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giovedì 14 maggio 2020

Giro d'Italia 1974: 1. Merckx 2. Baronchelli 3. Gimondi. Il secondo minor distacco nella storia del Giro: Baronchelli perse per 12"

"Io ho sempre corso per vincere e basta" (Eddy Merckx in un'intervista data a Cheo Condina, il manifesto, 13 marzo 2004)
Una delle edizioni più avvincenti e lottate del Giro d'Italia fu quella del 1974. La prima maglia rosa fu del belga Reibrouck, che vinse la tappa d'avvio dal Vaticano a Formia. Alla terza tappa, il simbolo del primato passò sulle spalle del grande scalatore spagnolo Fuente, che s'impose sul traguardo di Sorrento. Merckx, Gimondi e il giovane Baronchelli, 21 anni da compiere, erano i più immediati inseguitori del grimpeur iberico, che riuscì ad aggiudicarsi altre due tappe, tra le Marche e l'Emilia.
File:Gianbattista Baronchelli.JPG - Wikipedia
Gianbattista Baronchelli

Merckx si riavvicinò, dominando la cronometro di Forte dei Marmi. Poi, la quattordicesima tappa, con arrivo a Sanremo. Fuente commise uno degli errori che i corridori più sottovalutano e che, spesso, si rivelano esiziali: si alimentò poco o male o poco e male. Insomma, crisi di fame e dieci minuti di ritardo. Che Fuente non avrebbe saputo più recuperare, nonostante la superiorità in salita. Merckx ne avrebbe respinto gli assalti con una difesa ad oltranza, cui era poco abituato dai suoi "mille" successi, ma tenne. Soprattutto su Le Tre Cime di Lavaredo, arrivo che l'aveva lanciato sulle strade italiane nel 1968, e dove rischiò di perdere il suo quinto Giro per l'attacco di Fuente, che vinse la tappa, e di Baronchelli. A Milano, primo Merckx, secondo Baronchelli ad appena 12", terzo Gimondi a 33". Fuente, a dispetto di cinque vittorie di tappa, sarebbe stato solo quinto in classifica generale, dovendosi accontentare della maglia verde di miglior scalatore, introdotta quell'anno. Tutto per aver mangiato poco verso Sanremo.


Eddy Merckx - Wikipedia
Eddy Merckx in maglia rosa
Quello tra Merckx e Baronchelli fu il secondo minor distacco tra i primi due della classifica nella storia del Giro d'Italia, dopo gli 11" che nel 1948 regalarono a Fiorenzo Magni il suo primo Giro, davanti a Cecchi. Nel 1995, sempre Magni avrebbe impedito a Coppi la vittoria del sesto Giro per 13". Nel 2012, Joaquim Rodriguez avrebbe perso da Hesjedal per soli 16".

martedì 12 maggio 2020

Giro d'Italia 1988: Hampsten e la tempesta sul Gavia. L'impresa mancata di Johan Van der Velde

"Vidi Van der Velde passare su con le maniche corte, come era partito, con la neve sui capelli" (Claudio Gregori, intervista concessa a Roberto Cauz e Riccardo Spinelli, "Chissà che l'utopia non vinca")
Il Giro d'Italia del 1988 fu una corsa in bianco e nero, perché il 5 giugno, durante la quattordicesima tappa verso Bormio, sul Passo del Gavia, una tempesta da romanzo gotico si abbatté sulla corsa. Mai vista tanta neve nel mese di giugno. Freddo glaciale. Corridori assiderati. Moltissimi costretti al ritiro. Le lancette dell'orologio del ciclismo volarono indietro a ritmo impensato. Distacchi come negli anni '30, tanti finirono fuori tempo massimo. Quel giorno, un americano, Hamspten, vestì la maglia rosa, per tenerla sino a Milano.

