Lo stratega ha finito la scorta. Di buona sorte. Cambia, cambia, si finisce per andare in confusione. Che assurdità aver schierato Montoya al posto di Santon recuperato, aver tenuto fuori il più in forma, Brozovic, aver creduto, insieme a qualche incompetente solone della stampa amica, che il primato in classifica fosse il frutto delle intuizioni del tecnico, della rotazione esasperata dei giocatori. Ma quando mai? La Lazio risorge contro un'Inter dimessa, che tira in porta dopo un'ora. E segna pure, con Icardi, che pareggia il gol di Candreva. Poi, un altro pupillo di "chioma fluente", Felipe Melo causa un rigore, chi l'avrebbe detto?!, e si fa cacciare. Candreva segna ancora sulla ribattuta di Handanovic. Tutta colpa di Mancini, il vero limite, lo scrivo da mesi, di una squadra che, viste le avversarie, potrebbe anche vincere lo scudetto. E lo vincerebbe. Se non ci fosse Mancini alla sua guida. Con i suoi pregiudizi, le sue piccole vendette contro i calciatori che gli rispondono a tono, la sua ossessiva ricerca di distinzione. Come si può pretendere che il gioco scorra con due mediani come Medel e Melo: uno, Medel, basta ed avanza. Biabiany ha grandi limiti, spiegati da quanto corre. Ma, che corre a fare? Il piede resta quello. Ma tutto questo Mancini, come l'Alice di De Gregori, non lo sa. Dimenticavo: Montoya se ne torni a Barcellona.