Le nazionali presenti ai mondiali d'Uruguay del 1930 giocano quasi tutte con il "metodo", atteso che il "sistema", escogitato da Chapman, allenatore dell'Arsenal, è una privativa ancora inglese. Davanti al portiere due terzini, sulle fasce, spostati qualche metro più avanti due mediani, grosso modo corrispondenti ai laterali dei tempi nostri, nel mezzo un centromediano, detto appunto metodista, chiamato a marcare il centravanti avversario, ma, anche a cominciare l'azione, di solito dotato di una grande battuta, due mezzali a costruire il gioco, una di regia, l'altra di corsa e raccordo, due ali ed un centrattacco possente. Si conoscono variazioni sul tema, ma, nella sostanza tutti giocano alla stessa maniera. Non un grande spettacolo al primo mondiale, viste le tante assenze. Tredici squadre in tutto, distribuite in tre gironi. In semifinale, l'Argentina sconfigge gli Stati Uniti, l'Uruguay supera la Jugoslavia. Con identico, perentorio, punteggio: 6-1. Va in scena uno dei tantissimi derby del Rio de la Plata, il fantastico estuario formato dal fiume Paranà e dal fiume Uruguay, che "no es un rio, es un cielo azul que viaja". In finale, prevale l'Uruguay delle stelle Andrade e Scarone, che è ancora lo squadrone che ha dominato gli anni venti, 4-2. Il capocannoniere del torneo, con otto reti, è invece l'argentino Stabile. Senza grandi clamori, questo è l'inizio di un'avventura straordinaria. Quattro anni dopo, sarebbe toccato all'Italia di ospitare i campionati del mondo di calcio, in nome di un'alternanza tra Europa e Sudamerica, che raramente sarebbe stata interrotta, prima che gli affari prendessero il sopravvento sul gioco (1^ puntata).
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