Strappato alla vita da un tremendo, quanto banale incidente aereo. In una fredda notte del febbraio 1958. A Monaco di Baviera, dove un aereo charter era atterrato, per sosta tecnica, prima di ripartire per l'Inghilterra. Trasportava il Manchester United di Matt Busby, proverbiale allenatore scozzesse, che stava allestendo la squadra più forte del mondo. Di ritorno da Belgrado, con la qualificazione alle semifinali della terza Coppa dei Campioni, che avrebbe vinto il Real Madrid sul Milan di Liedholm e Schiaffino. Tutto finì quella sera di febbraio. Anche la carriera di Duncan Edwards, il più forte dei ragazzi allenati da Busby, già protagonista degli ultimi due campionati vinti con il Manchester, 1956 e 1957, già colonna della nazionale inglese, già capace di strappare ad uno come Stanley Matthews predizioni di una carriera leggendaria. Non aveva ancora compiuto 22 anni Duncan Edwards, centrocampista universale, dal fisico imponente, dal tackle perfetto, ambidestro, commander in chief del gioco. Bobby Charlton, che da quella tragedia si salvò miracolosamente, suo amico fraterno, ne avrebbe sempre parlato come del miglior giocatore mai visto. Charlton, sempre con Busby in panchina, e Denis Law e George Best, dieci anni dopo, la Coppa Campioni sarebbe riuscito a vincerla, dopo i mondiali conquistati in patria due anni prima. Duncan Edwards, invece, per via di un destino cinico e baro, per indulgere alla felice espressione coniata da Saragat, fu fermato mentre la sua stella calcistica cominciava a splendere. Eppure, se a quasi 60 anni da quella Superga inglese, in terra tedesca, Duncan Edwards fa ancora parlare di sé, beh, allora, vuol dire che il suo talento, quella forza fisica senza riscontri, tolto forse Luisito Monti, quei palloni strappati con facilità irrisoria, i lanci a tagliare il campo, il tiro da sberla, erano davvero fuori dal comune. Chissà cosa avrebbe potuto fare, se quell'aereo, invece di schiantarsi sulla pista di Monaco, fosse riuscito ad alzarsi in volo.