File:Gavia1998.jpg - Wikipedia
Gavia, Giro d'Italia 1988
Facciamo un passo indietro. Alla vigilia, si annunciava un grande Giro. Al via, i favoriti erano Visentini, vincitore nel 1986, protagonista del litigio di squadra con Roche nel 1987, lo spagnolo Pedro Delgado, già vincitore di una Vuelta e secondo al Tour dell'anno prima, e poi l'irlandese polivalente Sean Kelly, l'olandese Breukink e, soprattutto, il francese Jean-Francois Bernard. Che agli osservatori pareva il più talentuoso ed era in rampa di lancio dopo il terzo posto colto al Tour del 1987. E Bernard fu la prima maglia rosa, indossata dopo il successo nel cronoprologo di Urbino, cui sarebbero seguite altre due affermazioni  parziali in quel Giro. A sfilare la maglia rosa al francese, alla quarta tappa, fu un gregario di fondo, Massimo Podenzana dopo una lunga fuga conclusa sul traguardo di Rodi Garganico. L'avrebbe tenuta nove giorni. L'acuto della sua carriera. Prima di vincere due campionati italiani e di finire settimo al Giro del 1994. Sulla salita di Campitello Matese, successo di Chioccioli, che, nel volto e solo nel volto, somigliava a Fausto Coppi, e perciò era detto Coppino. Chioccioli correva nella Del Tongo capitanata da Saronni. Alla vigilia della tappa del Gavia, Chiccioli era primo, Saronni nono.

File:Jean-François BERNARD.jpg - Wikimedia Commons
Jean-Francois Bernard
Poi, il Gavia. I corridori, quel giorno, dovettero provare le stesse sensazioni avvertite da Octave Lapize sul Tourmalet, nel Tour de France del 1910. Sofferenza assoluta, sforzo innaturale. Sul Gavia passa per primo, da solo, Johan Van der Velde, in maglia ciclamino. La neve sta cadendo sempre più copiosa mentre l'olandese si avvicina al gran premio della montagna. Inizia la discesa verso Bormio e non si copre: errore tremendo. Sarà un calvario per lui. E per tanti altri. Parte la corsa alle mantelline, ma nulla servirebbe come un giornale, più giornali da mettere sotto la maglietta. Terremoto in classifica. Sono i più magri, ma i ciclisti sono tutti magri, a patire di più. Saronni e Visentini persero mezz'ora. Bernard, lì finì la sua carriera nelle grandi corse a tappe, poco meno di dieci minuti. Van der Velde, che aveva dovuto fermarsi in camper e poi ripartire per un principio di congelamento, arrivò anche dopo. Il successo di tappa andò a Breukink, olandese assiduo frequentatore della casa reale. Polemiche si abbattono sull'organizzazione della corsa e sulla decisione di Torriani di non neutralizzare la tappa. Andy Hampsten, si diceva, prese la maglia rosa, legittimandola con il successo nella cronoscalata del Valico del Vetriolo. A Milano, vittoria di Hampsten, primo statunitense a vincere il Giro, secondo Breukink a 1'43", terzo lo svizzero Zimmermann a 2'45". Nessun italiano sul podio: quarto Giupponi, quinto Chioccioli, sesto Giovannetti.

Fu il secondo anno consecutivo senza italiani sul podio della corsa della Gazzetta: nel 1987 aveva vinto Roche, su Millar e Breukink. Era accaduto anche nel 1972, con Merckx primo, Fuente secondo e Galdòs terzo, sarebbe successo di nuovo nel 1995, con vittoria di Rominger su Berzin e Ugrjumov, nel 2012, con Hesjedal, Joaquim Rodriguez e De Gendt e nel 2018, con Froome, Tom Dumoulin e Miguel Angel Lopez. Sei volte in 102 edizioni!

