Continua a fare rumore la lite tra Totti e Spalletti, tutti ne parlano, tutti ne scrivono. Questa mattina il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Pierluigi Battista, nel quale compaiono vecchi luoghi comuni intorno a Roma, piuttosto che intorno alla Roma. La pigrizia, il cinismo, il neghittoso disincanto, sarebbero i mali che il toscano Spalletti, emarginando Totti, vorrebbe curare. Questa ricostruzione non mi pare granché convincente. La Roma, nonostante l'aria di Roma, la storia millenaria della "città eterna", con Totti ha anche vinto. Quando ha potuto. Quando ha avuto la squadra più forte. E non si dica che fu soltanto merito di Batistuta, peraltro immenso centravanti. Quella Roma aveva sì Batistuta, ma anche Totti, soprattutto Totti, e Montella e Cafu ed Emerson e Samuel, il miglior Tommasi, ed un allenatore come Capello. E vinse. Poi ha sfiorato molte volte la vittoria, ma che c'entra la romanità? Che c'entra Totti, con le mancate vittorie? Nel 2010, quando il titolo sfumò contro la Sampdoria di Delneri, poi quarta in campionato, Totti segnò il gol del vantaggio, cui seguì la doppietta del miglior Pazzini mai visto in carriera, innescato da un grande Cassano. E lo scudetto andò all'Inter del triplete. Non andrei, nell'affaire Totti-Spalletti, alla ricerca di spiegazioni troppo remote. Spalletti imputa a Totti il suo esonero del 2009 e ne soffre il carisma. E' accaduto tante volte nella storia del calcio. Totti non pretende di giocare sempre titolare. Accetta la panchina. Vuole soltanto continuare a giocare, perché sa, ed il campo l'ha ultimamente confermato, di poter ancora fare la differenza. Perché va bene la corsa. E l'interdizione e la tenuta. Ma, il calcio è anche tocco sapiente, visione del gioco, lancio e tiro, inventiva. Il resto è chiacchiera sterile. Non c'entrano i sette colli e non c'entra il ponentino. E nemmeno il Marchese del Grillo.
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