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martedì 13 settembre 2022

Vuelta a Espanã 1990: la vittoria di Giovannetti

Nel 1990, Pedro Delgado si presentò al via della Vuelta a Espanã sicuro di ripetere il trionfo dell'anno precedente e di annettersi per la terza volta in carriera la maggiore corsa a tappe iberica. Non vi riuscì, perché trovo sulla sua strada, in uno stato di grazia che sarebbe durato anche al Giro d'Italia, Marco Giovannetti


Giovannetti era un corridore di fondo, che brillava nelle competizioni contro il tempo: era stato oro, nella cronometro a squadre, alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984


Vantava, in quel fine aprile del 1990 - la Vuelta ai tempi era il primo dei grandi giri stagionali - già quattro piazzamenti tra i primi dieci della classifica generale al Giro d'Italia. Ma, non si pensava che potesse vincerlo in grande giro. 

E invece, passato in testa al termine della decima tappa, seppe tenere la maglia di leader, ai tempi amarillo, fino a Madrid, dove il 15 maggio 1990 festeggiò il successo finale con 1'28" su Delgado, secondo, e 1'48" su Anselmo Fuerte, terzo. E quando si pensi che dal quarto al settimo posto si piazzarono Cabestany, Parra, Echave e Indurain, si comprenderà quanto importante e meritata fu la vittoria di Giovannetti. Nobilitata, appunto, dall'aver preceduto corridori dal passato illustre o, fu il caso di Indurain, dal futuro prossimo luminoso. Il successo della costanza e della regolarità e della sagacia tattica, senza nemmeno un acuto di tappa. Alla maniera in cui Balmamion aveva vinto i Giri del 1962 e del 1963.


Giovannetti, tre giorni dopo quel trionfo, si presentò a Bari, per il via del Giro d'Italia che consacrò il talento immenso di Gianni Bugno. E chiuse al terzo posto, proprio dietro Bugno e il francese Charly Mottet. Fu il suo anno d'oro, il 1990.

Quella di Giovannetti nel 1990, fu la quarta vittoria italiana sue sei totali, alla Vuelta dopo quelle di Conterno, nel 1956, Gimondi, nel 1968, Battaglin, nel 1981, e prima di quelle di Nibali, 2010, e Aru, 2015.

venerdì 22 gennaio 2021

Tour de France 1988: Pedro Delgado

Il primo fu Federico Bahamontes, nel 1959, seguito da Luis Ocana, nel 1973, il terzo corridore spagnolo capace di vincere il Tour de France fu invece Pedro Delgado, classe 1960, magnifico scalatore, che si difendeva benissimo sul passo, al punto di riuscire a vincere anche gare contro il tempo. Delgado vinse nel 1988. Dopo che Hinault si era ritirato da due anni e mentre ancora durava la convalescenza di Greg LeMond, reduce da un terribile incidente di caccia. Fignon, invece, suo coetaneo, sarebbe tornato davvero competitivo in una grande corsa a tappe l'anno dopo. Roche, dopo la tripletta Giro, Tour e campionato del mondo, si era concesso un anno sabbatico. Si preparava un ricambio generazionale, c'era, potrebbe dirsi, un vuoto di potere, era quello il momento di vincere, per Delgado. E Delgado quel momento lo colse. D'altra parte, era già stato secondo, dietro l'incredibile Roche del 1987, l'anno prima, vantava un successo più numerosi piazzamenti alla Vuelta a Espana e un mese e mezzo prima aveva chiuso ottavo il Giro d'Italia conquistato da Hampsten, quello della tempesta del Gavia. La prima maglia gialla, al Tour del 1988, andò al velocista italiano Guido Bontempi. Poi al canadese Bauer, quindi fu appannaggio di tre ciclisti olandesi: Van Vliet, Lubberding e Nijdam. Fino all'arrivo sull'Alpe d'Huez, cima mitica domata da un altro olandese con doti di grande arrampicatore, Steven Rooks, che precedette il compagno di squadra e connazionale Theunisse: quel giorno, Delgado, terzo di giornata a 17", si vestì di giallo, per mantenere il simbolo del primato sino alla fine. Il giorno dopo vinse la cronometro di Villard de Lans, portando il suo vantaggio su Rooks, secondo nella generale, a 2'47". Rimase il suo unico successo parziale, ma continuò a guadagnare sugli inseguitori in classifica, tanto che a Parigi vinse con 7'13" su Rooks, secondo, e con 9'58" sul colombiano Parra. Se non si fosse presentato in ritardo al cronoprologo del Tour del 1989, quello vinto da LeMond su Fignon per soli 8" - ritardo mai spiegato e mai chiarito, quello di Delgado - avrebbe potuto vincerne due di Tour. Nelle grandi corse a tappe, invece, gli sarebbe toccato di trionfare ancora alla Vuelta del 1989. Nella sua squadra, la Reynolds, poi Banesto, stava crescendo Miguel Indurain, vincitore dei futuri Tour dal 1991 al 1995 consecutivamente. Indurain, però, il Tour del 1988 lo concluse soltanto al quarantasettesimo posto. Il coetaneo Gianni Bugno, fu sessantaduesimo nella generale, ma destò grande impressione vincendo la tappa di Limoges.

