E' ormai il segreto di Pulcinella, nel senso che da anni, vedendo e rivedendo le sue mirabilia sul tartan, tutti hanno imparato a contare i passi di Bolt: sui 100 sono in genere 41. Tre, quattro, alle volte cinque in meno di quelli impiegati dai rivali per coprire la medesima distanza. Le sue lunghissime leve gli permettono un'amplissima falcata, di qui il minor numero di passi ed una supremazia che, nella velocità, dura ai massimi livelli dal 2008. Anche in questi mondiali di Pechino, se n'è ricevuta conferma. Beninteso, non è soltanto una questione di passi. Nella finale odierna, sui 200 metri, che Bolt ha dominato in 19"55, è stato possibile ammirare anche la sua grande elasticità, la corsa fluida, spontanea, quasi rotonda, mentre Gatlin, il grande rivale sconfitto, spingeva con tutta la forza del mondo, sprecando il doppio delle energie del giamaicano. Bolt, del resto, è più alto di una decina di centimetri. Finché la schiena, perciò più sollecitata, gli reggerà, agli avversari non resterà che correre per la piazza d'onore. Insomma, quello che in passato era considerato un limite per i velocisti, l'alta statura, è stato trasformato da Bolt, 1,96 metri, in un formidabile punto di forza. Jesse Owens, che stupì il mondo e tramortì Hitler alle Olimpiadi di Berlino del 1936 era alto 1,78 metri. Per venire a tempi più recenti, Maurice Greene, oro mondiale sui cento ai mondiali del '97, del '99 e del 2001, era appena un 1,76 metri. Lo stesso, immenso, Carl Lewis, che invece era alto eccome, 1,88 metri, cede a Bolt ben otto centimetri. Per anni si è creduto che gli atleti più piccoli e compatti fossero avvantaggiati dalla maggior frequenza di passi, tale da colmare la minor ampiezza della falcata. Bolt ha stravolto questa, peraltro ragionevole credenza. Falcata ampia ed alta frequenza allo stesso tempo, un equilibrio quasi perfetto. Ed il lunghissimo dominio che sappiamo.
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