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venerdì 2 dicembre 2022

Portogallo e Corea del Sud agli ottavi

L'Uruguay, nel gruppo H di Qatar 2022, chiude il primo tempo con un vantaggio di due gol sul Ghana, segnati entrambi da De Arrascaeta, che indossa il 10 che fu di Schiaffino, Francescoli, Recoba. Non ha la stessa classe, ma è giocatore di qualità. Il risultato non cambia nella ripresa, ma non evita l'eliminazione dell'Uruguay, penalizzato dal sorprendente successo della Corea del Sud contro il Portogallo, paragonabile a quello ottenuto ieri dal Giappone contro la Spagna. I lusitani chiudono al primo posto, i sudcoreani al secondo. Andranno loro agli ottavi di finale.

lunedì 16 novembre 2020

Il calcio degli anni '50: da Di Stefano a Kubala, da Puskas e Pelé

Il calcio riprese, in Europa, molto lentamente dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. Dalla fine degli anni '40 e nei primi anni '50 ci fu una perentoria affermazione del football nordico, svedese e danese, che non ha eguali nella storia. Forse perché la Svezia era rimasta fuori dal conflitto e la Danimarca ne era uscita prestissimo. La Svezia di Nordahl, Gren e Liedholm vinse l'oro alle Olimpiadi di Londra del 1948 e, senza di loro, perché ormai professionisti con il Milan - gli svedesi avevano una concezione solo dilettantistica del calcio - giunse terza ai mondiali del 1950 in Brasile.

Il Mondiale brasiliano fu complicato. Il secondo in Sudamerica, dopo quello uruguaiano del 1930. E lo stesso vincitore. L'Uruguay del divino dieci Schiaffino, tecnico ma tenace, artista del dribbling ma essenziale, il primo, pare, ad usare con sistematicità il tackle in scivolata, con gli arbitri che gli fischiavano sempre fallo.

Juan Alberto Schiaffino


Lui e Ghiggia firmarono il 2-1 nella finale, che era solo l'ultima partita di un girone conclusivo, che gettò nella disperazione milioni di brasiliani. Il calcio era già la loro religione laica, come lo è il ciclismo per il Belgio. L'Italia, orfana dei campionissimi del Toro scomparsi a Superga, vi ottenne una dolente eliminazione al primo turno. Come i superbi maestri inglesi: disertati i precedenti mondiali per ritenuta superiorità, vennero buttati fuori dagli ex coloni degli Stati Uniti, che stavano al calcio, come gli inglesi al buon cibo. Il magnifico centravanti brasiliano Ademir, nove gol e capocannoniere, dovette contentarsi del secondo posto. E, con lui, Zizinho. Uno del calibro di Pelé o, almeno di Zico, penalizzato dall'assenza di vere riprese televisive. Lo stesso destino di Meazza e Sindelar, di Leonidas e dello stesso Valentino Mazzola.

Zizinho


In Italia, dominavano Inter, Juve e, grazie agli svedesi più, dopo, lo stesso Schiaffino, il Milan. Che vinse nel 1951 uno scudetto dopo 44 anni! L'Inter aveva un formidabile trio d'attacco: il brevilineo e scattista Lorenzi, il fantasioso mancino svedese Skoglund e l'apolide Nyers, dalla progressione implacabile e dal tiro micidiale. Con Foni, due scudetti consecutivi nel '53 e nel '54. Squadra raccolta, difesa e contropiede. E Blason libero, ruolo e definizione che avrebbero avuto larghissima fortuna nel decennio successivo. Nella seconda metà degli anni '50, divenne una potenza calcistica anche la Fiorentina del portiere Sarti, dell'ala brasiliana Julinho, dell'attaccante argentino Montuori. Nel 1956 fu scudetto e, l'anno dopo, finale di Coppa dei Campioni, contro il Real Madrid di Santiago Bernabeu, illuminato dal massimo Alfredo Di Stefano.

Di Stefano, classe 1926, era il successore calcistico di Valentino Mazzola. Più alto e più attaccante, ma come il capitano del Grande Torino, uomo ovunque, che contrastava, dirigeva il gioco e lo concludeva. Un asso carismatico, che aveva difeso i colori della nazionale argentina, poi di quella colombiana e che avrebbe giocato anche con la Spagna. 
Alfredo Di Stefano

Nel 1958, l'avrebbe raggiunto un altro fenomeno calcistico, l'ungherese Ferenc Puskas, totem della Grande Ungheria che perse d'un soffio i mondiali del 1954. L'invasione sovietica dell'Ungheria nel 1956 aveva spinto molti grandi giocatori della miglior squadra magiara, la Honved, che si trovavano in trasferta, a non rientrare in patria. Tra questi Puskas, che, prima del Real, avrebbe scontato due anni d'inattività forzata, preso oltre dieci chili e giocato altri otto anni, limitando il suo raggio d'azione, pronto ad innescare il suo tremendo sinistro. Le ultime due, delle cinque Coppe dei Campioni consecutive del Real Madrid, avrebbero portato anche la sua firma.
Ferenc Puskas