giovedì 21 gennaio 2021

Tour de France 1986: Greg LeMond, un americano a Parigi

Dopo il terzo posto del 1984, dietro Fignon e Hinault, e dopo il secondo posto del 1985, dietro Hinault, nel 1986 Greg LeMond, primo statunitense nella storia del ciclismo, si aggiudicò il Tour de France. L'anno precedente, quando a molti sembrava che potesse scalzare il compagno di squadra e capitano Hinault, LeMond si attenne, obbediente, agli ordini di scuderia. Hinault osservò ed apprezzò. Promettendo che l'anno dopo avrebbe ricambiato il favore. E andò così.

Tour de France 1986

Tuttavia, fu Hinault, dentro la formidabile compagine della squadra francese, La Vie Claire, a indossare per primo la maglia gialla, dopo l'undicesima tappa, da Bayonne a Pau, vinta da Pedro Delgado. Greg LeMond vinse il giorno successivo, ma strappò il simbolo del primato a Hinault soltanto nella diciassettesima tappa con arrivo a Serre Chevalier: vincitore di giornata fu lo spagnolo Chozas, LeMond arrivò terzo, a 6'26", assieme allo svizzero Zimmermann, Hinault, in crisi, solo tredicesimo a 9'47". I tre minuti abbondanti che perse da LeMond non li recuperò più, pur togliendosi la soddisfazione di vincere il giorno dopo sull'Alpe d'Huez, tagliando il traguardo un attimo prima dell'amico/rivale. In quell'edizione della Grande Boucle, furono tre i successi parziali di Hinault, come quelli del velocista italiano Guido Bontempi. Alla fine, a Parigi, primo LeMond con 3'10" su Hinault, secondo, e 10'54" sullo svizzero Urs Zimmermann, terzo. La Vie Claire piazzò quattro corridori tra i primi dieci della classifica generale. Oltre LeMond e Hinault, primo e secondo, anche lo statunitense Hampsten, quarto, e l'elvetico Niki Ruttiman, settimo.

mercoledì 20 gennaio 2021

Tour de France 1985: Hinault V batte LeMond e Roche

Fu nel 1985 che Bernard Hinault eguagliò il primato dei cinque successi al Tour de France già stabilito, prima di lui, da Anquetil e Merckx.

Tour de France 1985

L'asso bretone, in forza alla formazione transalpina La Vie Claire, convisse, durante quel Tour, con il giovane fuoriclasse americano Greg LeMond, che giunse secondo a Parigi: Hinault s'impegnò ad aiutarlo nel Tour successivo, che LeMond poi avrebbe vinto davvero. In quel 1985, il distacco tra i due a Parigi fu solo di 1'42" e molti ritennero che LeMond, se libero di attaccare il suo capitano, avrebbe potuto vestire la maglia gialla finale. Resta, a distanza di tanti anni, una mera congettura. Terzo giunse l'irlandese Stephen Roche, che un suo Tour l'avrebbe conquistato nel 1987. Tra i primi dieci della classifica generale, anche due grandissimi scalatori, come lo spagnolo Pedro Delgado, sesto e vincitore nella tappa pirenaica di Luz-Ardiden e il colombiano Lucho Herrera. Da segnalare, tra cronometro individuali e cronometro a squadra, i 230 km corsi contro il tempo. Il contrario di quanto accade nei Tour degli ultimi anni.

martedì 12 gennaio 2021

Tour de France 1983: Laurent Fignon!

