"Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi" (Mario Ferretti)
Il 10 giugno del 1949 erano passati nove anni dalla dichiarazione di guerra dell'Italia di Mussolini, poco più di quattro dalla fine di quel tragico conflitto. La Repubblica aveva tre anni di vita, Luigi Einaudi ne era il presidente, mentre il capo del governo era il democristiano Alcide De Gasperi. L'Italia si stava ricostruendo. Il Grande Torino era scomparso il 4 maggio nella tragedia di Superga, lasciando stupore e sgomento. Sulle strade del Giro d'Italia, Fausto Coppi e Gino Bartali, che già da tempo animavano la più bella e straordinaria rivalità della storia dello sport, si contendevano il successo finale. La diciassettesima tappa partiva da Cuneo e giungeva a Pinerolo, lungo 254 km disseminati di salite proverbiali: il Colle della Maddalena, il Col de Vars, l'Izoard, il Monginevro e il Sestriere. Coppi andò in fuga e stravinse. Di lì a poco, precedendo Bartali e Cottur, Coppi si sarebbe annesso anche il terzo Giro d'Italia della carriera, dopo quelli del 1940 e del 1947, eguagliando Bartali, che avrebbe poi superato, nei successi ma non nel valore, con le vittorie del 1952 e del 1953. Oggi, dopo quasi 70 anni, manca una manciata di giorni all'anniversario di quella mitica tappa, si correrà di nuovo la Cuneo-Pinerolo, meno chilometri, meno salite, arrivo in pianura dopo una discesa tecnica. Campioni del calibro di Coppi e Bartali, io ai tempi avrei tifato per Bartali, non ci sono più. Soprattutto, l'Italia non va più in bicicletta come faceva allora. Tuttavia, la suggestione di una Cuneo-Pinerolo agisce da sola.