lunedì 11 maggio 2020

Giro d'Italia 1980: il trionfo di Hinault, le sette tappe di Saronni

"La differenza  fra martire ed eroe è minima, un colpo di vento, la sfortuna. Io non voglio essere martire". (Bernard Hinault)
Quando, nel 1980, il bretone Bernard Hinault, detto Il Tasso, approdò al Giro d'Italia, nel suo palmares figuravano già una Vuelta a Espana e due Tour de France. L'Italia aveva un'agguerrita schiera di pretendenti alla maglia rosa finale, guidata da Saronni e Moser, rispettivamente primo e secondo nel Giro del 1979. E oltre a loro Baronchelli e il giovane Visentini, Panizza e Battaglin. Hinault era reduce dai freschi successi alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Giro di Romandia.
Giro d'Italia ´82 | Tommy Prim, Bernard hinault, Lucien van ...
Bernard Hinault, al Giro del 1982 (che pure avrebbe vinto)
Cronoprologo a Moser, prima maglia rosa a Genova. Hinault s'impossessò del simbolo del primato a Pisa, dopo la seconda prova contro il tempo del Giro. Saronni uscì presto di classifica, avrebbe comunque chiuso al settimo posto e, quel che più conta, avrebbe vinto sette tappe! Impresa alla Binda o alla Guerra degli anni eroici del ciclismo. Nella settima tappa, ad Orvieto, acuto di Visentini, che strappò la maglia rosa ad Hinault, tenendola fino a Roccaraso, dove al successo parziale dell'asso francese fece seguito il primato in classifica dello scalatore Wladimiro Panizza, sempreverde dopo 35 primavere e tredici anni di carriera! Eppure Hinault già correva da padrone. A 26 anni mostrava, alla prima esperienza al Giro, la sicurezza del veterano. Scortato da un luogotenente d'eccezione, il connazionale Bernaudeau, uno spesso tra i primi dieci tra Tour e Vuelta. Proprio Bernaudeau avrebbe vinto la Cles-Sondrio, dopo fuga avviata per propiziare l'attacco di Hinault sullo Stelvio: strategia vincente. Hinault sfilò la maglia rosa a Panizza e la tenne fino a Milano. Primo Hinault, secondo Panizza a 5'43", terzo Battaglin a 6'30".
File:Wladimiro Panizza - Tour 1976.jpg - Wikimedia Commons
Waldimiro Panizza al Tour de France del 1976
Bernard Hinault avrebbe vinto altri due Giri d'Italia, in tutto tre in tre partecipazioni, nel 1982 e nel 1985, un'altra Vuelta e altri tre Tour de France: dieci grandi corse a tappe, solo una meno di Eddy Merckx! Ma fu anche dominatore di classiche. Persino della Parigi-Roubaix, che pure detestava, ritenendola un'anacronistica via crucis. Diceva di sé di essere prima bretone e poi francese. Fu amato, in Francia, meno di Anquetil, molto meno di Poulidor. Ma, i francesi hanno graduatorie di affetto tutte loro.

venerdì 8 maggio 2020

Tour de France 1960: 1. Nencini 2. Battistini 3. Adriaenssens. La terribile caduta di Rivière

Il Tour de France 1960 si corse tra il 26 di giugno e il 17 di luglio. In Italia, governava, in mezzo a mille tensioni, il Governo presieduto da Tambroni. Nei jukebox si suonavano i successi di Gino Paoli, La Gatta e Il cielo in una stanza, interpretato da Mina, ma anche Marina dell'italobelga Rocco Granata, Il nostro concerto di Umberto Bindi, Personalità di Caterina Valente. Da mesi, nelle sale cinematografiche della Penisola, si proietta la Dolce Vita di Federico Fellini, film destinato a diventare il manifesto di una delle epoche più spensierate, e frivole, della nostra storia.
File:Dolce vita.gif - Wikipedia
Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, La dolce vita


Siamo nel pieno del boom economico. Il ciclismo italiano è ripartito, per la prima volta dopo un ventennio, non solo senza Bartali, ritiratosi sei anni prima, ma anche senza Coppi, scomparso nel mese di gennaio a causa di una malaria curata male. Le speranze azzurre si appuntano su Baldini, già declinante, e Nencini, vincitore del Giro d'Italia del 1957 e secondo proprio nel 1960, dietro al campionissimo francese Anquetil, che l'ha battuto per soli 28", grazie alla superiorità mostrata nelle prove contro il tempo.
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Gastone Nencini


Al Tour, Gastone Nencini, detto il Leone del Mugello, si presenta in forma e motivato e cerca un pronto riscatto alla delusione patita al Giro. L'assenza di Anquetil rende incerto il pronostico. Gastone Nencini s'impossessa della maglia gialla dopo la seconda tappa. La perde alla quarta e la riconquista a Pau, Pirenei Atlantici, traguardo della decima frazione, dove s'impone il francese Roger Rivière. Con il quale inizia un serrato testa a testa. Riviere è più forte in salita. E Nencini, magnifico discesista degno di Magni, fugge nella quattordicesima tappa, in discesa. Rivière, all'inseguimento, cade rovinosamente in dirupo, fratture multiple alla colonna vertebrale. Una tragedia e carriera tristemente interrotta a soli 24 anni: sarebbe rimasto paralizzato alle gambe. Nencini manterrà la maglia gialla fino a Parigi, pur senza ottenere vittorie di tappa. Il giorno del trionfo il suo pensiero correrà allo sfortunato rivale. Secondo, dietro di lui, un altro azzurro, Graziano Battistini, alla sua prova migliore in una corsa a tappe, e vincitore sui traguardi di Angers e Briancon, terzo il belga Adriaenssens. Da registrare anche il settimo posto di Pambianco e il decimo dello scalatore Massignan. Un trionfo italiano sulle strade della Grande Boucle.

