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giovedì 2 gennaio 2020

Sono 60 anni senza Fausto Coppi

Premetto subito che, fossi stato ragazzo allora, avrei tifato per Bartali e non per Coppi. Per mille ragioni. Premetto anche che considero Bartali, complessivamente, più forte di Coppi, più solido, più continuo, più agonisticamente longevo. Del resto, il confronto tra i due, che molta parte ebbe nell'immaginario collettivo del secondo dopoguerra e ispirò pagine e pagine alle migliori firme del giornalismo europeo, non solo sportivo, fu un confronto piuttosto asimmetrico. Cinque anni di differenza, come ho già ricordato una volta, sono per solito molti nello sport. Si osservi soltanto che Bartali vinse la sua ultima grande corsa a tappe nel 1948, il Tour de France, a 34 anni, soglia biologica fatidica nelle gare ciclistiche di tre settimane. Lo stesso fu per Coppi, vincitore dell'ultimo Giro d'Italia nel 1953, proprio a 34 anni. E con ciò voglio dire che il miglior Coppi, che si vide a far tempo dalla doppietta inedita Giro/Tour del 1949, ebbe come avversario un Bartali che già declinava, pur restando capace di grandi imprese e secondo proprio a Coppi in quelle due magnifiche corse. Diversi, diversissimi, Coppi e Bartali, passista scalatore il primo, scalatore puro, autentico grimpeur il secondo, temperamenti opposti. Premesso tutto questo, Coppi, scomparso tragicamente il 2 gennaio del 1960, esattamente 60 anni fa, è la storia del ciclismo. Possiamo ben dire che il ciclismo è Fausto Coppi, anche Fausto Coppi. Come è stato ed è Gino Bartali e pochi altri grandissimi delle due ruote. La morte precoce ha donato, poi, a Coppi un'aureola leggendaria, i cui contorni erano già stati disegnati dalle sue fughe impossibili, dai suoi trionfi solitari, cui facevano da umano contraltare crisi improvvise, anche di fiducia, annate balorde, il 1950, il 1951, del ciclista più letterario dell'epoca moderna. La sua uscita di scena fu improvvisa e imprevista. Eppure, in un certo senso, tempestiva. L'epoca d'oro del ciclismo si avviava al tramonto. Un tramonto lungo ancora 15, 20 anni, certo, ma il sole si stava abbassando. I mondiali di calcio del 1958, trasmessi in diretta televisiva, avevano segnato il sorpasso del calcio. L'Italia non andava più tutta in bicicletta. Proprio nel 1960 sarebbe stata inaugurata l'Autostrada del Sole. Irrompeva la modernità. Nel costume, nella musica, gli urlatori contro il bel canto melodico, gli elettrodomestici s'installavano nelle case di città, presto i volti arcaici dei ciclisti avrebbero iniziato a stridere con i colori dei nuovi tempi. Coppi salutò la compagnia mentre tutto questo iniziava. Facendosi subito storia. La grande storia del ciclismo.

lunedì 10 giugno 2019

Roland Garros 2019: titolo n. 12 per Nadal. Ma, Federer è più forte

Si è scatenata la stampa amica di Nadal. E posso capirlo. Ha battuto di nuovo Thiem, nella finale del Roland Garros 2019, portando a 12 (diconsi dodici) la sua collezione di titoli nello Slam parigino. Qualcosa di mai visto. E, è facile pronosticarlo, irripetibile. Anche Aldo Cazzullo, sul Corsera, gli ha dedicato un fondo pieno di ammirazione, giungendo persino ad indicarlo siccome il maggior sportivo della storia. Non sono d'accordo. Ora, la carriera di Nadal è eloquente. Un posto di vertice nella storia del tennis gli spetta. Ma, Federer e, secondo me, non solo Federer, è stato più forte. Per tocco, sensibilità, varietà di colpi ed eclettismo. E tutto questo innestato su di un fisico normale, anni '60, mi verrebbe da dire. Tanto che gli osservatori più acuti e agées non hanno esitato a immaginare Federer in un confronto con i grandi del passato, da Donald Budge a Rod Laver. Nadal, no, Nadal è contemporaneo, ha una complessione fisica da pugile, se non da culturista. La stessa resistenza di Borg, ma molti muscoli in più. Che qualche volta l'hanno tradito, per via delle sollecitazioni inflitte a tendini e cartilagini. Non ha, Nadal, un solo colpo davvero memorabile. Per quanto sia forte in ogni fondamentale. Il problema, è stato detto, è che con lui il punto va fatto tre volte. E non sempre basta. Perché ha gambe uniche, compie recuperi prodigiosi, scivola in allungo, specialmente sull'amata terra rossa, anche dopo tre ore di gioco. E non molla. E detesta la sconfitta. Ricordate la sua faccia dopo la scoppola ricevuta da Fognini in semifinale a Montecarlo
Federer è diverso. Da lui e da tutti. La naturalezza del suo gioco disarma. Quel che gli è sempre mancato è la cattiveria agonistica, così intensa nel rivale maiorchino. Ma, Federer sa far tutto e tutto magnificamente, tanto che spesso gli è accaduto di restare indeciso su cosa fare, essendogli tutto permesso da un talento unico. La verità è che quello tra Federer e Nadal è un confronto asimmetrico. Perché ci sono cinque anni di differenza tra i due. Come ce n'erano tra Bartali e Coppi. Cinque anni che in uno sport individuale, e il tennis è più individuale del ciclismo, sono tantissimi.