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martedì 9 gennaio 2024

Franz Beckenbauer: il libero!

I tedeschi sono stati letteralmente inventati da Tacito. Che senza mai essere stato nella c.d. Germania storica, scrisse "De origine et situ Germanorum", opera etnografica, con molte concessioni che oggi potremmo definire romantiche, che fissò i canoni e fotografò l'anima di una nazione tedesca, prima che questa esistesse. Franz Beckenbauer, non a caso soprannominato, Kaiser, Cesare, era non solo tedesco ma anche un romano post litteram. Comandava, in mezzo al campo, come il capo di una legione, venendo prontamente obbedito da tutti i compagni e parimenti temuto da tutti gli avversari. Prima centrocampista, finalista ai mondiali inglesi del 1966, poi, nel Bayern Monaco e in nazionale, libero, in italiano, perché il ruolo pur accennato in Svizzera negli anni '30, era stato cesellato in Italia e condotto a visibilità da Cesare Maldini, nel Milan, e, più ancora, da Armando Picchi nell'Inter di Helenio Herrera. A quel ruolo, Beckenbauer, dotato di tecnica sublime e di lucidissima visione del gioco, aggiunse di suo un'interpretazione offensiva e audace, persino sfacciata, che non solo gli faceva iniziare, recuperato il pallone, tutte le azioni, ma che lo portava persino a concludere, dopo perentorie discese palla al piede. Palla che non guardava mai, non avendone bisogno, la testa sempre alta. Dopo di lui, si sarebbe parlato di libero "alla tedesca": Stielike, ma anche Matthaeus e Thoen a fine carriera, Sammer s'ispirarono a Beckenbauer. Come pure, in Italia, Scirea e Franco Baresi. Vinse moltissimo, cinque volte la Bundesliga, tre volte la Coppa dei Campioni, dal 1974 al 1976, gli Europei nel 1972 e poi i mondiali di casa, nel 1974. Contro l'Olanda di Cruijff, che fu il suo rivale mediatico nei primi anni '70. L'Olanda incarnava lo spirito dei tempi, lo Zeitgeist, la ribellione alle convenzioni, il rifiuto di ruoli prestabiliti, il tourbillon come filosofia di gioco. La Germania di Beckenbauer era, invece, un concentrato di forza e di tenacia, di rifiuto ingenuo, ecco tacitiano, della sconfitta, esaltato dall'elegantissima leadership di Kaiser Franz. Fu due volte Pallone d'Oro e concluse la carriera ai Cosmos di New York. Rivinse i mondiali da commissario tecnico nel 1990, dopo la sconfitta in finale del 1986. L'ultimo successo della Germania Ovest, prima della riunificazione. Poi fortunato dirigente del suo Bayern. Un'icona del calcio. 

giovedì 24 marzo 2016

E' scomparso Johan Cruijff (#Cruijff): il fuoriclasse olandese è stato tra i più grandi calciatori di sempre. Giocatore totale come Valentino Mazzola e Di Stefano

E' scomparso, a 68 anni, Johan Cruijff, uno dei più grandi giocatori della storia del calcio. Straordinario anche per il suo valore allotrio, secondo il neologismo coniato da Benedetto Croce, per spiegare le ragioni extra artistiche del successo della Gioconda di Leonardo. Sì, perché la grandezza di Cruijff, mutatis mutandis, ha varcato i confini del rettangolo di gioco, per diventare fatto culturale o, per lo meno, fenomeno di costume. Cruijff, stella dell'Ajax di Amsterdam, diventa noto alla fine degli anni '60, ma è nei primi anni '70, che il gioco suo e dei suoi compagni, un gioco nuovo e straordinario, dove tutti attaccano e difendono e partecipano alla manovra, scambiandosi ruoli e posizioni, diventa l'emblema del mondo che cambia, delle regole che saltano, degli equilibri che cedono per spostarsi più avanti. E' il calcio totale, la bandiera dell'eclettismo. E Cruijff è per davvero attaccante e difensore, veloce e potente, tecnico e virtuoso del dribbling, alcune figure di superamento dell'avversario sono di sua concezione, come il turn Cruijff manco a dirlo. Poteva scattare trenta volte in una partita eppure giocava con semplicità, mai un tocco di troppo, a parte quel famoso rigore a due. E poi acrobatico e resistente, efficace ed incantatore, comandante in capo sebbene capace di nobile gregariato. Il Pelè bianco si dirà di lui. Tre Coppe dei Campioni consecutive con l'Ajax, tra il 1971 ed il 1973, battendo in finale anche Inter e Juve, con l'Olanda il secondo posto che sa di beffa dietro la Germania Ovest nel 1974, quando già era emigrato a Barcellona, diventando simbolo della Catalogna, per finirci anche da allenatore santone tra la fine degli anni '80 ed i primi anni '90. Tre volte pallone d'oro, un numero sconfinato di ammiratori di diverse generazioni e la convinzione diffusa, per molti di questi, come Sandro Ciotti, che Cruijff fosse il migliore di tutti, perché quelle meraviglie palla al piede le eseguiva a velocità impensate. Fu un innovatore, senza dubbio, anche per una facilità di parola generalmente sconosciuta ai calciatori: ha lasciato un mucchio di aforismi che in queste ore stanno facendo il giro della rete. Prima di lui, soltanto Valentino Mazzola, più potente, ed Alfredo Di Stefano, più goleador, avevano parimenti incarnato il mito dell'uomo squadra, dominante in ogni zona del campo. Dopo Cruijff, che in compenso era più veloce dei due, nessun altro.