Per spiegare la dimensione planetaria del fenomeno Pelé, Edson Arantes do Nascimento in arte Pelé, nato il 23 ottobre del 1940, mi servirò di un piccolo episodio dei tempi di scuola. Frequentavo, la terza, o la quarta?, elementare e sul sussidiario m'imbattei in una pagina che raccontava, con parecchia enfasi, il millesimo gol di Pelé, segnato in Brasile nel 1969. Un calcio di rigore trasformato con sapienza, l'attesa dei tifosi, la pacifica invasione del campo. Stava già sul sussidiario, Pelé, quello unico delle elementari dei primi anni '80. Era, credo di ricordare, il 1983. Pelé aveva smesso di giocare da sei anni, aveva solo 43 anni e già compariva sui libri di scuola. Già aveva scavalcato il recinto dello sport, per insediarsi nell'immaginario collettivo. In realtà, Pelé era diventato subito leggenda, dai mondiali svedesi del 1958, quando con sei gol, alcuni meravigliosi, contribuì, non ancora diciottenne, alla conquista del primo mondiale per i brasiliani. Quale straordinario giocatore fosse, credo che qualunque appassionato di calcio abbia potuto leggerlo ed anche vederlo nelle immagini di repertorio sgranate dal tempo. Prodigio di coordinazione, forte, veloce, rapido, ambidestro, tecnico, fantasioso. Eccellente in tutti, e dico tutti, i fondamentali del gioco. Se il numero 10 divenne un simbolo del gioco del calcio fu perché era il suo: prima tutti i ragazzi desideravano il 9 del centravanti. Tre mondiali vinti, come mai nessuno prima e dopo di lui. Icona degli anni '60, anche se il vertice del rendimento e della maturità tattica ed agonistica lo raggiunse a Messico 1970, annettendosi il terzo mondiale dentro il contesto di una squadra illogica - 5 numeri 10 assieme, ma il 10, va da sé, sulle spalle - ed irripetibile. Il secondo, quello del 1962 in Cile, il Brasile l'aveva invece conquistato quasi senza di lui, presto infortunato e sostituito da Amarildo. Non lo considero il migliore della storia, Pelé, solo perché poi venne Maradona.