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martedì 13 settembre 2022
giovedì 7 maggio 2020
Giro d'Italia 1990: il trionfo di Gianni Bugno
Trent'anni fa, il 18 maggio del 1990, cominciava il Giro d'Italia che Gianni Bugno avrebbe dominato dalla prima all'ultima tappa, come Girardengo nel 1919, come Alfredo Binda nel 1927, come Eddy Merckx nel 1973 (anzi quasi, perché nel '73 ci fu un cronoprologo a coppie e la prima maglia rosa non venne assegnata). E dopo Bugno più nessuno ci sarebbe riuscito.
Gianni Bugno 1990
Bugno, passato professionista alla fine del 1985, era un predestinato, ricco di talento, un fuoriclasse molto considerato nel gruppo. Schivo, riservato, passista potente ed elegante, era il più veloce dei non velocisti e teneva benissimo in salita, soprattutto sulle salite adatte ai lunghi rapporti, che era il solo a saper spingere. E tutto questo sempre conservando una pedalata elegantissima, efficacissima, rotonda. Mai un segno di stanchezza o di alterazione sul volto, le spalle sempre dritte. Si era svelato al grande pubblico nel 1986, regolando in volata un certo Francesco Moser nel Giro dell'Appennino. Poi conquistato anche nel 1987 e nel 1988. Nel 1989, lo racconto per meglio inquadrare il corridore Bugno, quando il Giro dell'Appennino valeva anche per il titolo nazionale, era stato secondo dietro Argentin: più volte, nella sua carriera, Bugno avrebbe vinto contro pronostico, salvo tradire le attese quando la sua vittoria era annunciata.
Torniamo al Giro del 1990: 20 tappe, più di 3.400 km. Il favorito della vigilia era il francese Laurent Fignon, campione uscente e reduce dalla beffa degli 8", con i quali aveva ceduto a LeMond il Tour de France del 1989. Molto atteso anche Flavio Giupponi, classe 1964 come Bugno, che nelle ultime tre edizioni del Giro era stato quinto, quarto e secondo, nel 1989 proprio dietro Fignon. E poi c'era Marco Giovannetti, che aveva appena conquistato la Vuelta a Espana, cosa che ad un corridore italiano non succedeva dal 1981, con Battaglin. E c'erano anche lo stacanovista spagnolo dei grandi giri, Marino Lejarreta, l'altro iberico Echave ed il francese Mottet, che vantava un quarto posto al Tour del 1987 e un sesto posto al Tour del 1989. Bugno, proprio nel 1989, aveva ottenuto la sua migliore prestazione in una grande corsa a tappe: undicesimo al Tour. In quel 1990 aveva già conquistato la Milano-Sanremo, con magnifico assolo iniziato sulla Cipressa, e si era poi annesso il Giro del Trentino.
Bugno vinse subito il cronoprologo di 13 km a Bari. Vestita la maglia rosa, prese il controllo della corsa come un veterano. Sulla stampa e in televisione, tutti gli consigliavano di cederla, quella maglia, per non affaticare troppo la squadra e alleggerire la pressione su di sé. Ma, Bugno era come trasfigurato dal simbolo del primato. Volava. Ottenne a Vallombrosa, nella settima tappa, il secondo successo parziale. Tenne benissimo sulle montagne, anche il 2 giugno, quando fu secondo dietro Mottet sul Passo del Pordoi. Stravinse la cronoscalata del Sacro Monte di Varese. E giunse da trionfatore a Milano, con 6'33" su Charly Mottet e 9'01" su Marco Giovannetti. Era l'epifania di un campione polivalente, che avrebbe potuto ambire al titolo di campionissimo ed avrebbe invece vinto solo la metà, forse meno, di quanto la sua classe gli avrebbe permesso.
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