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venerdì 17 maggio 2024

La Juve e Allegri

La sfuriata di Allegri tiene banco dappertutto: in televisione, alla radio, sui giornali, nel web e nei bar. Che abbia esagerato, non ci sono dubbi. Ma, il punto che mi interessa è un altro. Come va valutato il suo lavoro negli ultimi tre anni? Quanto vale come allenatore? Io penso che la sua carriera sia stata abbastanza fortunata. Calciatore non di prima fascia, ha avuto presto l'occasione di allenare un Milan forte, vincendo uno scudetto e perdendone un altro. Poi, ha sostituito Conte in una Juve che aveva un vantaggio competitivo inestimabile, dipeso dalla crisi finanziaria e societaria contemporanea delle rivali tradizionali, Inter e Milan. E ha vinto cinque scudetti di fila più altri trofei e raggiunto due finali di Champions League. Quando lo mandarono via nel 2019, l'illusione era quella di un calcio brioso, che Allegri non offriva e nemmeno desiderava. Lo richiamarono due anni dopo e Allegri, tra crisi, difficoltà e ridimensionamento, ha portato un solo trofeo, la Coppa Italia, e qualificazioni alla Champions. Non tanto, nemmeno poco.


Detto questo, torno alle domande.


Allegri negli ultimi tre anni ha fatto discretamente, non benissimo, ma discretamente, soprattutto la passata stagione, quando un'altra guida tecnica, meno esperta e decisa della sua, sarebbe crollata nella bufera delle penalizzazioni e delle dimissioni. La sua Juve ha giocato spesso male, ma è anche vero che aveva un centrocampo tra i meno talentuosi della Serie A. Quanto invece al suo spessore tecnico in assoluto, io penso che lui vada paragonato al Prost della Formula Uno o al Biaggi della Moto 250. Con la macchina o la moto migliore loro vincevano sempre, facendo gara di testa. Sapevano arrivare tranquilli al successo. Questa è stata la grande abilità di Allegri. Un'abilità non scontata e non di tutti, intendiamoci. Negli ultimi tre anni, però, non aveva più la macchina o la moto migliore, per restare in metafora. E Allegri non è il Brian Clough del Nottingham Forest o il Mourinho del Porto. Allegri ricorda un poco Capello: uno che con la rosa migliore generalmente vince. Solo che Capello ha un altro stile, è più riflessivo e diplomatico. Dimenticavo: anche il celebratissimo Guardiola ha bisogno della squadra più forte per vincere. In provincia non lo vedrete mai allenare. Ma, questo, la stampa amica e adorante non lo ricorda e finge di non saperlo. 

venerdì 20 ottobre 2023

Recoba è il nuovo allenatore del Nacional Montevideo

Croce e delizia di tanti allenatori quando giocava, Alvaro Recoba, a 47 anni e mezzo, diventa oggi il nuovo allenatore del Nacional Montevideo, la squadra con la quale chiuse la carriera da calciatore, una volta tornato dall'Europa. Dal 2020 era entrato nel gruppo tecnico del club uruguaiano, allenandone la squadre riserve dall'inizio del 2022. Ora, l'allenatore della prima squadra è lui, Recoba, titolare di un mancino unico, che saltava i giri di campo e sbuffava durante le ripetute di velocità, affidato solo ad un talento senza pari. Chi l'avrebbe detto? Forza Recoba! 

venerdì 10 aprile 2020

Da che si giudica un giocatore di calcio? Storia di gruppi e di individui

Sport giocato in undici, il calcio, anzi, da quando ci sono le sostituzioni, prima in tredici poi in quattordici, spesso, quasi sempre. Eppure resiste la voglia di distribuire meriti e colpe, da parte degli innumeri Alighieri della pelota. I narratori di obbedienza sacchiana esaltano il ruolo degli allenatori nella dimensione strategica o, più prosaicamente, tattica. Io dico invece, per venire al tema del post, che gli allenatori incidono e moltissimo sulle fortune dei singoli calciatori, influenzandone prestazioni e qualche volta carriere. Fino all'incontro con Alex Ferguson, al Manchester United, Erik Cantona era un talentuoso e bizzoso e rissoso calciatore, che viveva di continui saliscendi di rendimento. A 26 anni, a Manchester, smette i panni, salvo qualche rara ricaduta, del ribelle e diventa condottiero, anima e leader tecnico di una delle squadre più vincenti della storia. Ogni giocata, anche la più spavalda e beffarda e provocatoria è messa al servizio del risultato. Tutto, anche i dribbling a rasoio, i tiri da 30 metri, tutto il suo repertorio che, prima, era spesso fine a se stesso. Da che si giudica un giocatore? Da quel che ha fatto o da quel che avrebbe potuto fare? Il problema è che, spesso, senza il beneplacito di un allenatore che ne capisca, il giocatore può fare poco o comunque meno di quanto il solo talento gli permetterebbe. E vale anche il contrario:

