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lunedì 29 novembre 2021

Il calcio degli anni '30: da Meazza a Sindelar, da Dixie Dean a Sarosi

Fu negli anni '30 che il calcio divenne un fenomeno globale. Fu allora che i suoi campioni irruppero nell'immaginario collettivo e divennero protagonisti di racconti e di leggende, ambasciatori della pubblicità, che si diceva reclame e professionisti, sebbene non dappertutto. Fu allora che il football cominciò a misurare lo stato di salute di tutto un movimento sportivo. Non dappertutto, non ancora come oggi, ma in gran parte dell'Europa sì. Nel Sud America anche. 

Non per caso, nel 1930, in Uruguay, si tennero i primi storici campionati del mondo. Vinsero i padroni di casa del leggendario mediano Andrade, uno che attraversava il campo con la palla incollata sulla testa, e del prestigiatore Hector Scarone, che poi sarebbe venuto anche in Italia. Seconda l'Argentina, terzi, sì, gli Stati Uniti, quarta la Jugoslavia. La trasferta andava sostenuta in piroscafo e tante nazioni europee, Italia compresa, disertarono. La grande avventura era però cominciata.

Josè Leandro Andrade


Gli inglesi ai mondiali non sarebbero andati, non solo nel 1930, ma anche nel 1934 e nel 1938, convinti di una superiorità già inattuale. Avevano, gli inglesi, grazie a Sir Chapman, tecnico dell'Arsenal, iniziato a praticare il Sistema, mentre le due nazionali più forti del continente, l'Italia di Pozzo e l'Austria di Hugo Meisl, optavano per il Metodo. In avanti cambiava niente. Due mezzali e un centravanti tra due ali. Dietro, invece, nel Sistema si giocava con un 3-2, nel Metodo con un 2-3 ed il centromediano, detto appunto metodista, che si sdoppiava nella doppia incombenza di marcare il centravanti avversario e dirigere il gioco dal basso. Sommo interprete del ruolo fu l'argentino, naturalizzato italiano, Luisito Monti, un armadio dal fisico brevilineo e compatto, fondamentale nella vittoria italiana ai mondiali di casa del 1934. 

Italia campione del mondo nel 1934


La stella di quella nazionale, che avrebbe poi rivinto i mondiali in Francia nel 1938 era Giuseppe Meazza. Il massimo giocatore del decennio, paragonabile a Pedernera e Valentino Mazzola negli anni '40, a Di Stefano negli anni '50, a Pelé negli anni '60, a Cruijff negli anni '70, a Maradona negli anni '80, Ronaldo da Lima negli anni '90. Prima centravanti imprendibile, poi mezzala sublime. Dribbling inesorabile, perentorio stacco di testa, leggerezza acrobatica, visione di gioco anche periferica, inventore dei passaggi filtranti.

Giuseppe Meazza


E divo da copertina. Rivali di fama, ma non di altrettanto talento, furono il centravanti austriaco Sindelar, detto cartavelina per l'esilità del tronco, antesignano dell'attaccante di regia, il bomber ungherese Sarosi, il monumentale portiere spagnolo Zamora, mago del piazzamento e onusto di carisma come poi solo Jascin e, in parte, Zoff. Oltremanica, furoreggiava il centravanti Dixie Dean, uno che dominava il gioco aereo, capitalizzando i mille cross che caratterizzavano il gioco inglese.

Ricardo Zamora



In Italia, con la stagione 1929/30, aveva esordito il massimo campionato a girone unico. Vinse l'Ambrosiana, poi Ambrosiana-Inter, insomma l'Inter, del capocannoniere Meazza. Seguirono cinque scudetti consecutivi della Juve di Edoardo Agnelli, figlio del fondatore della Fiat. Prima squadra italiana a divenire proverbiale: vi giocavano il detto Monti e il fantasista, pure lui oriundo, Mumo Orsi, mancino di rara classe e poi Combi, portiere azzurro, cui seguivano Rosetta e Calligaris, primo terzetto da filastrocca calcistica. Tre scudetti andarono al Bologna di Schiavio, doppietta per lui nella vittoriosa finale mondiale del 1934 contro la Cecoslovacchia. 

