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martedì 13 settembre 2022

Vuelta a Espanã 1990: la vittoria di Giovannetti

Nel 1990, Pedro Delgado si presentò al via della Vuelta a Espanã sicuro di ripetere il trionfo dell'anno precedente e di annettersi per la terza volta in carriera la maggiore corsa a tappe iberica. Non vi riuscì, perché trovo sulla sua strada, in uno stato di grazia che sarebbe durato anche al Giro d'Italia, Marco Giovannetti


Giovannetti era un corridore di fondo, che brillava nelle competizioni contro il tempo: era stato oro, nella cronometro a squadre, alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984


Vantava, in quel fine aprile del 1990 - la Vuelta ai tempi era il primo dei grandi giri stagionali - già quattro piazzamenti tra i primi dieci della classifica generale al Giro d'Italia. Ma, non si pensava che potesse vincerlo in grande giro. 

E invece, passato in testa al termine della decima tappa, seppe tenere la maglia di leader, ai tempi amarillo, fino a Madrid, dove il 15 maggio 1990 festeggiò il successo finale con 1'28" su Delgado, secondo, e 1'48" su Anselmo Fuerte, terzo. E quando si pensi che dal quarto al settimo posto si piazzarono Cabestany, Parra, Echave e Indurain, si comprenderà quanto importante e meritata fu la vittoria di Giovannetti. Nobilitata, appunto, dall'aver preceduto corridori dal passato illustre o, fu il caso di Indurain, dal futuro prossimo luminoso. Il successo della costanza e della regolarità e della sagacia tattica, senza nemmeno un acuto di tappa. Alla maniera in cui Balmamion aveva vinto i Giri del 1962 e del 1963.


Giovannetti, tre giorni dopo quel trionfo, si presentò a Bari, per il via del Giro d'Italia che consacrò il talento immenso di Gianni Bugno. E chiuse al terzo posto, proprio dietro Bugno e il francese Charly Mottet. Fu il suo anno d'oro, il 1990.

Quella di Giovannetti nel 1990, fu la quarta vittoria italiana sue sei totali, alla Vuelta dopo quelle di Conterno, nel 1956, Gimondi, nel 1968, Battaglin, nel 1981, e prima di quelle di Nibali, 2010, e Aru, 2015.

mercoledì 11 novembre 2020

Tour de France 1987: 1. Roche 2. Delgado 3. Bernard

Edizione fiume, quella del 1987, del Tour de France, con partenza da Berlino Ovest: 25 tappe, di cui cinque a cronometro, quattro individuali ed una cronometro a squadre.

Tour de France 1987

Vinse l'irlandese Stephen Roche, che già aveva vinto il Giro d'Italia, strappando la maglia rosa, a Sappada, al compagno di squadra della Carrera, Roberto Visentini. Roche, dopo il Tour avrebbe conquistato anche il campionato del mondo: una sbornia di successi, riuscita solo prima ad Eddy Merckx, da convincerlo ad un anno sabbatico nel 1988. Tornando alla corsa, ci fu molta incertezza sino alla fine. Roche ottenne il suo unico successo parziale nella cronometro di Futuroscope del 10 luglio 1987. La maglia gialla finì sulle spalle del giovane Charly Mottet, che assieme a Jean-Francois Bernard divideva i pronostici francesi come possibile successore di Hinualt, ritiratosi l'anno prima. Dopo aver mancato il sesto Tour, battuto da LeMond. Proprio LeMond era il grande assente: un incidente in una battuta di caccia aveva messo in pericolo la sua stessa vita e gli avrebbe impedito di gareggiare sino al 1989. Per questa ragione, il pronostico era aperto a molti, oltre che a Roche. Tra questi: lo scalatore spagnolo Pedro Delgado, che aveva vinto la Vuelta a Espana 1985 ed era stato quarto, allora si correva tra aprile e maggio, alla Vuelta del 1987; Laurent Fignon, che dopo i due Tour vinti nel 1983 e nel 1984 aveva vissuto stagioni meno brillanti; lo scalatore colombiano Lucho Herrera, che aveva vinto la Vuelta quell'anno. Dopo Futuroscope, riprendiamo il racconto, la maglia gialla andò ad un altro francese, Martial Gayant, per due giorni, tornando sulle spalle di Mottet a Pau, dove vinse l'olandese Erik Breukink. Mottet tenne il simbolo del primato per cinque giorni, fino ad essere spodestato dal connazionale Bernard, che trionfò nella cronoscalata sul Mont Ventoux. Il giorno dopo, sull'Alpe d'Huez, vinse lo spagnolo Echave e fu Delgado a vestirsi di giallo. Fino alla cronometro del penultimo giorno, con arrivo a Digione. In quell'occasione, Roche vestì la prima maglia gialla, quella più importante, perché il giorno dopo ci sarebbe stata solo passerella a Parigi. Gli bastarono 40" per vincere. Distacco contenutissimo, solo 2" di più dei 38"che erano bastati a Jannsen per battere Van Springel al Tour del 1968. Fino al 1989, quando Fignon avrebbe ceduto il Tour a Lemond per soli 8". Gli italiani, appena 18 al via, rimasero all'asciutto di successi parziali e fuori dai primi dieci della generale. Questa la classifica finale del Tour de France 1987:

