Hanno inventato il tennis moderno. Si gioca da loro, a Wimbledon, sull'erba, il torneo più antico e prestigioso e affascinante, eppure gli inglesi da quasi cento anni occupano una posizione di retroguardia nel tennis. Se andaste a consultare le statistiche, scoprireste che i tennisti inglesi, meglio britannici, hanno conquistato il torneo di Wimbledon per 37 volte. Più di tutti. Seguono gli statunitensi, con 33 vittorie e gli australiani, con 21. A guardar meglio, però, si osserva che i britannici hanno conquistato le prime 31 edizioni del torneo, dal 1877 al 1906. Nel 1907, il primo successo straniero dell'australiano Bookes. Poi, ancora due successi britannici, con Arthur Gore, nel 1908 e nel 1909, prima di un lungo digiuno durato sino alle tre affermazioni consecutive di Fred Perry nel 1934/35/36. Perry, capace di completare il Grande Slam, sia pure in stagioni diverse, rimase a lungo l'ultimo grande campione britannico. Dopo di lui, per parafrasare Luigi XV le deluge. Tim Henman, a cavallo tra i '90 e i primi anni 2000 aveva recitato da protagonista, ottenendo vittorie importanti, ma a Wimbledon si era fermato, per quattro volte, in semifinale. Fu necessario aspettare Andy Murray, capace di rivincere a Wimbledon dopo 77 anni, nel 2013. Tramontata la stella di Murray, il tennis d'Albione è tornato al piccolo cabotaggio. Mentre scrivo, il tennista britannico meglio classificato è Cameron Norrie, trentesimo nel ranking Atp. Come si spiega questa crisi di risultati da parte degli inventori del tennis che conosciamo?