Una prova di superiorità imbarazzante, per gli avversari ma, anche, bisogna ammetterlo, per se stesso, quella offerta dal britannico Froome sul Mont Ventoux, cima mitica di Francia, dove si è ormai deciso il Tour de France 2013: nel giorno della presa della Bastiglia, festa nazionale dei francesi. Sul paesaggio lunare, fatale tanti anni fa al povero Simpson, con un sole incombente e spietato, il miraggio di una vegetazione soltanto da immaginare, le sferzate del Mistral e gli echi dei versi del Petrarca, che del monte calvo s'innamorò ai tempi suoi, Froome ha sbaragliato la concorrenza. Due accelerazioni violentissime, la prima per stroncare le speranze di Contador, la seconda per riprendere e staccare il rampante Quintana, che ha dovuto rinunziare anche al successo di tappa. Le gambe mulinate a delle velocità impensabili, una frequenza di pedalata superiore ai cento colpi al minuto. Il volto smagrito e privo di espressione. Sembrava Armstrong, ma era Froome. Maglia gialla sempre più gialla. Una vittoria epica. Ma i sospetti di doping, prima sussurrati, ora si strillano per le strade di Francia e sui giornali di tutto il mondo. Si scomoda la medicina, si studiano le prestazioni. Eppure nessuno può, oggi, dire alcunché di sensato. E' doping? Fino a prova del contrario, no. Ma, piuttosto, impresa solenne, da raccontare fra 50 anni, come avrebbe saputo fare qualche suiver del secondo dopoguerra. Il sospetto, però, resta, infido, beffardo. Si nutre di tutte le cadute di corridori creduti campioni, che invece baravano. Ed allora, come in un post di qualche giorno fa, torno a chiedermi: è vera gloria quella di Froome?