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domenica 12 luglio 2020

È mancato Wim Suurbier, grande terzino di Ajax e Olanda

Uno dei migliori terzini destri della storia. Scuola Ajax, colonna della nazionale olandese seconda ai mondiali del 1974 e del 1978. Tecnica ragguardevole, molta, moltissima corsa, avanti e indietro sulla fascia destra, mentre sulla sinistra impazzava Krol, Wim Suurbier fu un simbolo del calcio totale anni '70. Che perde, con lui, un altro dei suoi maggiori ambasciatori. Terzino abilissimo nel cross: come già Djalma Santos e Carlos Alberto, prima di lui, come Manfred Kaltz e Cafu dopo di lui. 
File:Wim Suurbier en 1974.jpg - Wikimedia Commons
Wim Suurbier, Olanda

sabato 11 luglio 2020

L'Atalanta travolge la Juve ma non vince

Stavolta parte forte l'Atalanta e cala nella ripresa.  Juve comunque travolta sul piano del gioco, che pareggia - e di fatto vince il nono scudetto - con due fiscali rigori trasformati da Cristiano Ronaldo. La partita finisce 2-2. 

Questa Juve è davvero modesta. Quanto all'Atalanta, confermo la mia impressione: potrebbe anche vincere la Champions. Con la fortuna necessaria ed evitando le ingenuità che le hanno tolto la vittoria stasera. 

Due parole su Zapata, al quinto gol contro la Juventus. Mi sembrava un grande centravanti quando era riserva nel Napoli. E lo è sul serio.

venerdì 10 luglio 2020

UCL Draw: Atalanta-PSG

UCL Draw: quarti di finale e semifinale.
L'Atalanta pesca i parigini del PSG. Poco fortunato il Napoli, che, passando il turno con il Barca, dovrebbe vedersela ai quarti con Chelsea o Bayern Monaco. Una tra Atalanta, PSG, Lipsia ed Atletico Madrid andrà in finale, il 23 agosto 2020. Solo i madrileni hanno già giocato una finale, anzi tre. Per le altre, da questa parte del tabellone, sarebbe la prima volta. Già che ci sono, butto giù anche un pronostico. Quella, fra Atalanta e PSG, che vincerà ai quarti, farà sua anche la Champions League 2019/20. Dall'altra parte del tabellone, sì, sebbene il cammino sia impervio, credo che possa stupire il Napoli di Gattuso.
  • Atalanta - PSG
  • Lipsia - Atletico Madrid

  • Juventus - Lione / Real Madrid - Manchester City
  • Napoli - Barca / Chelsea -Bayern Monaco


Serie A 19/20: punto e classifica dopo 31^ giornata

Hanno perso Juve, male dal Milan, e Lazio, contro un Lecce motivatissimo. Ma, ne ha approfittato solo l'Atalanta, vittoriosa sulla Sampdoria, mentre l'Inter ha dissipato, a poco dal termine, l'ennesimo vantaggio stagionale. 

Classifica serie A 31 ^ giornata
 Juve 75 Cagliari 40
 Lazio 68 Parma 39
 Atalanta 66 Fiorentina 35
 Inter  65 Udinese 35
 Napoli  51 Torino 34
 Roma  51 Sampdoria 32
 Milan 49 Lecce 28
 Sassuolo 43 Genoa 27
 Verona  43 Brescia       21
 Bologna  41 Spal 19

La squadra di Conte, segnatamente con Sassuolo, Bologna e Verona, ieri sera, ha gettato via 7 facili punti, che l'avrebbero portata a -3 dalla Juve. Infuriano le polemiche, Conte pretende rinforzi, quasi rivoluzioni per il prossimo anno. Non sono d'accordo. La squadra può essere e va migliorata, certo. Sensi ha deluso, per gli infortuni, Lautaro è entrato in crisi. Non tutto è andato per il verso giusto. Ma, l'uscita precoce dalla Champions, anche lì rimonta subita a Dortmund (Haaland ancora non c'era), l'eliminazione dalla Coppa Italia, gli scontri diretti persi tutti o non vinti e, ripeto, i vantaggi sprecati a iosa nel quarto d'ora finale di tante partite, tutto questo può e deve intestarsi anche a Conte. Perché una squadra ha il temperamento e la solidità del suo allenatore. Debbo spiegarmi meglio? Per tenere sotto il Sassuolo o il Bologna, la rosa attuale dell'Inter basta e avanza. Su!


