Mai avuti i soldi delle squadre spagnole, delle squadre italiane o di quelle inglesi. Epperò l'Ajax, da 50 anni, come un fiume carsico, scava periodici solchi vittoriosi nel calcio europeo. Con delle pause inevitabili, perché i campioni li cresce in casa, oppure li va a cercare in campionati minori, quello danese su tutti. Compatibilmente con un portafoglio mai traboccante. Dopo la generazione d'oro di Cruijff e Neeskens, i lancieri di Amsterdam tornarono a vincere in Europa dopo un paio di lustri, nel 1987 in Coppa delle Coppe, quando tornarono ad avere fuoriclasse: Van Basten e Rijkaard e giocatori di valore come Winter, Wouters, oltre al giovane Bergkamp, con il quale avrebbero conquistato anche la Coppa Uefa del 1992. Poi, a metà degli anni '90, hanno ritrovato la forza di issarsi sul tetto d'Europa, ancora con giovani del vivaio, dai gemelli De Boer a Kluivert, da Seedorf a Davids fino al finlandese Litmanen: provate voi a scovare un campione in Finlandia! L'Ajax che ha eliminato la Juve è della medesima pasta. Campioni fatti in casa come De Ligt, De Jong, Van de Beek, ma anche il danese Schone. Giovani forti e motivati, legati alla maglia, talenti pescati dove altri neppure getterebbero l'amo e, poi, il gioco. Perché non è detto che si debba spendere molto più degli altri, per vincere. Il Psg, in Europa, non vince, sebbene spenda senza limiti. L'Ajax accetta il ridimensionamento legato ai cicli generazionali, sapendo che, poi, tornerà a vincere o a lottare per vincere. Un grande esempio. La lezione dell'Ajax!
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