Blog di critica, storia e statistica sportiva fondato l'11 maggio 2009: calcio, ciclismo, atletica leggera, tennis ...
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martedì 16 novembre 2021
lunedì 15 novembre 2021
Irlanda del Nord-Italia: 0-0. Spareggi!
Stasera Irlanda del Nord-Italia, ultima partita di qualificazione ai prossimi mondiali del Qatar. Italia in testa per differenza reti nel proprio girone, a pari punti con la Svizzera che ospiterà la Bulgaria. Partita sulla carta non difficile, nelle file degli avversari non ci sono campioni. Ma nemmeno ce n'erano il 15 gennaio 1958, quando a Belfast gli azzurri persero 2-1 e rimasero esclusi dai mondiali svedesi di quello stesso anno. E invece ce n'erano nell'Italia, imbottita di oriundi di molta classe, da Schiaffino a Ghiggia, da Montuori a Dino Da Costa, che segnò l'inutile gol della bandiera. Fu un disastro sportivo quella sconfitta, che divenne proverbiale. Sarebbe accaduto di nuovo, eliminati però dalla Svezia, negli spareggi del 2017, che ci sbarrarono le porte dei mondiali di Russia 2018. Non siamo ancora all'atto finale. Se gli elvetici dovessero superarci nel computo delle reti, ci resterebbero gli spareggi. Fa solo impressione che la squadra campione d'Europa si trovi in questa situazione. Impressione, poi, fino ad un certo punto, quando si consideri il successo estivo figlio anche della buona sorte e non soltanto del merito. Stiamo a vedere.
La cronaca.
Irlanda del Nord arroccata in difesa e Italia alla ricerca vana di un pertugio. Quanto manca un centravanti, forte, di ruolo! Il primo tempo, noiosissimo, finisce a reti inviolate. Il risultato non cambia nella ripresa, sebbene Mancini provi, inutilmente, a stravolgere la squadra. Di grazia, poi, cosa sperava di ottenere dall'ingresso di Bernardeschi? Perché Bernardeschi gioca in nazionale? Il pareggio, dopo una partita pessima sul piano del gioco e del carattere, contro una squadra che faticherebbe nella nostra Serie B, condanna l'Italia agli spareggi. Sperando che ci vada meglio dell'ultima volta.
lunedì 25 ottobre 2021
George Best: ritratto
Whenever possible, give the ball to George Best (Matt Busby)
Nella frase succitata c'è tutta la storia di George Best, scapricciato e scapigliato talento, tra i massimi della storia del calcio, nordirlandese di estro tipicamente sudamericano, che ridisegnò il football britannico negli anni '60 e che, nel 1972, a 26 anni, già declinava, ostaggio di una vita abbandonata agli eccessi. Sì, perché George Best, e sia detto con il maggior affetto possibile, non possedeva una sola delle virtù tipiche del calciatore modello. Ed aveva un rapporto di dipendenza dalla bottiglia che ne avrebbe affrettato il ritiro dai campi e poi il congedo da questo modo.
Nei cantieri di Belfast lavoravano un sacco di tipi tosti e d'estate si teneva un campionato di calcio in un posto chiamato <<il pollaio>> (George Best, Baldini & Castoldi, 2002)
Cresciuto a Belfast, in una famiglia poco abbiente, il giovane George imparò a giocare per strada, in campetti di fortuna, senza erba, immaginandosi stella dei Wolverampton Wanderers (campioni d'Inghilterra nel 1954 e poi ancora nel 1958 e nel 1959). Aveva classe purissima che non sfuggì agli osservatori e fece il grande salto. Era il luglio del 1961, quando lasciò l'Irlanda del Nord per l'Inghilterra. Quando, due anni più tardi, irruppe da protagonista sulla scena del massimo campionato inglese, anno 1963, con la maglia rossa del Manchester United di Matt Busby e del sopravvissuto alla tragedia di Monaco di Baviera, Bobby Charlton, fu un terremoto. Paragonabile a quello che si verificò, contamporaneamente, nella musica leggera, quando i Beatles, che erano di Liverpool, cominciarono a riscuotere successo. Best giocava all'ala. Ala destra. Veloce, rapidissimo, dribbling fulmineo, ma anche cross tesi e calibrati, tiro secco e, a dispetto di una statura regolare, grande stacco di testa, spesso eseguito con terzo tempo. E finte e tunnel, accelerazioni e sterzate, tutto un repertorio da prestigiatore che, sommato al look sbarazzino, alla battuta mordace e all'aria da conquistatore scanzonato, lo rese anche insostituibile personaggio da copertina. Il quinto Beatle.