  1. Stephen Roche (IRL)
  2. Pedro Delgado (SPA) a 40"
  3. Jean-Francois Bernard (FRA) a 2'13"
  4. Charly Mottet (FRA) a 6'40"
  5. Luis Herrera (COL) a 9'32"
  6. Fabio Parra (COL) a 16'53"
  7. Laurent Fignon (FRA) a 18'24"
  8. Anselmo Fuerte (SPA) a 18'33"
  9. Raul Alcala (MES) a 21'49
  10. Marino Lejarreta (SPA) a 26'13"

giovedì 7 maggio 2020

Giro d'Italia 1990: il trionfo di Gianni Bugno

Trent'anni fa, il 18 maggio del 1990, cominciava il Giro d'Italia che Gianni Bugno avrebbe dominato dalla prima all'ultima tappa, come Girardengo nel 1919, come Alfredo Binda nel 1927, come Eddy Merckx nel 1973 (anzi quasi, perché nel '73 ci fu un cronoprologo a coppie e la prima maglia rosa non venne assegnata). E dopo Bugno più nessuno ci sarebbe riuscito. 
Tour Of Italy ´90 | Gianni Bugno Clincher Tires: Michelin Pr ...
 Gianni Bugno 1990

Bugno, passato professionista alla fine del 1985, era un predestinato, ricco di talento, un fuoriclasse molto considerato nel gruppo. Schivo, riservato, passista potente ed elegante, era il più veloce dei non velocisti e teneva benissimo in salita, soprattutto sulle salite adatte ai lunghi rapporti, che era il solo a saper spingere. E tutto questo sempre conservando una pedalata elegantissima, efficacissima, rotonda. Mai un segno di stanchezza o di alterazione sul volto, le spalle sempre dritte. Si era svelato al grande pubblico nel 1986, regolando in volata un certo Francesco Moser nel Giro dell'Appennino. Poi conquistato anche nel 1987 e nel 1988. Nel 1989, lo racconto per meglio inquadrare il corridore Bugno, quando il Giro dell'Appennino valeva anche per il titolo nazionale, era stato secondo dietro Argentin: più volte, nella sua carriera, Bugno avrebbe vinto contro pronostico, salvo tradire le attese quando la sua vittoria era annunciata.

Torniamo al Giro del 1990: 20 tappe, più di 3.400 km. Il favorito della vigilia era il francese Laurent Fignon, campione uscente e reduce dalla beffa degli 8", con i quali aveva ceduto a LeMond il Tour de France del 1989. Molto atteso anche Flavio Giupponi, classe 1964 come Bugno, che nelle ultime tre edizioni del Giro era stato quinto, quarto e secondo, nel 1989 proprio dietro Fignon. E poi c'era Marco Giovannetti, che aveva appena conquistato la Vuelta a Espana, cosa che ad un corridore italiano non succedeva dal 1981, con Battaglin. E c'erano anche lo stacanovista spagnolo dei grandi giri, Marino Lejarreta, l'altro iberico Echave ed il francese Mottet, che vantava un quarto posto al Tour del 1987 e un sesto posto al Tour del 1989. Bugno, proprio nel 1989, aveva ottenuto la sua migliore prestazione in una grande corsa a tappe: undicesimo al Tour. In quel 1990 aveva già conquistato la Milano-Sanremo, con magnifico assolo iniziato sulla Cipressa, e si era poi annesso il Giro del Trentino.