Ibrahimovic ha contagiato il Milan con la sua voglia di vincere. Resta un grandissimo giocatore da campionati, lo svedese. Il Napoli di Gattuso, che ormai ha recuperato anche Lozano, a lungo un corpo estraneo agli azzurri, continua a fare risultati. Paga la partenza disastrosa con Ancelotti. Successo anche per la Roma con il Parma.


Torino e Udinese, che battono Brescia e Spal, muovono passi decisivi verso la salvezza.

Ultima considerazione sulla grande stagione dell'Atalanta: questa mattina anche Sconcerti sul Corriere della Sera immagina la possibilità che vinca la Champions! Si è scritto molto e detto di più. Guardando la partita contro la Samp, la mia attenzione è stata attirata ancora una volta dal Papu Gomez. Gioca come i 10 di una volta, vero trequartista, testa sempre alta, dribbling facile, scatto fulmineo. Forse il maggior segreto della formazione bergamasca. Non sbaglia una giocata, rallenta o velocizza il gioco secondo necessità, offre sempre una sponda ai compagni. Tiene costantemente la luce accesa.

giovedì 9 luglio 2020

Il calcio degli anni '60. La rinascita italiana

Gli anni '60 segnarono il riscatto del calcio italiano, dopo il buio del decennio precedente, contrappuntato da due eliminazioni al primo turno, ai mondiali del 1950 e del 1954, e dalla mancata qualificazione ai mondiali di Svezia del 1958, poi grottescamente replicata 60 anni dopo, quando l'Italia non riuscì ad arrivare a Russia 2018.


Parlavo di riscatto, sì. E le ragioni di questa formidabile ripresa vanno anzitutto ricercate nella resurrezione di tutta la Penisola dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Era l'Italia del boom economico, con i consumi che raddoppiavano, il PIL che cresceva quasi a due cifre, lo sport che diventava fenomeno di massa. Era accaduto, proprio intorno al 1958 peraltro, che il calcio superasse, tra gli appassionati, il ciclismo, per guadagnare un primato mai più discusso di sport nazionale.


Eppure i mondiali del 1962, vinti dal Brasile, che si permise di rinunciare a Pelé, presto infortunato, e quelli del 1966, conquistati in casa dall'Inghilterra, videro ancora gli azzurri fuori al primo turno. Nel 1962, fallì la politica degli oriundi, i fortissimi sudamericani con origini italiane, spesso assai remote. Di quella spedizione fecero parte assi del calibro di Altafini, che aveva vinto il mondiale del 1958 con il Brasile, Sivori, Maschio, Sormani. Andò male, pare anche per le continue ingerenze sulle scelte tecniche della stampa specializzata, che all'epoca aveva, su un calcio visto da pochissimi, un ascendente quasi sacerdotale e per un arbitraggio ostile contro i padroni di casa del Cile. Andò persino peggio nel 1966 in Inghilterra, quando la Corea del Nord eliminò l'Italia, pur con l'attenuante del precoce infortunio occorso a Bulgarelli, quando, ancora per pochi anni, non erano permesse le sostituzioni.

Eppure l'Italia aveva iniziato a dominare le competizioni internazionali per club, vincendo tre Coppe dei Campioni consecutivamente: con il Milan di Rivera e Cesare Maldini e Altafini e Trapattoni, nel 1963; con l'Inter allenata da Herrera e capitanata da Picchi, nel 1964 e nel 1965, con la regia di Suarez, gli assolo in velocità di Mazzola e Jair, i ricami mancini di Corso, ed una difesa così riconoscibile da diventare leggendaria e proverbiale: Sarti, Burgnich, Facchetti...La Grande Inter.
File:Formazione dell'Inter 1964-1965.jpg - Wikipedia
La Grande Inter (1964/65)

Il Real Madrid, che pure vinse la sua sesta Coppa dei Campioni nel 1966, eliminando l'Inter in semifinale, cominciava a declinare dopo il dominio della seconda metà degli anni '50. Sorgeva invece la stella del Manchester United di Busby e di Bobby Charlton, entrambi miracolosamente sopravvissuti al disastro di Monaco di Baviera, paragonabile alla tragedia di Superga, nel quale avevano perso la vita molti giovani talenti di sicuro avvenire, su tutti Duncan Edwards. La squadra inglese vinse il campionato nazionale nel 1965, poi di nuovo nel 1967 fino al successo più eclatante, quello nella Coppa dei Campioni del 1968: in avanti il trio delle meraviglie, la mezzala scozzese dal gol facilissimo, Denis Law, il centravanti inglese più tecnico e manovriero che si ricordi, Bobby Charlton, e l'ala destra nordirlandese, George Best, talento purissimo, estro senza freni, vita dissipata e gol magnifici. 
File:The United Trinity, George Best, Denis Law and Bobby Charlton ...
Statue di Best, Law e Bobby Charlton