Quando Cirylle Guimard, che era stato un buon professionista, divenne direttore sportivo, si trovò, a soli 31 anni, era il 1978, ad allenare il più grande ciclista dell'epoca, l'epoca che iniziava, Bernard Hinault. Tanta grazia. La Renault, che tanti, va da sé, associano alle automobili, era una formazione fortissima e ricca di mezzi, che immancabilmente assecondava gli estri dell'asso bretone. Poi, nel 1982, passò al professionismo, sempre con la Renault e Guimard, un giovane ciclista parigino, biondo e con aura professorale, Laurent Fignon. Subito promosso al ruolo di luogotenente di Hinault. Come si vide alla Vuelta a Espana del 1983, vinta proprio da Hinault, con Fignon capace, nonostante il compito di alto gregariato, di chiudere settimo. Hinault puntava al suo quinto Tour. E l'avrebbe vinto, ma due anni dopo. In quell'anno, il 1983, non lo avrebbe corso per via di una tendinite. Pronostico aperto! Fino ad allora, so che è difficile da credere ma andò così, Hinault aveva vinto tutte le grandi corse a tappe cui aveva partecipato. Tutte: due volte la Vuelta, due volte il Giro, quattro volte il Tour. Solo nel 1980, non aveva conquistato il Tour, ma perché aveva dovuto ritirarsi. Insomma, era imbattuto. Pochi pensavano che Renault e Guimard avrebbero vinto il Tour anche senza Hinault.

Tour de France 1983



Fignon, 23 anni da compiere in agosto, fu promosso capitano. Il prologo andò al belga Vanderaerden, prima maglia gialla. Che passò, dopo due giorni, sulle spalle del francese Gauthier e quindi su quelle del danese - primo nella storia - Kim Andersen. La corsa esplose sui Pirenei, nella decima frazione da Pau a Bagneres-de-Luchon, dove vinse lo scozzese Millar davanti al promettente scalatore spagnolo Pedro Delgado e al francese Pascal Simon, che ottenne il simbolo del primato. Fignon giunse al traguardo con un ritardo di 4'23". Fignon recuperò oltre tre minuti su Pascal Simon nella quindicesima tappa sul vulcano del Massiccio Centrale: il Puy de Dome. E completò la rimonta nella diciassettesima tappa, che vide il ritiro di Simon, sofferente per i postumi di una caduta di due giorni prima: sull'Alpe d'Huez, Fignon vestì la maglia gialla, mentre il successo di giornata arrise al corridore olandese Peter Winnen. Fignon avrebbe tenuto la testa della classifica fino a Parigi, annettendosi anche la cronometro di Digione. Secondo sarebbe stato lo spagnolo Arroyo a 4'04", terzo l'olandese Winnen a 4'09", quarto il belga Van Impe a 4'18". Fignon avrebbe replicato il successo un anno dopo, infliggendo la prima sconfitta in una grande corsa a tappe a Hinault, emigrato alla Vie Claire, costretto alla piazza d'onore.

mercoledì 11 novembre 2020

Tour de France 1987: 1. Roche 2. Delgado 3. Bernard

Edizione fiume, quella del 1987, del Tour de France, con partenza da Berlino Ovest: 25 tappe, di cui cinque a cronometro, quattro individuali ed una cronometro a squadre.