La nazionale di Pozzo, si diceva, vinse due mondiali consecutivi, nel 1934 e nel 1938. E nel mezzo anche le Olimpiadi di Berlino del 1936. Ma, c'erano stati anche due successi nella Coppa Internazionale, progenitrice dei campionati europei. Ai mondiali di Parigi, nel 1938, in finale gli azzurri sconfissero l'Ungheria, altra grande rappresentante del cosiddetto calcio danubiano. Capocanniere tra gli italiani fu il grande centravanti della Lazio, Silvio Piola.

Italia campione del mondo nel 1938

Capocannoniere assoluto, con 7 reti, l'asso brasiliano Leonidas, dalla falcata possente ed elegante, virtuoso della rovesciata, il primo grande fuoriclasse verdeoro dopo il mitico Friedenreich.

Leonidas


Fu negli anni '30 che il calcio uscì dalla dimensione pionieristica per farsi fenomeno di massa e fu la Radio a favorirne la popolarità. Le riprese televisive erano cominciate, ma non conserviamo una sola partita intera dell'epoca. Per questa ragione, i campionissimi del tempo sono spesso dimenticati nelle graduatorie dei massimi giocatori di sempre. 

martedì 22 giugno 2021

Italia-Austria, nel ricordo di Pozzo e Meisl

Le sfide recenti, nelle grandi competizioni, le ha vinte tutte l'Italia. Ma, c'è stato un tempo, tra la fine degli anni '20 e i primi anni '30, in cui l'Austria calcistica era avanguardia europea e la sua nazionale era il  Wunderteam. L'Italia di Vittorio Pozzo e l'Austria di Hugo Meisl si affrontavano in sfide appassionanti e mai scontate di Coppa Internazionale, l'antenata dei campionati europei. E si schieravano secondo il Metodo, con due terzini, tre mediani, di cui quello di mezzo, il centromediano metodista marcava il centravanti avversario e dirigeva il gioco dalle retrovie, due mezzali e tre attaccanti in linea, vale a dire un centravanti affiancato da due ali. Gli inglesi, da qualche anno, giocavano invece con il Sistema: i difensori erano tre, con il centromediano arretrato sulla linea dei terzini e c'era un quadrilatero a centrocampo. Con il tempo, Meisl fece qualche concessione al sistema, limitando i lunghi rilanci del centromediano e puntando su un sistematico possesso del pallone e una fitta trama di passaggi. Pozzo, invece, rimase ancora ad una concezione di gioco tatticamente più prudente e atleticamente meno dispendiosa. E conquistò, con l'Italia i mondiali del 1934 e del 1938. Nel mezzo, le Olimpiadi di Berlino del 1936. Nell'Italia brillava la stella di Giuseppe Meazza, nell'Austria quella di Matthias Sindelar. Tutto finì nel maggio del 1938, quando la Germania nazista occupò l'Austria: l'Anschluss.


lunedì 4 maggio 2020

Perché il Grande Torino fu così grande?

Sono rimasti in trasferta, per riprendere il toccante finale dell'articolo con il quale Montanelli ricordò la tragica scomparsa, sulla collina di Superga, del Grande Torino, di Novo ed Herbstein, avvenuta giusto 71 anni fa. Di quella squadra leggendaria si è scritto di tutto. Si è raccontato tutto. Ma, perché, calcisticamente, fu così grande? Provo a spiegarlo in tre punti.

  • Anzitutto, una generazione irripetibile di talenti. Il presidente Novo voleva i migliori e li ebbe. Valentino Mazzola su tutti, giocatore universale prima di De Stefano e di Cruijff. Leader tecnico e carismatico, baricentro basso, mancino ma abilissimo con il destro, coriaceo nei contrasti, devastante in progressione, suggeritore e finalizzatore. Quando trovi un simile campione, il resto viene di conseguenza. E il "brasiliano" Maroso sulla sinistra. E il "gemello" di Mazzola, Loik. Il centravanti Gabetto, il mediano Grezzar, l'ala Ossola. Tutti fuoriclasse, tutti assieme.
  • Il gioco nuovo. Un'applicazione originale del Sistema nell'Italia del Metodo. Meno lanci, molti più passaggi secondo la filosofia danubiana. Allenamenti individuali mirati, per rinforzare il piede debole, ritiri, preparazione atletica intensa. E l'importanza del movimento senza palla. Quello che apre e favorisce nuove linee di passaggio. E muoversi, invece di aspettare palla addosso, significa mutare posizione, sparigliare, confondere gli avversari. Il calcio totale, che già era stato sperimentato in Svizzera per la verità, si consolida con il Grande Torino. Mazzola, in campo, puoi trovarlo ovunque. Ovunque serva.
  • Il secondo dopoguerra. C'è un'energia nell'aria dell'Italia della ricostruzione. C'è un desiderio di rivincita e di ripresa. Il Torino lo incarna naturalmente. Ha un carattere indomabile. Di qui le rimonte proverbiali. Si tratta di una squadra vera, che si muove come un blocco unico. Insomma, ha un'anima, che avvince e tiene assieme tutti i giocatori.

