suo luogotenente Armand De Las Cuevas. Bugno, solo terzo, accuserà 3'41". Mai visto qualcosa del genere. Uno specialista, lo dice la storia del ciclismo, può dare 3" a chilometro ad uno scalatore, che sia negato all'esercizio contro il tempo. Ma, Bugno a cronometro andava. Andava eccome. Ne aveva vinte in carriera. Bugno dichiarerà di essersi demoralizzato negli ultimi 10 km, appresi dalla sua ammiraglia i tempi di Indurain. Può essere, resta la prestazione monstre di Indurain e quella, ancora più sorprendente, di De Las Cuevas. La carriera di Bugno, nelle corse a tappe, finisce nel Lussemburgo. Il 13 luglio 1992. Indurain prende la maglia gialla, sfilandola al francese Pascal Lino, il 18 luglio, dopo la tappa del Sestriere, illustrata da una fuga antica di Chiappucci. La terrà fino a Parigi. Una curiosità, nella diciannovesima tappa, da Tours a Blois, terza cronometro individuale (64 km) - ma c'è stata pure una cronosquadre - Indurain vince di nuovo, Bugno è secondo. A 40". A Parigi, Indurain primo, Chiappucci secondo a 4'35", Bugno terzo a 10'49". Indurain, con la prima doppietta Giro-Tour nello stesso anno, che replicherà nel 1993, appaia Coppi, il primo a riuscirci, Anquetil, Merckx, Hinault e Roche. Chiappucci accende la fantasia di molti tifosi e guadagna la simpatia della stampa sportiva, che ne apprezza il coraggio. Bugno è subissato di critiche. Sbagliata la programmazione e la preparazione. Si è appesantito in salita per il lavoro a cronometro. Ma anche per l'ostinazione con la quale spinge lunghissimi rapporti, vietati a tutti gli altri. Non si consiglia né gli consigliano una pedalata più agile.
File:Claudio Chiappucci, Sestriere, Tour de France 1992.jpg ...
Claudio Chiappucci, Sestriere, 1992

mercoledì 29 aprile 2020

Tour de France 1991: vinse Indurain, ma poteva vincere Bugno

Nel 1991, il Tour de France si annunciava, e davvero lo sarebbe stato, combattuto e spettacolare. Intanto, andava in scena un duro scontro generazionale. La vecchia guardia, vecchia si fa per dire, perché non superava i 30 anni d'età, con LeMond, Fignon e Delgado, sei Grande Boucle in tre, si preparava a resistere agli assalti della nuova leva ciclistica, quella del '64, capitanata da Bugno, Breukink, Alcala e Indurain. In quest'ordine. Si tenga presente, al riguardo, che il leader della Banesto era ancora Delgado e Indurain il suo aiutante di campo. Poi, c'era Chiappucci, classe 1963, secondo a sorpresa un anno prima, ma pure secondo al Giro d'Italia 1991, vinto da Chioccioli, con Bugno solo quarto! Ciò nondimeno, Bugno, che si era poi aggiudicato il campionato italiano, volava. Ma, iniziò la corsa avendo nella testa i pronostici dei maggiori suiver dell'epoca, che vedevano in LeMond l'uomo da battere e, pertanto, il principale avversario da curare in corsa. Un errore che gli sarà fatale. A Bugno, intendo. 
La corsa.
Il cronoprologo, manco a dirlo va a Thierry Marie, i francesi lo prevedono per lui. LeMond prende la maglia gialla il giorno dopo, per cederla subito al danese da classiche, Sorensen. Poi, una mai chiarita intossicazione alimentare mette fuori gioco tutta la PDM, con Breukink e Kelly in piena lotta per la generale. Il sigillo del primato torna a Marie e poi ancora a LeMond. Alla decima tappa, Indurain esce dal cono d'ombra di Delgado, annettendosi la cronometro, di 73 km!, da Argentan ad Alencon. Il trono di LeMond vacilla. Nell'undicesima e nella dodicesima tappa, Mottet mette a segno una memorabile doppietta, all'esito della quale Luc Leblanc è maglia gialla. La Francia, che pure aspettava un altro idolo di casa, Fignon, esulta. Il 19 luglio, si decide il Tour. Tredicesima tappa con arrivo a Val Louron. Tappone pirenaico. Caldo, il clima prediletto da Bugno, che potrebbe staccare tutti - ma cura LeMond, un LeMond affaticato sebbene tenace - già sull'Aubisque. E invece si limita ad un attacco dimostrativo nell'ultimo chilometro. Più avanti, sul mitico Tourmalet, passano in testa Chiappucci, Indurain, Bugno, Mottet, Leblanc. C'è la discesa. E Bugno, che in discesa non è un drago, lascia andare Indurain. Perché lo sottovaluta. E poi Chiappucci. Arriva a perdere oltre due minuti e mezzo. Poi, perché sta bene, meglio di tutti, si sveglia, stacca gli altri, recupera nella salita verso Val Louron, rapporto lungo, il suo, pedalata tonda, la sua, eleganza assoluta, la sua. Perde però un minuto e mezzo, in una tappa che avrebbe potuto vincere. E che va invece a Chiappucci. Batterà Indurain sull'Alpe d'Huez, già sua l'anno prima. Ma, ormai, Indurain ha il giallo addosso. E vincerà anche la cronometro, 57 km!, di Macon. Primo Indurain, a Parigi, secondo Bugno a 3'36", terzo Chiappucci a 5'56". Poi tre francesi in fila, Mottet, Leblanc e Fignon. LeMond solo settimo davanti al connazionale Hampsten, Delgado, detronizzato da Indurain, nono. La rivoluzione è compiuta. Una nuova leva di corridori è al comando. Guidata da Indurain. Bugno ha perso, definitivamente, sebbene ancora non lo sappia, la possibilità di diventare la leggenda che il suo talento gli avrebbe permesso. Un Tour perso in discesa!