  • Mondiali del 1978: Zoff prende tre gol dalla grande distanza, tutti belli, tutti, probabilmente, evitabili. Ha 36 anni suonati. Bearzot lo difende, insiste, se ne frega di quelli che accusano Zoff di non vedere bene, e ce ne sono. Zoff alzerà da capitano la coppa del mondo del 1982.
  • Londra, Arsenal, 1995. Bergkamp arriva dall'Inter, reduce dalla peggiore stagione della carriera. Rifiuta di prendere l'aereo: i voli durante i mondiali americani del 1994 hanno acuito una paura che si tramuta in panico. Ha 26 anni, l'asso olandese. E il valore del suo cartellino si è quasi dimezzato. Wenger, allenatore francese che sarà amatissimo in Inghilterra!, gli permette tutto. Di non volare e di non tornare a difendere. Gli concede libertà assoluta. Bergkamp ritorna il fenomeno ammirato all'Ajax e va oltre. Segna gol irreali, regala assist magnifici, firma successi in serie, tra Premier League e coppe varie.
  • Milano, 1999. Lippi arriva all'Inter. Roberto Baggio, con cui aveva poco legato alla Juve, viene tenuto ai margini della squadra. Gli viene preferito anche il giovane Russo. Molti lo danno per finito. Poi, spareggio per la Champions contro il Parma. Lippi è costretto a puntare su Baggio, che rifila una memorabile doppietta a Buffon. Inter qualificata, panchina di Lippi salva. Baggio saluta, perché la convivenza con Lippi è impossibile e va a Brescia. Dove Mazzone, grande e sottovalutato maestro di calcio, gli regala una seconda giovinezza. Baggio segna e fa segnare, anche in mezzo a gravi infortuni. Meriterebbe di giocare i mondiali del 2002. Trapattoni lo lascia a casa. Poi, ammetterà di aver sbagliato.
Potrei continuare con gli esempi. Ma, mi fermo qui.

martedì 7 maggio 2019

I grandi allenatori valorizzano i giocatori: le intuizioni di Pozzo e Zagallo

La bellezza salverà il mondo (Fedor Dostoevskij, L'Idiota)
Si discute, quasi sempre a sproposito, di bellezza del gioco. Eppure il calcio non è una gara di tuffi o di ginnastica artistica, dove si valuti l'armonia e l'adeguatezza di una figura o di un gesto. Nemmeno si può vincere ai punti, come succede nel pugilato. Per questa ragione, trovo inappropriato associare la bravura di un allenatore alla bellezza del gioco espresso dalla sua squadra. Se davvero bisogna intestare un merito ad un allenatore, a me pare che si debba guardare alla capacità che il tecnico abbia di migliorare il rendimento di ogni singolo giocatore, legandolo a quello dei compagni di squadra. Ecco che allora possiamo accedere all'esame di dati più certi.

Partiamo da Vittorio Pozzo, storico allenatore della nazionale italiana. Alla vigilia dei mondiali del 1934, che si disputeranno in Italia, ha tra i suoi giocatori il migliore al mondo, Giuseppe Meazza, che non ha ancora compiuto 24 anni. Centravanti tremendo dalla tecnica mai vista, dallo scatto bruciante, dal perentorio stacco di testa. Quello che oggi tutti ammirano in Cristiano Ronaldo, la sospensione in aria, ad altezze vietate agli altri giocatori, Meazza lo faceva già negli anni '30, sebbene non facesse la vita dell'atleta e fosse non solo il re dell'area di rigore, ma anche del tango ballato nei tabarin, con una sigaretta sempre accesa. Ecco, Pozzo, questo fenomeno di attaccante, decide di arretrarlo a mezzala, perché ha bisogno lì del suo estro impareggiabile, mentre un altro centravanti, meno dotato e spettacolare, comunque ce l'ha: Schiavio. L'Italia sarà campione del mondo! Così pure quattro anni dopo in Francia. Meazza, che nell'Ambrosiana-Inter è centravanti e capocannoniere del campionato, prende l'8, il centravanti lo fa Piola. L'Italia vince il secondo mondiale consecutivo. 

lunedì 13 gennaio 2014

Milan: via Allegri, arriva Seedorf. Prevale la volontà di Berlusconi

Esonerato Allegri dopo la scoppola subita contro il Sassuolo di Berardi, il Milan si affida a Clarence Seedorf, per anni colonna del centrocampo rossonero. L'olandese è una scommessa di Berlusconi, che ne apprezzava l'intelligenza, oltre che la classe, in campo, da giocatore e che deve avere intravisto in lui quelle doti di tecnico, di cui ad oggi è lecito dubitare. Seedorf, classe 1976, ha esperienza di gioco vastissima, dall'Ajax al Real Madrid, dall'Inter al Milan, alla nazionale orange, ma come allenatore è ancora un'ipotesi. Stiamo a vedere.

mercoledì 15 maggio 2013

Mazzarri è meglio di Stramaccioni. Almeno 500 allenatori italiani farebbero meglio di Stramaccioni.

Magari Mazzarri all'Inter. Non incarna il mio ideale di allenatore, come Mourinho o come, per altre ragioni, Zenga. Ma, insomma, non c'è confronto, per esperienza, conoscenza del gioco, strategia, tattica e carisma. Mazzarri vince di dieci biciclette, la dico così, perché si sta correndo il Giro d'Italia. Insomma, venga Mazzarri, venga Zenga. Venga uno dei tanti bravi allenatori italiani. Se ne vada Stramaccioni. Primatista di sconfitte nerazzurre: 15 in campionato in questa balorda stagione. Moratti decida presto!