Tour de France 1987

Vinse l'irlandese Stephen Roche, che già aveva vinto il Giro d'Italia, strappando la maglia rosa, a Sappada, al compagno di squadra della Carrera, Roberto Visentini. Roche, dopo il Tour avrebbe conquistato anche il campionato del mondo: una sbornia di successi, riuscita solo prima ad Eddy Merckx, da convincerlo ad un anno sabbatico nel 1988. Tornando alla corsa, ci fu molta incertezza sino alla fine. Roche ottenne il suo unico successo parziale nella cronometro di Futuroscope del 10 luglio 1987. La maglia gialla finì sulle spalle del giovane Charly Mottet, che assieme a Jean-Francois Bernard divideva i pronostici francesi come possibile successore di Hinualt, ritiratosi l'anno prima. Dopo aver mancato il sesto Tour, battuto da LeMond. Proprio LeMond era il grande assente: un incidente in una battuta di caccia aveva messo in pericolo la sua stessa vita e gli avrebbe impedito di gareggiare sino al 1989. Per questa ragione, il pronostico era aperto a molti, oltre che a Roche. Tra questi: lo scalatore spagnolo Pedro Delgado, che aveva vinto la Vuelta a Espana 1985 ed era stato quarto, allora si correva tra aprile e maggio, alla Vuelta del 1987; Laurent Fignon, che dopo i due Tour vinti nel 1983 e nel 1984 aveva vissuto stagioni meno brillanti; lo scalatore colombiano Lucho Herrera, che aveva vinto la Vuelta quell'anno. Dopo Futuroscope, riprendiamo il racconto, la maglia gialla andò ad un altro francese, Martial Gayant, per due giorni, tornando sulle spalle di Mottet a Pau, dove vinse l'olandese Erik Breukink. Mottet tenne il simbolo del primato per cinque giorni, fino ad essere spodestato dal connazionale Bernard, che trionfò nella cronoscalata sul Mont Ventoux. Il giorno dopo, sull'Alpe d'Huez, vinse lo spagnolo Echave e fu Delgado a vestirsi di giallo. Fino alla cronometro del penultimo giorno, con arrivo a Digione. In quell'occasione, Roche vestì la prima maglia gialla, quella più importante, perché il giorno dopo ci sarebbe stata solo passerella a Parigi. Gli bastarono 40" per vincere. Distacco contenutissimo, solo 2" di più dei 38"che erano bastati a Jannsen per battere Van Springel al Tour del 1968. Fino al 1989, quando Fignon avrebbe ceduto il Tour a Lemond per soli 8". Gli italiani, appena 18 al via, rimasero all'asciutto di successi parziali e fuori dai primi dieci della generale. Questa la classifica finale del Tour de France 1987:

  1. Stephen Roche (IRL)
  2. Pedro Delgado (SPA) a 40"
  3. Jean-Francois Bernard (FRA) a 2'13"
  4. Charly Mottet (FRA) a 6'40"
  5. Luis Herrera (COL) a 9'32"
  6. Fabio Parra (COL) a 16'53"
  7. Laurent Fignon (FRA) a 18'24"
  8. Anselmo Fuerte (SPA) a 18'33"
  9. Raul Alcala (MES) a 21'49
  10. Marino Lejarreta (SPA) a 26'13"

martedì 12 maggio 2020

Giro d'Italia 1988: Hampsten e la tempesta sul Gavia. L'impresa mancata di Johan Van der Velde

"Vidi Van der Velde passare su con le maniche corte, come era partito, con la neve sui capelli" (Claudio Gregori, intervista concessa a Roberto Cauz e Riccardo Spinelli, "Chissà che l'utopia non vinca")
Il Giro d'Italia del 1988 fu una corsa in bianco e nero, perché il 5 giugno, durante la quattordicesima tappa verso Bormio, sul Passo del Gavia, una tempesta da romanzo gotico si abbatté sulla corsa. Mai vista tanta neve nel mese di giugno. Freddo glaciale. Corridori assiderati. Moltissimi costretti al ritiro. Le lancette dell'orologio del ciclismo volarono indietro a ritmo impensato. Distacchi come negli anni '30, tanti finirono fuori tempo massimo. Quel giorno, un americano, Hamspten, vestì la maglia rosa, per tenerla sino a Milano.

File:Gavia1998.jpg - Wikipedia
Gavia, Giro d'Italia 1988
Facciamo un passo indietro. Alla vigilia, si annunciava un grande Giro. Al via, i favoriti erano Visentini, vincitore nel 1986, protagonista del litigio di squadra con Roche nel 1987, lo spagnolo Pedro Delgado, già vincitore di una Vuelta e secondo al Tour dell'anno prima, e poi l'irlandese polivalente Sean Kelly, l'olandese Breukink e, soprattutto, il francese Jean-Francois Bernard. Che agli osservatori pareva il più talentuoso ed era in rampa di lancio dopo il terzo posto colto al Tour del 1987. E Bernard fu la prima maglia rosa, indossata dopo il successo nel cronoprologo di Urbino, cui sarebbero seguite altre due affermazioni  parziali in quel Giro. A sfilare la maglia rosa al francese, alla quarta tappa, fu un gregario di fondo, Massimo Podenzana dopo una lunga fuga conclusa sul traguardo di Rodi Garganico. L'avrebbe tenuta nove giorni. L'acuto della sua carriera. Prima di vincere due campionati italiani e di finire settimo al Giro del 1994. Sulla salita di Campitello Matese, successo di Chioccioli, che, nel volto e solo nel volto, somigliava a Fausto Coppi, e perciò era detto Coppino. Chioccioli correva nella Del Tongo capitanata da Saronni. Alla vigilia della tappa del Gavia, Chiccioli era primo, Saronni nono.