Se fossi nato brutto, non avreste mai sentito parlare di Pelé (George Best)
In quel Manchester, che avrebbe vinto il campionato inglese nel 1965 e nel 1967 e la prima storica Coppa dei Campioni nel 1968, oltre all'inglese Charlton, centravanti arretrato e manovriero, c'era lo scozzese Denis Law, mezzala dal tiro tremendo e dalla progressione irresistibile, oltre a molti altri calciatori di personalità. Ma, presto, il faro tecnico della squadra divenne Best, il migliore non solo di nome, quello cui affidare la partita nei momenti solenni, quello delle giocate impossibili, il solista a vocazione anarchica che, con spregio della logica, riusciva a guidare e ad esaltare il collettivo. Non c'erano punti deboli nel suo gioco. All'occorrenza contrastava con durezza e riconquistava il pallone.
Il giocatore perfetto. Può evitare il tackle, entrare duro, accarezzare la palla con entrambi i piedi, passarla corta o lunga, senza sbagliare. (Denis Law)
Nel 1968, il Pallone d'Oro fu assegnato a lui, icona e simbolo di un anno pazzo e iconograficamente rivoluzionario. Giocò per tutta la vita come faceva da ragazzo per le strade di Belfast. Sfidando gli avversari in una ripetizione ossessiva di uno contro uno, dai quali riusciva inesorabilmente palla al piede, la porta sempre più vicina. Non se sono più nati di George Best. Né, penso, potranno nascere nelle scuole calcio contemporanee. L'arte, anche quella calcistica, s'apprende in strada. Per strada. Sempre che uno abbia il talento. E quello di Best era purissimo.
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giovedì 25 marzo 2021
Italia-Irlanda del Nord: 2-0. Berardi, Immobile
Prima partita di qualificazione ai mondiali del 2022 per l'Italia di Mancini. Avversari modesti. Italia a basso ritmo. È Insigne, ormai leader maturo, a illuminare, liberandosi spesso sulla trequarti. Vantaggio firmato da Berardi, cui segue il gol di Immobile, facilitato da un'indecisione del portiere nordirlandese. Discreto primo tempo. Nella ripresa, azzurri troppo imprecisi. Il risultato non cambia.
martedì 18 febbraio 2020
Se ne va Harry Gregg, stella del Manchester United. Salvò Bobby Charlton nel disastro aereo di Monaco
Nella seconda metà degli anni '50, una squadra in Inghilterra svetta sulle altre: due titoli nazionali nel 1956 e nel 1957. Si tratta del Manchester United di Busby, capitanata dal giovane e fenomenale mediano Duncan Edwards, che spaventa gli avversari solo a farsi vedere, per via del suo tackle micidiale. Prende sempre il pallone, ma gli avversari volano via comunque. Il Manchester United viene considerato, all'inizio del 1958, il rivale più accreditato del Real Madrid sulla via della leggenda, per la conquista della terza Coppa dei Campioni. Poi, la tragedia. L'aereo che riportava a casa gli inglesi, dopo il pareggio sul campo della Stella Rossa di Belgrado, fa scalo a Monaco di Baviera. Nella laboriosa fase di decollo, l'aereo si schianta e prende fuoco. Ventitré morti, tra di loro anche Duncan Edwards ed altre future stelle del calcio britannico. Si salva Bobby Charlton, grazie al coraggio del portiere nordirlandese Harry Gregg, alla sua prima stagione a Manchester. Harry Gregg è mancato ieri. Fu eletto miglior portiere dei mondiali del 1958, quelli che rivelarono al mondo il genio di Pelè, in Svezia. L'Irlanda del Nord si fermò ai quarti di finale. Risultato mai più ripetuto. Gregg è stato il più popolare calciatore nordirlandese, prima che irrompesse, sempre al Manchester United, il genio ribelle di Best.
Manchester United nel 1963 |
sabato 25 giugno 2016
Il #Galles di Gareth #Bale ai quarti
Derby del Regno Unito al Galles, che batte di misura l'Irlanda del Nord. Continua la favola di Gareth Bale, un fuoriclasse ma anche il giocatore di maggior personalità, assieme a Sergio Ramos, presente agli Europei 2016.
lunedì 5 maggio 2014
Giro d'Italia 2014, si parte venerdì prossimo da Belfast. Favorito il colombiano Quintana
Dopo lo splendido secondo posto colto al Tour de France 2013 dietro a Froome, il colombiano Quintana sarà al via del Giro d'Italia, che prenderà il via venerdì dall'Irlanda del Nord, con una cronometro a squadre di circa 21 chilometri lungo il tracciato cittadino di Belfast. Quintana è il grande favorito per la maglia rosa finale. Scalatore straordinario, degno ereda di Lucho Herrera, che negli anni '80 fece conoscere la Colombia al mondo del ciclismo, Quintana ha fondo e si difende benissimo anche sul passo, sebbene non arrivi a pesare 60 kg. A contendergli il primato ci sarà il connazionale Rigoberto Uran, secondo al Giro dello scorso anno, assieme allo spagnolo Joaquim Rodríguez, che ha dalla sua forza ed esperienza. Italiani in grado di fare alta classifica non ce ne sono. Il percorso è molto vario, ma, non riesco ad immaginare altri nomi per il podio, per quanto le sorprese siano le benvenute.
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