Nasce, nel maggio del 1967, a Gateshead, nord dell'Inghilterra, a poche miglia dal Vallum Adriani, Paul Gascoigne, detto "Gazza", il più geniale, incontrollato, bizzarro ed artistico calciatore della sua generazione. Uno che ha disseminato la sua carriera, pure contrappuntata da successi e prodezze, di rimpianti e delusioni come pochi altri nella storia del calcio. Un precoce rapporto di dipendenza dalla bottiglia ne ha minato, sul campo, il rendimento, che pure ha saputo attingere soglie vietate a tutti gli altri. Che giocatore era Gascoigne? Era inglese, certo e fino in fondo, una mezzala potente ma agile, che affondava con durezza i contrasti, si esaltava nella battaglia della terra di mezzo, sguazzava nel fango provocato dalle piogge copiose d'Albione già a metà degli anni '80. Ma aveva, altresì, estro sudamericano, tecnica insolita, un'indipendenza di gambe alla Tomba dello slalom speciale, che gli permetteva d'insinuarsi e sgusciare tra due, tre quattro avversari. E un cambio di passo mai più osservato. La capacità di accelerare rabbiosamente, a scarti progressivi, anche tre volte nel corso della stessa azione. Immarcabile. La stessa centralità del gioco di un Kubala o di un Bochini, ma con più forza del primo, che era pure granitico, e più classe del secondo, che pure era sontuoso. Allenandosi poco e male, sbronzandosi sempre, gli ho visto fare delle giocate pazzesche. L'Inghilterra, sempre parca di affermazioni nelle grandi competizioni internazionali, dopo la vittoria del mondiale casalingo del 1966, cui seguì il terzo posto del 1968 agli Europei d'Italia, alzò la testa altre due volte, sempre guidata da Gascoigne: quarto posto a Italia '90, semifinali agli Europei di casa del 1996. Sempre perdendo in semifinale, sempre dalla Germania, prima Ovest poi riunificata, sempre ai rigori. Fu un grande errore non portare Gascoigne, che stava vivendo una seconda giovinezza ai Rangers Glasgow, a Francia '98. Gascoigne fu frenato nella sua corsa al titolo di miglior giocatore del mondo da un terribile infortunio. Prima di arrivare alla Lazio, voluto da Calleri. In Italia, si vide poco del suo talento. Eppure, ricordo una sfida di Coppa Italia contro il Torino, quando partiva palla al piede, pur zavorrato dalla pancia del bevitore, dava la sensazione, maradoniana, di poter fare qualunque cosa. Si fece male di nuovo, andò in Scozia, come dicevo. Poi, si ritirò. Sregolatissimo ma fortissimo. Quanto a talento, secondo a pochi. Davvero pochi.