Si diceva del mondiale del 1954, che si disputò in Svizzera. L'Ungheria vi arrivava da grande favorita. Dopo aver stravinto - nei paesi dell'Est erano tutti dilettanti - le Olimpiadi di Helsinki del 1952. Nel novembre del 1953, Puskas, mezzala sinistra, Kocsis, mezzala destra, e Hidegkuti, centravanti arretrato di altissima sapienza calcistica, avevano inflitto un perentorio 6-3 agli inglesi a Wembley. Poco dopo avevano tramortito gli avversari increduli con un 7-1 casalingo. In Svizzera, però, complice anche un infortunio di Puskas, che giocò menomato la finale, pur segnando il gol del vantaggio, s'impose la Germania Ovest, 2-1. E fu il centravanti tedesco Fritz Walter a sollevare la Coppa. I magiari, che erano stati grandissimi già negli anni '30, con Sarosi tra i pochi a contendere a Meazza il titolo di miglior giocatore del mondo, giocavano un calcio mai visto. Palla soprattutto a terra, terzini che attaccavano, e tiravano tutti da fuori. Il tiro all'ungherese, d'esterno piede, divenne proverbiale. I brasiliani, che a quel mondiale fallirono, decisero d'ingaggiare tecnici magiari per insegnare ai propri giocolieri il tiro dalla lunga e media distanza: non si poteva, capirono, entrare sempre in porta con la palla. Fu una delle premesse del successo verdeoro ai mondiali di Svezia del 1958.

Quei mondiali, quelli di Svezia 1958, l'Italia non li giocò proprio, come poi le sarebbe successo con gli ultimi di Russia 2018. Vinse il Brasile allenato da Vicente Italo Feola - il nome ne dice le origini - che schierava un attacco atomico - l'atomica era l'ossessione di quegli anni - con Garrincha, Didì, Vavà, Pelé e Zagallo. E se quest'ultimo tornava, ogni tanto, gli altri molto meno. E i terzini Djalma Santos e Nilton Santos attaccavano come ali aggiunte. Un trionfo, che rivelò al mondo l'estro impareggiabile di un Pelé non ancora diciottenne. Fu battuta la Svezia padrona di casa in finale, con gli stagionati, ma fortissimi, Liedholm e Skoglund ancora in campo. Capocannoniere, 13 gol!, Fontaine, attaccante francese d'origini non francesi, come la mezzala Kopa. E come, dopo, Platini, Zidane, Henry, Mbappé.

Il caso volle che Di Stefano non giocasse nemmeno un mondiale. Come lui Kubala, straordinario centrocampista del Barcellona, ungherese che debuttò con la nazionale cecoslovacca, migrò in quella ungherese e concluse in quella spagnola. Aveva un fisico, Kubala, che sarebbe ancora oggi dominante e un controllo di palla che si rivide in Zidane e Riquelme.
Laszlo Kubala

Lui, il detto Di Stefano e Valentino Mazzola sono stati i più forti campioni a non aver, non per loro colpa, disputato un solo mondiale in carriera.

martedì 13 maggio 2014

Storia dei mondiali di calcio: 6^ puntata (1954, vince la Germania Ovest in Svizzera)

Si torna in Europa, in nome di un'alternanza con il Sudamerica cui si derogherà parecchie volte. I mondiali del 1954 si disputano in Svizzera, paese neutrale per eccellenza, che non ha conosciuto i lutti della seconda guerra mondiale e sperimenta un benessere assai diffuso, tanto da attrarre una massa di emigranti dalla Spagna, dal Portogallo e, soprattutto, dalla stessa Italia. Quella azzurra, a metà anni '50, per tante ragioni, è una generazione povera di talenti. Finirà con un'eliminazione ancora al primo turno, cui contribuisce anche la confusione ai vertici federali. La grande favorita è l'Ungheria di Puskas, che gioca un calcio rivoluzionario. Nell'anno precedente, il 1953, ha impartito lezioni memorabili a tutti, Inghilterra compresa, mortificata nel tempio laico di Wimbledon per la prima volta nella sua storia. Puskas, mezzala mancina dal tiro potentissimo e precisissimo, con la palla che finisce accanto ai pali, quasi sempre senza alzarsi, è il leader tecnico di un gruppo irripetibile, nel quale si distinguono Kocsis, mezzala destra dalla strepitosa elevazione, alla fine capocannoniere con 11 reti, ed il centravanti finto, Hidegkuti, un rifinitore d'attacco che attira a centrocampo lo stopper avversario e libera lo spazio per i compagni di reparto. I fuoriclasse, nell'Ungheria, sono moltissimi, versatili. Grandi atleti e grandi giocolieri, calciano d'esterno come pochi ancora sanno fare e, soprattutto, sono autentici virtuosi del tiro dalla distanza. Quello che non praticano i brasiliani, sconfitti anzitempo. I verdeoro faranno tesoro della lezione ed importeranno maestri magiari per perfezionare il fondamentale del tiro propriamente dopo il mondiale del 1954. In finale la grande Ungheria perde a sorpresa contro la Germania Ovest, che rimonta grazie all'estro del poderoso Rahn, ma, soprattutto per via della scarsa vena di Puskas, che è infortunato e si spegne dopo aver segnato la rete del vantaggio. Sospetti di doping, piuttosto fondati, si addenseranno da subito sulla prestazione dei teutonici. Ma, alla fine, vincono loro. Terza finisce l'Austria, tornata ai fasti degli anni '30, mentre quarto arriva l'Uruguay del magnifico Schiaffino. (1^ puntata, 2^ puntata, 3^ puntata, 4^ puntata, 5^ puntata)