File:Jean-François BERNARD.jpg - Wikimedia Commons
Jean-Francois Bernard
Poi, il Gavia. I corridori, quel giorno, dovettero provare le stesse sensazioni avvertite da Octave Lapize sul Tourmalet, nel Tour de France del 1910. Sofferenza assoluta, sforzo innaturale. Sul Gavia passa per primo, da solo, Johan Van der Velde, in maglia ciclamino. La neve sta cadendo sempre più copiosa mentre l'olandese si avvicina al gran premio della montagna. Inizia la discesa verso Bormio e non si copre: errore tremendo. Sarà un calvario per lui. E per tanti altri. Parte la corsa alle mantelline, ma nulla servirebbe come un giornale, più giornali da mettere sotto la maglietta. Terremoto in classifica. Sono i più magri, ma i ciclisti sono tutti magri, a patire di più. Saronni e Visentini persero mezz'ora. Bernard, lì finì la sua carriera nelle grandi corse a tappe, poco meno di dieci minuti. Van der Velde, che aveva dovuto fermarsi in camper e poi ripartire per un principio di congelamento, arrivò anche dopo. Il successo di tappa andò a Breukink, olandese assiduo frequentatore della casa reale. Polemiche si abbattono sull'organizzazione della corsa e sulla decisione di Torriani di non neutralizzare la tappa. Andy Hampsten, si diceva, prese la maglia rosa, legittimandola con il successo nella cronoscalata del Valico del Vetriolo. A Milano, vittoria di Hampsten, primo statunitense a vincere il Giro, secondo Breukink a 1'43", terzo lo svizzero Zimmermann a 2'45". Nessun italiano sul podio: quarto Giupponi, quinto Chioccioli, sesto Giovannetti.

Fu il secondo anno consecutivo senza italiani sul podio della corsa della Gazzetta: nel 1987 aveva vinto Roche, su Millar e Breukink. Era accaduto anche nel 1972, con Merckx primo, Fuente secondo e Galdòs terzo, sarebbe successo di nuovo nel 1995, con vittoria di Rominger su Berzin e Ugrjumov, nel 2012, con Hesjedal, Joaquim Rodriguez e De Gendt e nel 2018, con Froome, Tom Dumoulin e Miguel Angel Lopez. Sei volte in 102 edizioni!

lunedì 27 aprile 2020

Tour de France 1990: il tris di LeMond, l'illusione di Chiappucci. L'imboscata di Saint-Etienne

