Succede da anni, qualche volta dopo, sì, ma succede da anni. Ad un certo punto della Champions League, c'è l'Italexit. Resta inteso poi, che l'eliminazione dell'Inter, addirittura quarta nel suo girone, sia stata pesante, come, quasi allo stesso modo, quella della Juve contro il Porto: i bianconeri hanno un monte ingaggi spropositato e Cristiano Ronaldo eppure, come lo scorso anno contro il Lione, sono stati eliminati da un avversario pacificamente più debole. Diverso il discorso per Atalanta e Lazio, uscite contro due squadre più blasonate e più ricche tecnicamente come Real Madrid e Bayern Monaco. Resta, tuttavia, la difficoltà internazionale del calcio italiano. L'ultimo titolo europeo rimane la Champions League dell'Inter del 2010. Anche la nazionale è reduce da due eliminazioni al primo turno ai mondiali (2010 e 2014) e persino dalla mancata qualificazione a quelli russi del 2018. E non ne farei, come certi pretesi esperti, una questione di ritmo. Che sarebbe più basso nelle nostre squadre e in serie A. Non è quello o non è tanto quello il problema. Che considero invece tecnico. La qualità offensiva latita, il dribbling è uno sconosciuto, il tiro da fuori una rarità. Il calcio italiano oggi è un calcio minore. Come gli capitò di essere negli anni '50. Succede, può succedere. Speriamo che non duri. Dalla mediocrità degli anni '50 si uscì attraverso una rivoluzione tattica, il perfezionamento del calcio di rimessa poi detto all'italiana, e con la fioritura, quella mai prevedibile, di campioni assoluti come Rivera, Facchetti, Mazzola, Riva. Campioni di quel livello - tolto, potenzialmente, il solo Zaniolo - non se ne intravedono oggi, pur essendoci giovani buoni calciatori; tatticamente, invece, non riconosco grandi novità. Giochiamo come gli altri, in Europa. Solo che loro lo fanno meglio. E con interpreti mediamente migliori. E perdiamo.