"Il calcio è come un pianoforte: otto persone lo caricano in spalla e tre sanno suonare quel dannato strumento". (Bill Shankley)
La forza dell'Ajax, dell'Ajax nella storia del calcio, non solo di quello che ieri ha messo sotto la Juventus per gran parte della partita, sta nella contraddizione di questo celebre aforisma coniato dal leggendario allenatore del Liverpool. Tutti i giocatori dell'Ajax, con la sola eccezione di Tagliafico, sanno suonare il pianoforte, sanno giocare a calcio, ne conoscono tutti i fondamentali. Per questa ragione, sembrano correre, e corrono in effetti, più degli altri. E si scambiano le posizioni in campo e governano il gioco, presidiando tutti gli spazi. Li avete visti ieri sera? Tutti, da Blind in su, erano capaci di stop eleganti con il petto, come i brasiliani degli anni '50, quando però il pressing era sconosciuto, tutti sapevano staccare di testa, tutti riuscivano, all'occorrenza, a dribblare, a passare, con entrambi i piedi. Tutti i lancieri avevano un'idea di come si sarebbe sviluppata l'azione che, di volta in volta, cominciavano. Un solo limite ho creduto di ravvisare in questo Ajax, oltre ad un certo difetto di esperienza. La lentezza nel battere a rete. Soprattutto, in area di rigore, quando, per troppo compiacimento dei propri mezzi tecnici, cercavano il dialogo, quando sarebbe servito il monologo. Un tiro, una botta secca, improvvisa. Quello dell'Ajax è stato un grande discorso calcistico, privo, però, delle necessarie esclamazioni. Un corteggiamento troppo romantico del gol.