Forse il giocatore più rappresentativo di questa magica decade fu però il portoghese, di origini mozambicane, Eusebio, poderoso centravanti dalla tecnica brasiliana, dalla progressione micidiale e dal tiro incendiario. Vinse, con il suo Benfica, la seconda Coppa dei Campioni consecutiva del 1962 e trascinò il Portogallo al terzo posto ai mondali del 1966 in Inghilterra, laureandosi capocannoniere con 9 gol. 
File:Eusebio (1963).jpg - Wikipedia
Eusebio (Portogallo)


Insieme a lui, il portiere sovietico Lev Jashin, campione d'Europa nel 1960, sempre vestito di nero, dal fisico imponente e i riflessi da gatto, per molti il miglior portiere di sempre. Ancora oggi si favoleggia sulle presunte doti ipnotiche esercitate sugli avversari. Sandro Mazzola ha più volte confermato questa leggenda, ricordando un rigore che Jashin gli parò in nazionale.
File:Lev Yashin 1960b.jpg - Wikipedia
Lev Jashin (URSS)


Nel 1960, furono organizzati i primi Campionati Europei per nazionali: vinse l'URSS. Nel 1964 toccò alla Spagna di Suarez e Gento. Nel 1968, 30 anni dopo il successo ai mondiali di Francia, toccò all'Italia allenata da Ferruccio Valcareggi. Che ebbe ragione in finale della Jugoslavia, dopo aver vinto il sorteggio con la monetina nella semifinale con l'URSS. Sorteggio vinto dal capitano Facchetti. La prima finale con la Jugoslavia finì in pareggio. Non essendo previsti i supplementari né, tanto meno, i rigori. Si rigiocò: vinse l'Italia con gol di Gigi Riva ed Anastasi. Per la prima volta, una massa di tifosi si riversò per le strade a festeggiare, sventolando bandiere tricolori. C'erano già state le occupazioni delle Università e le prime grandi manifestazioni studentesche. Di lì a poco, si sarebbero diffusi disordine e tumulti di piazza, contestazione generalizzata. Fu l'ultimo sprazzo di serenità prima che cominciasse uno dei periodi più bui e controversi della storia italiana.
File:Euro 1968 - Italia campione d'Europa.jpg - Wikipedia
Italia campione d'Europa nel 1968

Negli anni '60, ma fu questione specialmente, sebbene non solo, italiana, infuriò una serrata disputa sulla tattica. Fu allora che si cominciò a parlare di calcio all'italiana, talora, con sprezzatura, definito catenaccio, per contrapporlo al calcio più offensivo praticato dalle squadre del Nord Europa, Inghilterra in testa, o, in modo più tecnico e meno fisico, dal Brasile. Brera capeggiava i cosiddetti italianisti, convinti, sulla base di valutazioni culturali e biologiche spinte, che gli italiani fossero più acconci alla difesa e contropiede, che all'attacco con dominio del gioco. Troppi secoli di dominazioni subite e doti atletiche ritenute inferiori a quelle di popoli meglio nutriti e sviluppati. Era questa la tesi, molto politicamente scorretta. Dall'altra parte, la cosiddetta scuola napoletana, di Ghirelli e Palumbo, che inneggiava ad un calcio più offensivo e spensierato, eleggendone a simbolo Rivera ed il suo gioco compassato ma elegantissimo. La questione, sotto altre forme, e con l'ausilio di penne meno felici, dura ancora oggi.

Verona-Inter: 2-2. Sbaglia ancora Conte

Alle 21:45, Verona-Inter. Sfida che avrebbe conservato un profumo di scudetto, se l'Inter non avesse ingenuamente dissipato il vantaggio acquisito contro Sassuolo e Bologna, pareggiando e perdendo partite in fondo facili. Tant'è che ha perso punti ed ora si trova provvisoriamente quarta in classifica, scavalcata dalla lanciatissima Atalanta. La partita di stasera è molto delicata per Conte. Perché il Verona gioca bene e perché l'Inter si è ricacciata sull'orlo di una crisi di nervi. Non vincere riaccenderebbe infinite polemiche.