Il Tour de France 1990 fu l'ultima gara a tappe corsa secondo i canoni del ciclismo antico. Accadde davvero di tutto. Molti pensavano, i francesi lo speravano, che sarebbe andata in scena la rivincita di Fignon su LeMond, dopo la risicata, emozionante vittoria del californiano nella cronometro di Parigi del 1989. Fignon invece fu costretto al ritiro, come gli era già successo al Giro, dominato da un magnifico Bugno: maglia rosa dalla prima all'ultima tappa. Come Girardengo, Binda e Merckx prima di lui. Come nessuno, dopo di lui. Ma, torniamo al Tour. Il francese Marie vince il cronoprologo. Il giorno dopo, avviene l'imprevisto. La "fuga bidone", che porta il canadese Bauer in maglia gialla, con Maasen vincitore di giornata. Tra i fuggitivi, che infliggono al gruppo più di dieci minuti di distacco, anche Claudio Chiappucci. Ventisettenne scalatore, cresciuto nella Carrera, a lungo gregario di Visentini e di Roche. Appena quattordicesimo al Giro dominato da Bugno. I condottieri del plotone capiranno presto di aver usato troppa indulgenza verso quegli attaccanti. Particolarmente coriacea si dimostrerà la resistenza di Chiappucci. Che presto smette i panni dell'imbucato alla grande festa del ciclismo mondiale. Il suo vantaggio si erode ma non sfuma. Anzi, sulle Alpi, dopo il trionfo di Bugno su LeMond all'Alpe d'Huez, Chiappucci tiene. E nella cronometro che arriva a  Villard-de-Lans, vinta da Breukink, si veste di giallo. Il suo vantaggio su LeMond e Breukink è ancora rassicurante. Senonché, in una tappa intermedia, la classica tappa vallonata del Tour, da cui nessun suiver si attende sconquassi, il genio strategico di LeMond ribalta i giochi. Spedisce all'attacco il compagno di squadra Pensec, un altro dei miracolati del secondo giorno di corsa. Chiappucci abbocca, temendo di perdere la maglia. Ma, stremato, non sa replicare al contrattacco di LeMond e Breukink, perdendo, sul traguardo di Saint-Etienne, oltre quattro minuti e mezzo. Fatali. Perché nella cronometro della penultima tappa, vinta ancora da Breukink, LeMond gli porterà via, secondo pronostico, il primato. LeMond vincerà il Tour, con 2'16" su Chiappucci e 2'29" su Breukink. Quarto Delgado, decimo il suo luogotenente Indurain, che, allora nessuno se l'aspetta, farà suoi i prossimi cinque Tour. Sembra, infatti, il meno dotato, e forse lo è, della generazione del 1964, anno di nascita anche di Breukink, Alcala e Bugno! Quinto è lo spagnolo Lejarreta, un maratoneta delle due ruote, che, quasi ogni anno correva, nell'ordine d'allora, Vuelta, Giro e Tour (quindici volte tra i primi dieci della generale!). Settimo è Bugno, vincitore di giornata anche a Bordeaux, che ha corso il Tour dopo il trionfo al Giro e che, a parere di scrive, era il più forte in gara. Ma, non lo sapeva. Come lo sarebbe stato l'anno dopo, nel 1991, pur chiudendo secondo dietro Indurain. Ma, questa è un'altra storia.
Tour de France 1990 - Wikipedia
Tour de France 1990

giovedì 23 aprile 2020

Tour de France 1989: LeMond e Fignon. Il romanzo di due campioni leggendari e di una rivalità unica