Bugno vinse subito il cronoprologo di 13 km a Bari. Vestita la maglia rosa, prese il controllo della corsa come un veterano. Sulla stampa e in televisione, tutti gli consigliavano di cederla, quella maglia, per non affaticare troppo la squadra e alleggerire la pressione su di sé. Ma, Bugno era come trasfigurato dal simbolo del primato. Volava. Ottenne a Vallombrosa, nella settima tappa, il secondo successo parziale. Tenne benissimo sulle montagne, anche il 2 giugno, quando fu secondo dietro Mottet sul Passo del Pordoi. Stravinse la cronoscalata del Sacro Monte di Varese. E giunse da trionfatore a Milano, con 6'33" su Charly Mottet e 9'01" su Marco Giovannetti. Era l'epifania di un campione polivalente, che avrebbe potuto ambire al titolo di campionissimo ed avrebbe invece vinto solo la metà, forse meno, di quanto la sua classe gli avrebbe permesso.

mercoledì 29 aprile 2020

Tour de France 1991: vinse Indurain, ma poteva vincere Bugno

Nel 1991, il Tour de France si annunciava, e davvero lo sarebbe stato, combattuto e spettacolare. Intanto, andava in scena un duro scontro generazionale. La vecchia guardia, vecchia si fa per dire, perché non superava i 30 anni d'età, con LeMond, Fignon e Delgado, sei Grande Boucle in tre, si preparava a resistere agli assalti della nuova leva ciclistica, quella del '64, capitanata da Bugno, Breukink, Alcala e Indurain. In quest'ordine. Si tenga presente, al riguardo, che il leader della Banesto era ancora Delgado e Indurain il suo aiutante di campo. Poi, c'era Chiappucci, classe 1963, secondo a sorpresa un anno prima, ma pure secondo al Giro d'Italia 1991, vinto da Chioccioli, con Bugno solo quarto! Ciò nondimeno, Bugno, che si era poi aggiudicato il campionato italiano, volava. Ma, iniziò la corsa avendo nella testa i pronostici dei maggiori suiver dell'epoca, che vedevano in LeMond l'uomo da battere e, pertanto, il principale avversario da curare in corsa. Un errore che gli sarà fatale. A Bugno, intendo. 
La corsa.
Il cronoprologo, manco a dirlo va a Thierry Marie, i francesi lo prevedono per lui. LeMond prende la maglia gialla il giorno dopo, per cederla subito al danese da classiche, Sorensen. Poi, una mai chiarita intossicazione alimentare mette fuori gioco tutta la PDM, con Breukink e Kelly in piena lotta per la generale. Il sigillo del primato torna a Marie e poi ancora a LeMond. Alla decima tappa, Indurain esce dal cono d'ombra di Delgado, annettendosi la cronometro, di 73 km!, da Argentan ad Alencon. Il trono di LeMond vacilla. Nell'undicesima e nella dodicesima tappa, Mottet mette a segno una memorabile doppietta, all'esito della quale Luc Leblanc è maglia gialla. La Francia, che pure aspettava un altro idolo di casa, Fignon, esulta. Il 19 luglio, si decide il Tour. Tredicesima tappa con arrivo a Val Louron. Tappone pirenaico. Caldo, il clima prediletto da Bugno, che potrebbe staccare tutti - ma cura LeMond, un LeMond affaticato sebbene tenace - già sull'Aubisque. E invece si limita ad un attacco dimostrativo nell'ultimo chilometro. Più avanti, sul mitico Tourmalet, passano in testa Chiappucci, Indurain, Bugno, Mottet, Leblanc. C'è la discesa. E Bugno, che in discesa non è un drago, lascia andare Indurain. Perché lo sottovaluta. E poi Chiappucci. Arriva a perdere oltre due minuti e mezzo. Poi, perché sta bene, meglio di tutti, si sveglia, stacca gli altri, recupera nella salita verso Val Louron, rapporto lungo, il suo, pedalata tonda, la sua, eleganza assoluta, la sua. Perde però un minuto e mezzo, in una tappa che avrebbe potuto vincere. E che va invece a Chiappucci. Batterà Indurain sull'Alpe d'Huez, già sua l'anno prima. Ma, ormai, Indurain ha il giallo addosso. E vincerà anche la cronometro, 57 km!, di Macon. Primo Indurain, a Parigi, secondo Bugno a 3'36", terzo Chiappucci a 5'56". Poi tre francesi in fila, Mottet, Leblanc e Fignon. LeMond solo settimo davanti al connazionale Hampsten, Delgado, detronizzato da Indurain, nono. La rivoluzione è compiuta. Una nuova leva di corridori è al comando. Guidata da Indurain. Bugno ha perso, definitivamente, sebbene ancora non lo sappia, la possibilità di diventare la leggenda che il suo talento gli avrebbe permesso. Un Tour perso in discesa!