martedì 8 aprile 2014

Storia dei mondiali di calcio: 3^ puntata (L'Italia trionfa nel '34 a Roma)

Orgoglio inglese a parte, è la nazionale italiana a dominare la scena per tutti gli anni '30. Grandi rivali non mancano,  a cominciare dagli ungheresi, celebri per la fitta ragnatela di passaggi con la quale avanzano verso la porta avversaria, ma anche per le splendide conclusioni ad effetto, eseguite con l'esterno del piede, in un'epoca nella quale parecchi calciano ancora di punta: si pensi a Levratto, che a questa maniera realizza gol a grappoli. Come è forte la Cecoslovacchia, come è forte l'Austria, il famoso Wunderteam, allenato da Hugo Meisl. L'Italia di Vittorio Pozzo, giornalista e grande studioso del calcio, gioca con il Metodo e fa incetta di successi, dalla Coppa Internazionale, antesignana degli attuali campionati europei, fino ai mondiali. Nel 1934, a Roma, giunge il primo successo degli azzurri, guidati dall'estro impareggiabile di Meazza, infallibile centravanti con l'Ambrosiana - Inter, che in nazionale arretra a mezzala di regia, mentre il centrattacco è il bolognese Schiavio. Al fianco di Meazza, come mezzala sinistra, gioca il lucidissimo Giovanni Ferrari, la difesa è guidata da Luisito Monti, centromediano oriundo, viene dall'Argentina, che costituisce muro invalicabile per gli avanti nemici e prima rampa di lancio per la propria squadra. In finale l'Italia batte la Cecoslovacchia 4-2. E' un trionfo, che qualche storico di basse vedute cercherà di sminuire, facendolo passare per opera del fascismo. Invece, sul campo, l'Italia si dimostra più forte. Meazza, cosa che ai tempi suoi nessuno sa fare, già lancia la palla negli spazi vuoti, già immagina traiettorie impensate, vede quello che gli altri non vedono e, complici due piedi straordinari, lo realizza (1^ puntata, 2^ puntata). 

mercoledì 2 aprile 2014

Storia dei mondiali di calcio: 2^ puntata (Uruguay primo campione, 1930)

Le nazionali presenti ai mondiali d'Uruguay del 1930 giocano quasi tutte con il "metodo", atteso che il "sistema", escogitato da Chapman, allenatore dell'Arsenal, è una privativa ancora inglese. Davanti al portiere due terzini, sulle fasce, spostati qualche metro più avanti due mediani, grosso modo corrispondenti ai laterali dei tempi nostri, nel mezzo un centromediano, detto appunto metodista, chiamato a marcare il centravanti avversario, ma, anche a cominciare l'azione, di solito dotato di una grande battuta, due mezzali a costruire il gioco, una di regia, l'altra di corsa e raccordo, due ali ed un centrattacco possente. Si conoscono variazioni sul tema, ma, nella sostanza tutti giocano alla stessa maniera. Non un grande spettacolo al primo mondiale, viste le tante assenze. Tredici squadre in tutto, distribuite in tre gironi. In semifinale, l'Argentina sconfigge gli Stati Uniti, l'Uruguay supera la Jugoslavia. Con identico, perentorio, punteggio: 6-1. Va in scena uno dei tantissimi derby del Rio de la Plata, il fantastico estuario formato dal fiume Paranà e dal fiume Uruguay, che "no es un rio, es un cielo azul que viaja".  In finale, prevale l'Uruguay delle stelle Andrade e Scarone, che è ancora lo squadrone che ha dominato gli anni venti, 4-2. Il capocannoniere del torneo, con otto reti, è invece l'argentino Stabile. Senza grandi clamori, questo è l'inizio di un'avventura straordinaria. Quattro anni dopo, sarebbe toccato all'Italia di ospitare i campionati del mondo di calcio, in nome di un'alternanza tra Europa e Sudamerica, che raramente sarebbe stata interrotta, prima che gli affari prendessero il sopravvento sul gioco (1^ puntata).