L'Italia fuori dai mondiali e i lamenti della stampa
L'Italia non sarà ai mondiali del Qatar. Sì, d'accordo, fa una certa impressione che sia il Qatar ad ospitare la massima rassegna internazionale del gioco del calcio, ma tant'è. Ora, è ripartita la polemica sulle primavere zeppe di stranieri, sulla mancata selezione dei talenti. Ne scrivevo anni fa, raccontando la scomparsa del calcio di strada e la deriva mercantile e bocconiana delle scuole calcio. Tutto vero. Ma l'inizio della fine va rintracciato nei primi anni '90, tempi di sacchismo imperante. Tutto è iniziato allora. Quando, per fortuna, Del Piero e Totti erano già approdati in Serie A. Dopo, la scelta di atleti con le spalle quadrate come i piedi si è imposta. Il talento è stato emarginato o confinato sulle fasce. Le nozioni tattiche sono state preferite a quelle tecniche. Perché, diciamoci la verità, Foden e Mount, con i loro fisici anni '70, da noi non giocherebbero. E sarebbero ritenuti troppo gracili. Si è rovesciato il mondo. E l'Italia calcistica ha perso la propria natura. I portieri hanno fondamentali modesti dopo essere stati per decenni i fari del ruolo. Sì, anche Donnarumma, che pure ha qualità, ma non sa posizionarsi. I difensori non sanno più marcare a uomo. E a centrocampo, tutti corrono, corrono, corrono, ma oltre il cambio di campo non vanno e un cross ben fatto è una rarità, per tacere del dribbling, questo sconosciuto. Si attacca di squadra, da dietro, avanzando lentamente e passando più indietro che avanti, come nel rugby, e correndo rischi cospicui. Anche la fatica è doppia, quando a correre non sia il pallone. La tattica è bella ed è l'unica possibilità per i più deboli. Ma, noi siamo più deboli perché scegliamo male. I più forti non li arruoliamo. E i più forti sono quelli che, il pallone, sanno giocarlo.
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