lunedì 12 maggio 2014

Storia dei mondiali di calcio: 5^ puntata (1950, l'Uruguay trionfa in Brasile)

Un intero paese, ancora poverissimo e largamente disabitato, trepida per la coppa del mondo. Il Brasile, regno del calcio a ritmo di samba, della tecnica raffinata, del dribbling ad ogni costo, della ricerca della giocata a sensazione, ospita i mondiali del 1950. Con il ruolo di favorito, che, del resto, molti già gli attribuivano nel 1938, quando però aveva prevalso la grande Italia di Meazza. C'è stata la guerra di mezzo, gli equilibri sono mutati. L'Italia, orfana del Grande Torino, scomparso a Superga nel maggio del 1949, parte per il sudamerica con poche speranze. E parte in bastimento, perché l'aereo, dopo quella tragedia così recente, mette addosso troppa paura. Gli azzurri ci mettono una ventina di giorni, durante i quali, complice un mare spesso agitato, si allenano poco e male. Hanno invece il tempo di fumare parecchio. In Brasile, sarà una disfatta. Eliminazione al primo turno, sebbene i campioni non manchino tra gli azzurri, da Boniperti a Lorenzi. Stessa sorte tocca agli inglesi. Dopo avere disertato le prime tre edizioni dei mondiali, persuasi di una superiorità autentica soltanto dentro il whisky, perdono addirittura contro gli Usa: un affronto per Stanley Mattews e compagni. Il Brasile, nel quale brilla lucentissima la stella del centravanti Ademir, alla fine capocannoniere con nove reti, gioca il calcio più bello. Un calcio ritmato, paziente, fino al do di petto del campione, Ademir appunto, e Zizinho, uno che tecnicamente regge il confronto con tutti i grandi brasiliani di sempre, da Pelé a Zico a Ronaldo. Ed il Brasile giunge all'ultima partita del girone finale, potendo contare su due risultati, non solo la vittoria ma anche il pareggio. In uno stadio Maracanà stracolmo, riesce invece a perdere, complice la cattiva giornata del portiere Barbosa, contro l'Uruguay di Schiaffino e di Ghiggia. Due loro gol regalano il secondo mondiale alla "Celeste" e precipitano nella disperazione milioni di tifosi brasiliani. (1^ puntata, 2^ puntata, 3^ puntata, 4^ puntata, 5^ puntata, 6^ puntata7^ puntata8^ puntata9^ puntata10^ puntata11^ puntata, 12^ puntata)

mercoledì 24 ottobre 2012

I dieci numeri 10 più forti della storia

Veniamo ai migliori numeri dieci della storia del calcio. Il numero dieci, da sempre, simboleggia il talento più puro, meno ordinario, quello capace di accendere la fantasia dei tifosi, di escogitare la giocata vincente, di decidere, magari con un colpo, una partita. Poi, è noto, negli anni '30 e '40 il 10 era sulla maglia della mezzala sinistra, in Italia Giovanni Ferrari o Valentino Mazzola, poi spesso identificò il regista, si pensi a Suarez, che però ho collocato in altra classifica. Pelé era un attaccante, che agiva dietro la prima punta. Cruijff, che accidentalmente indossava il numero 14, un uomo ovunque, Maradona semplicemente il calcio e via dicendo. Come per i centravanti, ai primi dieci aggiungo anche i secondi. Questa la classifica che propongo. Cosa ne pensate?
*Aggiornamento del 13 aprile 2022: estendo la classifica ai primi trenta numeri 10 più forti della storia.
1. Maradona
2. Pelé
3. Cruijff
4. Messi
5. Zico
6. Schiaffino
7. Roberto Baggio
8. Platini
9. Zidane
10. Valentino Mazzola
11. Labruna 
12. Rivera
13. Ronaldinho
14. Totti
15. Cubillas
16. Zizinho
17. Modric
18. Michael Laudrup
19. Van Himst
20. Skoglund
21. Ricardo Bochini
22. Riquelme
23. Schuster
24. Gascoigne
25. Bergkamp
26. Gullit
27. Francescoli
28. Hagi
29. Ballack
30. Mancini
31. Overath
32. Del Piero
33. Rui Costa