La cronaca.
Dopo tre minuti, difesa nerazzurra sistemata alla "viva il parroco", Skriniar affronta Lazovic alla maniera di Fresi. Dribbling e gol del Verona. Mentre Handanovic tarda ad uscire e De Vrijj a rientrare, con il suo passo da bocciofila notturna. Un disastro. Anche perché il Verona prende un palo con Veloso e va altre due volte vicino al gol. L'Inter ha un solo schema: palla a Lukaku. Che Kumbulla  controlla bene. Amrabat, forte, sembra Clodoaldo: non gli portano via un pallone. Nella ripresa, l'Inter ribalta la partita in dieci minuti: gol di Candreva e autogol di Di Marco. Fa caldo. Borja Valero comincia a boccheggiare. Conte tarda a cambiare, niente di nuovo, e mette Vecino per Brozovic. E Lautaro per Lukaku. Borja resta in campo. E non chiude su Veloso che pareggia con il suo notevole mancino. Ora non ci giro più intorno. Vittoria buttata via da Conte. Tra Sassuolo, Bologna e Verona, l'Inter ha gettato via sette punti. Subendo rimonte evitabili nel finale. Gestione pessima della e dalla panchina. E la dichiarazioni dopo la gara sono anche peggiori. Mai che ammetta le sue responsabilità, Conte. È già pronto a lasciare. E, per conto mio, può farlo subito. Senza rimpianti.

mercoledì 8 luglio 2020

Tour de France 1984: l'apoteosi di Fignon

L'anno precedente il giovane Laurent Fignon aveva conquistato a sorpresa il suo primo Tour de France. Dando prova di classe superiore, soprattutto in salita. Tuttavia, la critica, e specialmente quella transalpina, aveva osservato e molto sottolineato l'assenza di Hinault, il dominatore del tempo delle grandi corse a tappe.


Nel 1984, Hinault, alla ricerca della quinta Grande Boucle, era però al via. Tutta la Francia attendeva il duello tra Fignon e Hinault. Che, tuttavia, si svolse più sui giornali che in corsa. Fignon aveva invece da smaltire la delusione sofferta al Giro, dove Moser gli aveva strappato la maglia rosa nella cronometro conclusa all'Arena di Verona, montando le avveniristiche ruote lenticolari.


File:Route of the 1984 Tour de France.png - Wikipedia
Tour de France 1984


Dopo il successo nel cronoprologo da parte di Hinault, cominciò infatti la grande cavalcata di Fignon. Che vinse, sul terreno prediletto dal gran Tasso bretone, la lunga cronometro individuale da Alencon a Le Mans: Hinault fu terzo a 49", preceduto anche dall'irlandese Sean Kelly. Il divario, tra i due grandi rivali si approfondì sui Pirenei. Nell'undicesima tappa, con arrivo a Guzet-Neige, Fignon diede altri 52" al rivale. Eppure Hinault sembrava ancora in corsa. 


Il trionfo di Fignon si celebrò sulle Alpi. Cominciò con il successo nella cronoscalata a La-Ruchere, il secondo posto, dietro il colombiano Lucho Herrera, sull'Alpe d'Huez che lo vestì di giallo, e i quasi tre minuti di distacco inflitti a Hinault, e l'ulteriore successo a La Plagne, dove Fignon diede altri tre minuti scarsi ad Hinault.


Laurent Fignon, Tour De France 1989 | Anders | Flickr
Laurent Fignon


A Parigi, dopo aver dominato anche l'ultima cronometro del giorno prima, Fignon vinse con 10'32" su Hinault e 11'46" sul giovane campione del mondo Greg LeMond: un'apoteosi. Il vertice più alto della carriera di Laurent Fignon. Per la prima volta in carriera, Hinault non vinceva una grande corsa a tappe portata a termine. Fignon, a quasi 24 anni, pareva predestinato ad una carriera leggendaria. Un corridore antico, Fignon perché costantemente votato all'attacco o al contrattacco, mai attendista, sempre avviato ad azioni sorprendenti e spettacolari. Distacchi come quelli appena ricordati, inflitti a corridori di tale spessore, profumano di anni '40 e '50. In quel Tour, Fignon e LeMond correvano nella stessa squadra. Fino all'anno prima, Fignon era stato compagno di squadra di Hinault. L'anno dopo, 1985, LeMond sarebbe passato in quella di Hinault. Cinque anni dopo, nel 1989, Fignon avrebbe perso da LeMond il possibile terzo Tour per la miseria di 8". Insomma, un podio magnifico, intricato, premonitore e letterario, quello del Tour de France 1984. Fignon, Hinault e LeMond hanno vinto, insieme, dieci Tour de France.