Il Tour più bello e avvincente, cui mi sia capitato di assistere, resta quello del 1989. Al via, il grande favorito era il beniamino di casa Laurent Fignon, il professore, così detto per via di occhialini dalla montatura dorata che gli conferivano un'aria molto seria. Fignon era tornato competitivo nelle gare tappe proprio al Giro d'Italia appena vinto su Flavio Giupponi.
Laurent Fignon
Talento precoce, aveva già conquistato, nel 1983 e nel 1984 due Tour de France consecutivi e sembrava destinato a stabilire una lunga tirannia nel mondo delle due ruote: nel 1984 aveva appena 24 anni, essendo nato a Parigi il 12 agosto del 1960. Ecco, quell'anno, il 1984, quello delle Olimpiadi di Los Angeles, Fignon aveva sfiorato anche il Giro, perdendo la maglia rosa nella cronometro finale che giungeva all'Arena di Verona: decisivo l'apporto tecnologico fornito a Moser dalle ruote lenticolari. Al Tour, però, aveva dato dieci minuti a sua maestà Bernard Hinault e undici al campione del mondo in carica Greg LeMond. Invece, da quel momento cominciò un periodo di buio agonistico per Fignon, dovuto anche a ripetuti infortuni. Hinault avrebbe vinto il Tour del 1985, il suo quinto e rimasto l'ultimo per i francesi!, davanti a LeMond, con Fignon assente. Lemond avrebbe vinto, primo americano della storia, il Tour del 1986, Hinault secondo e pronto al ritiro a soli 32 anni. Il professore francese avrebbe dovuto attendere, si diceva, il Giro del 1989 per tornare a fare classifica in un grande giro. Nel frattempo, si era annesso, noblesse oblige, due Milano-Sanremo consecutive ('88 e '89).
File:Laurent Fignon, Système U (cropped).jpg - Wikipedia
Laurent Fignon (FRA)
Greg LeMond
Greg LeMond era un predestinato. Ciclista dove, negli Usa, il ciclismo era sport di puro diletto, aveva messo a profitto il fatidico incontro con un italoamericano di origini marchigiane, Fred Mengoni. Suo ispiratore e mentore. LeMond, nato in California il 26 giugno 1961, era stato campione del mondo nel 1983, dopo il secondo posto inflittogli da Saronni a Goodwood nel 1982. Ma, era anche magnifico corridore da gare a tappe. In carriera, faceva il Giro per preparare il Tour. Eppure arrivò con facilità terzo e quarto nella corsa della Gazzetta ('85 e 86). S'è detto del Tour che vinse su Hinault nel 1986. Poi, il fato volle esigere da lui un prezzo elevatissimo dalla gloria ottenuta. Un incidente, un banale incidente di caccia, rimase ferito e forzatamente lontano dalle competizioni per due lunghi anni, essendosi temuto per la sua carriera oltre che per la sua vita. Tornava alle corse proprio nel 1989. Quando comincia la nostra storia.
Greg LeMond - Wikipedia
Greg Lemond (USA)
Tour de France 1989
Dopo anni contrappuntati da assenze dolorose, al via della Grande Boucle, ci sono tutti i migliori. Fignon, appunto, fresco vincitore del Giro, LeMond, risorto, Pedro Delgado, vincitore, tra le polemiche, del Tour del 1988, la corazzata della PDM, che schiera, tutti assieme, Theunisse, Rooks, Alcala e Kelly: finiranno tutti e quattro tra i primi dieci della classifica generale, pur mancando il podio. La corsa comincia con un coup de theatre: lo spagnolo Delgado, nel cronoprologo del Lussemburgo, si presenta al via con due minuti e mezzo di ritardo. Perché? Si tireranno in ballo i sospetti di doping che avevano adombrato la sua vittoria dell'anno prima. Delgado dovrà correre in rimonta tutto il Tour e chiuderà terzo, nonostante la superiorità manifesta in salita. La prima maglia gialla è dell'olandese Breuking, classe 1964, uno che aveva più reputazione nelle corse a tappe, allora, dei coetanei Bugno e Indurain, luogotenente di Delgado. Fignon prende la maglia gialla alla quinta tappa. LeMond gliela porta via alla decima, dopo una cronometro interminabile, 73 km, che giunge a Futuroscope. Fignon la riprende a Superbagneres, sui Pirenei, e la cede di nuovo a LeMond, a Gap, all'esito della quarta cronometro di quel Tour! Fignon va meglio in salita. E si veste ancora di giallo dopo l'Alpe d'Huez, domata dall'olandese Theunisse. Fino alla cronometro, la quinta, che giunge a Parigi da Versailles, il 23 luglio 1989. La Francia è tutta con Fignon. Con l'eccezione degli inconsapevoli organizzatori, che hanno infarcito il Tour di 190,3 km contro il tempo, cronosquadre compresa! Fignon lotta, ma LeMond vola. E vince il Tour de France 1989 con il vantaggio più esiguo e beffardo della storia del ciclismo: 8"! Otto, tremendi secondi, che porranno fine alla carriera di Fignon ad alti livelli. La seconda beffa per Fignon, dopo quella di Verona 1984. Troppo. LeMond vincerà anche il Tour, il suo terzo, del 1990.


sabato 20 luglio 2013

Tour de France 2013: a Semnoz trionfa Quintana, secondo Joaquim Rodriguez, terzo Froome che conquista il Tour

Corre da cannibale Froome, ma non è Merckx. A 1,2 km dal traguardo di Semnoz, prova a conquistare l'ultima tappa di montagna, scattando in faccia a Quintana e Joaquim Rodríguez. Quintana, però, risponde quasi subito e poi scatta a propria volta involandosi verso il primo successo della carriera al Tour. Il colombiano, 23 anni, è uno scalatore puro che ricorda i grandi della storia, da Bartali a Gaul, da Bahamontes a Delgado fino a Pantani. Prima o poi, la maglia gialla sarà sua. Chiude primo a Semnoz e secondo al Tour. E' la nuova stella del ciclismo mondiale. Nella classifica di tappa il secondo è Joaquim Rodríguez, il terzo è Froome, che paga la sua ingordigia. Froome conquista il Tour de France 2013, perché domani a Parigi si sfilerà o poco più. Le polemiche su di lui, però, continueranno.