Sta uscendo, di fatto, a puntate la biografia di Zlatan Ibrahimovic, come un romanzo di appendice del diciannovesimo secolo. Già trovo singolare che, a soli 30 anni, si voglia scrivere un'autobiografia, esercizio letterario che andrebbe lasciato per il crepuscolo dell'esistenza. Meno ancora mi piace che si dia risalto alle prodezze (!?) extrasportive del centravanti svedese, che rompe il tabù dello spogliatoio, raccontando nei dettagli litigi, incomprensioni, diverbi e persino risse, di cui forse avrebbe fatto meglio a tacere. Qual è lo scopo? Non credo che, dopo aver letto la storia della sua vita, Ibrahimovic riuscirà più simpatico. Anzi, è probabile che accada il contrario. Peraltro, a ben vedere, gli aneddoti della sua carriera si somigliano tutti: scoppi di malumore, sfuriate, esagerazioni, sempre la solita storia. Insomma, chissenefrega! E, comunque, è un fatto che, lasciata l'Inter, l'Inter ha vinto la Champions. Come ha fatto l'anno dopo il Barca. Il punto saliente, per restare al calcio, è questo. Non l'incompatibilità con il gruppo dell'Inter o con Guardiola.
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