Mi sono concesso qualche giorno di riflessione, prima di commentare la terribile notizia dei casi di doping, che si è abbattuta sull'atletica giamaicana, forse troppo frettolosamente indicata negli anni recenti come limpido esempio di sport pulito, popolare, musicale. Pollo fritto e musica reggae. Sì, forse, ma anche, abbiamo dolorosamente scoperto, doping, imbroglio, sofisticazione, maneggio. Colpiti, fra gli altri, Asafa Powell, il più continuo sprinter di tutti i tempi, capace di abbattere per 81 volte in carriera la soglia dei 10" nei 100 metri piani. Mai un do di petto nelle grandi competizioni internazionali, ma una continuità di rendimento che sembrava metterlo al riparo dal sospetto di aiuti illeciti. La longevità agonistica è, con la continuità di risultati, da sempre considerata se non una prova, almeno un forte indizio di pulizia di un atleta. Per carità, bisogna attendere le cosiddette controanalisi. Ma, insomma, Powell ed anche Carter, non l'ultimo arrivato della velocità, pare proprio che barassero. Ed è una brutta notizia. Perché, reggae o non reggae, anche in Giamaica, dove la vita scorre lenta e lontana dalle tentazioni dei paesi ricchi e panciuti, l'uomo fatica ad accettare i propri limiti. Certo, con il senno di poi, i deltoidi di Powell, gonfi a dismisura, qualche sospetto potevano anche autorizzarlo. Ma, il senno di poi, si sa, è una scienza tanto esatta quanto inutile. Spero soltanto di non sentir mai il nome di Bolt accostato al doping. Sarebbe veramente troppo.