Nencini e Rivière i grandi duellanti del Tour del 1960 saranno accomunati da una precoce dipartita. Rivière nel 1976, a 40 anni, Nencini, nel 1980, a 50 anni.

giovedì 7 maggio 2020

Giro d'Italia 1990: il trionfo di Gianni Bugno

Trent'anni fa, il 18 maggio del 1990, cominciava il Giro d'Italia che Gianni Bugno avrebbe dominato dalla prima all'ultima tappa, come Girardengo nel 1919, come Alfredo Binda nel 1927, come Eddy Merckx nel 1973 (anzi quasi, perché nel '73 ci fu un cronoprologo a coppie e la prima maglia rosa non venne assegnata). E dopo Bugno più nessuno ci sarebbe riuscito. 
Tour Of Italy ´90 | Gianni Bugno Clincher Tires: Michelin Pr ...
 Gianni Bugno 1990

Bugno, passato professionista alla fine del 1985, era un predestinato, ricco di talento, un fuoriclasse molto considerato nel gruppo. Schivo, riservato, passista potente ed elegante, era il più veloce dei non velocisti e teneva benissimo in salita, soprattutto sulle salite adatte ai lunghi rapporti, che era il solo a saper spingere. E tutto questo sempre conservando una pedalata elegantissima, efficacissima, rotonda. Mai un segno di stanchezza o di alterazione sul volto, le spalle sempre dritte. Si era svelato al grande pubblico nel 1986, regolando in volata un certo Francesco Moser nel Giro dell'Appennino. Poi conquistato anche nel 1987 e nel 1988. Nel 1989, lo racconto per meglio inquadrare il corridore Bugno, quando il Giro dell'Appennino valeva anche per il titolo nazionale, era stato secondo dietro Argentin: più volte, nella sua carriera, Bugno avrebbe vinto contro pronostico, salvo tradire le attese quando la sua vittoria era annunciata.

Torniamo al Giro del 1990: 20 tappe, più di 3.400 km. Il favorito della vigilia era il francese Laurent Fignon, campione uscente e reduce dalla beffa degli 8", con i quali aveva ceduto a LeMond il Tour de France del 1989. Molto atteso anche Flavio Giupponi, classe 1964 come Bugno, che nelle ultime tre edizioni del Giro era stato quinto, quarto e secondo, nel 1989 proprio dietro Fignon. E poi c'era Marco Giovannetti, che aveva appena conquistato la Vuelta a Espana, cosa che ad un corridore italiano non succedeva dal 1981, con Battaglin. E c'erano anche lo stacanovista spagnolo dei grandi giri, Marino Lejarreta, l'altro iberico Echave ed il francese Mottet, che vantava un quarto posto al Tour del 1987 e un sesto posto al Tour del 1989. Bugno, proprio nel 1989, aveva ottenuto la sua migliore prestazione in una grande corsa a tappe: undicesimo al Tour. In quel 1990 aveva già conquistato la Milano-Sanremo, con magnifico assolo iniziato sulla Cipressa, e si era poi annesso il Giro del Trentino.

Bugno vinse subito il cronoprologo di 13 km a Bari. Vestita la maglia rosa, prese il controllo della corsa come un veterano. Sulla stampa e in televisione, tutti gli consigliavano di cederla, quella maglia, per non affaticare troppo la squadra e alleggerire la pressione su di sé. Ma, Bugno era come trasfigurato dal simbolo del primato. Volava. Ottenne a Vallombrosa, nella settima tappa, il secondo successo parziale. Tenne benissimo sulle montagne, anche il 2 giugno, quando fu secondo dietro Mottet sul Passo del Pordoi. Stravinse la cronoscalata del Sacro Monte di Varese. E giunse da trionfatore a Milano, con 6'33" su Charly Mottet e 9'01" su Marco Giovannetti. Era l'epifania di un campione polivalente, che avrebbe potuto ambire al titolo di campionissimo ed avrebbe invece vinto solo la metà, forse meno, di quanto la sua classe gli avrebbe permesso.