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lunedì 29 aprile 2019

Storia del ruolo del libero: il catenaccio

  1. Il catenaccio è, oggi, il più disprezzato e incompreso sistema di gioco nel calcio. Eppure ha dato frutti copiosissimi, specialmente alle squadre italiane. Nato in Svizzera, negli anni '30, dietro l'intuizione del tecnico austriaco Karl Rappan, che tolse uno dei tre attaccanti, per aggiungere un battitore libero, che agisse dietro i difensori, rimediasse ai loro errori, sapesse leggere le traiettorie e spazzasse l'area di rigore, il catenaccio fu perfezionato in Italia, da Viani, alla Salernitana. Per raggiungere vette di eccellenza con Nereo Rocco, al Milan, ed Helenio Herrera, all'Inter, che vi si convertì dopo essere giunto in Italia con la fama di spregiudicato offensivista: il suo Barcellona, illuminato dal genio di Suarez, che poi volle all'Inter, e Kubala, faceva gol a grappoli e batteva in campionato il Real Madrid delle cinque Coppe dei Campioni consecutive. Capì, da noi, quanto importante fosse la difesa e, più ancora, la fase difensiva. L'Italia, di Coppe dei Campioni, se ne aggiudicò quattro negli anni '60, 2 con il Milan e 2 con l'Inter, con squadre attrezzate per difesa e contropiede, sebbene anche ricche di estro e di giocatori estrosi. E il catenaccio, che nel libero aveva la propria pietra d'angolo, divenne decisivo e proverbiale e, secondo alcuni, Brera su tutti, didascalico di una vocazione nazionale.
  2. Il libero, dicevo, è stato, checché ne dica la vulgata dispregiativa, una delle ultime grandi invenzioni della tattica calcistica. Armando Picchi fu il primo grandissimo interprete del ruolo. Studiato dappertutto, come dappertutto fu studiato il modo di giocare di Facchetti, primo terzino sinistro capace di attaccare come un'ala e di segnare come un centravanti. Picchi aveva a lungo giostrato da terzino, con esiti buoni ma non memorabili. Divenuto libero, il suo carisma, la sua acutissima intelligenza calcistica, la sua innata capacità di posizionarsi dove il pallone sarebbe finito o potuto finire, la sua pulizia di battuta, ne fecero il perno della Grande Inter, capace di resistere indenne agli assalti dei migliori attacchi del tempo. I tedeschi, che criticano gli italiani, ma nel fondo li ammirano fino alla gelosia, furono i primi in Europa ad abbracciare la nuova filosofia. Franz Beckenbauer, ch'era stato centrocampista grande, divenne libero sommo. Conferendo al ruolo le peculiarità della sua maestria tecnica e della sua esuberanza atletica. Non solo chiudeva in ultima battuta, ma usciva dalle situazioni più intricate palla al piede, lanciava o scambiava con i centrocampisti, spesso arrivando a liberare il suo gran tiro. Elegante e comandante. Il Kaiser. E nacque il libero alla tedesca. Stielike e Sammer avrebbero giocato come lui. Nati centrocampisti. Anche Schuster, Thon e Matthaus avrebbero chiuso la carriera da liberi. Alla tedesca. La rivoluzione di Beckenbauer avrebbe ispirato un'interpretazione più offensiva del ruolo anche in Italia. Scirea, tecnicamente superiore, Franco Baresi ma anche Graziano Bini sarebbero stati liberi eleganti e primi registi della squadra. Nello stesso periodo, in Argentina, Daniel Passarella, al netto delle durezze tipiche del suo calcio, avrebbe fatto il libero a quel modo, grazie ad un sinistro chirurgico. Ancora ai mondiali del 1982, tanto per dire, le punizioni erano una sua privativa, sebbene con lui giocasse il giovane Maradona. Stesso di discorso per il cileno Figueroa, leader della difesa e della squadra, uno dei migliori giocatori del mondo in assoluto degli anni '70, e per Krol, che nato terzino sinistro nell'Ajax e con l'Olanda, da libero incantò nella seconda parte della carriera e fu un idolo della tifoseria del Napoli nei primi anni '80.
  3. Il catenaccio entrò in crisi alla fine degli anni '80, con il sacchismo, avendo invece resistito alla rivoluzione del calcio posizionale degli olandesi degli anni '70. Si passò alla difesa a zona, all'affollamento in mezzo al campo, al fuorigioco sistematico, al fallo tattico, al pressing ossessivo. Soprattutto, si abdicò al calcio verticale. Ed entrò in crisi anche il ruolo di libero. Come entrò in crisi il ruolo del n. 10, del giocatore di classe e fantasia, di cui non si tolleravano più le pause. I calciatori si trasformarono in qualcosa di molto vicino ai culturisti. Diminuì la cifra tecnica complessiva. Il gioco si velocizzò moltissimo. L'ultimo esempio di grande libero vincente, fu, nell'Inter di Simoni, Beppe Bergomi: lo storico capitano nerazzurro già grandissimo terzino destro-marcatore, che si era disimpegnato anche a sinistra, con Hodgson, e da stopper, all'occorrenza, divenne il perno difensivo di una squadra, illuminata dal talento futurista di Ronaldo da Lima, capace di vincere la Coppa Uefa e di sfiorare uno scudetto, che, sul campo, avrebbe meritato: anno di grazia 1998.