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mercoledì 13 dicembre 2023

La scomparsa di Antonio Juliano, storico capitano del Napoli

Ancora oggi, giorno della sua scomparsa, Antonio Juliano risulta il terzo calciatore più presente nella storia del Napoli, preceduto soltanto da Hamsik e Bruscolotti. Degli azzurri, Juliano fu capitano per dodici stagioni, conquistando per due volte la Coppa Italia, nel 1962 e nel 1976 e sfiorando lo scudetto del 1975, vinto dalla Juve con due soli punti di vantaggio. Quello, in particolare, era il Napoli allenato da Vinicio, di cui Juliano era anima e simbolo. Regista tecnico e compassato ma lucidissimo. Fu convocato in tre mondiali, in un'epoca ricca di qualità e concorrenza nel calcio italiano, che aveva a centrocampo Bulgarelli e De Sisti, ma anche, al netto della loro atipicità, Mazzola e Rivera. Giocò, Juliano, da subentrante, anche la finale dei mondiali messicani del 1970. Fu una bandiera del Napoli, quando di bandiere ancora ce n'erano. 

venerdì 23 ottobre 2020

Gli 80 anni di Pelé (Edson Arantes do Nascimento)

Per spiegare la dimensione planetaria del fenomeno Pelé, Edson Arantes do Nascimento in arte Pelé, nato il 23 ottobre del 1940, mi servirò di un piccolo episodio dei tempi di scuola. Frequentavo, la terza, o la quarta?, elementare e sul sussidiario m'imbattei in una pagina che raccontava, con parecchia enfasi, il millesimo gol di Pelé, segnato in Brasile nel 1969. Un calcio di rigore trasformato con sapienza, l'attesa dei tifosi, la pacifica invasione del campo. Stava già sul sussidiario, Pelé, quello unico delle elementari dei primi anni '80. Era, credo di ricordare, il 1983. Pelé aveva smesso di giocare da sei anni, aveva solo 43 anni e già compariva sui libri di scuola. Già aveva scavalcato il recinto dello sport, per insediarsi nell'immaginario collettivo. In realtà, Pelé era diventato subito leggenda, dai mondiali svedesi del 1958, quando con sei gol, alcuni meravigliosi, contribuì, non ancora diciottenne, alla conquista del primo mondiale per i brasiliani. Quale straordinario giocatore fosse, credo che qualunque appassionato di calcio abbia potuto leggerlo ed anche vederlo nelle immagini di repertorio sgranate dal tempo. Prodigio di coordinazione, forte, veloce, rapido, ambidestro, tecnico, fantasioso. Eccellente in tutti, e dico tutti, i fondamentali del gioco. Se il numero 10 divenne un simbolo del gioco del calcio fu perché era il suo: prima tutti i ragazzi desideravano il 9 del centravanti. Tre mondiali vinti, come mai nessuno prima e dopo di lui. Icona degli anni '60, anche se il vertice del rendimento e della maturità tattica ed agonistica lo raggiunse a Messico 1970, annettendosi il terzo mondiale dentro il contesto di una squadra illogica - 5 numeri 10 assieme, ma il 10, va da sé, sulle spalle - ed irripetibile. Il secondo, quello del 1962 in Cile, il Brasile l'aveva invece conquistato quasi senza di lui, presto infortunato e sostituito da Amarildo. Non lo considero il migliore della storia, Pelé, solo perché poi venne Maradona.

venerdì 12 giugno 2020

Il mito di Roberto Rivelino

Rivelino, all'anagrafe brasiliana, Roberto Rivellino, è stato uno dei massimi calciatori della storia brasiliana. Di schiette origini italiane, intraprese la sua leggendaria carriera nel Corinthians di San Paolo. Numero 10, nel Paese, il Brasile, dove quel numero aveva assunto, già prima di Pelé, una dimensione simbolica, narrativa, immaginifica e quasi magica. Quando ancora in Europa si delirava per il 9, il centravanti, i brasiliani subivano l'incantamento delle giocate impreviste e spettinate dei grandi artisti, di cui il 10 sulla maglia era il primo e più immediato segno di distinzione.


Rivelino è un brevilineo dalla corporatura massiccia che occhieggia alla pinguedine. Alto 1,69 m, supera di non poco i 70 kg. Il baricentro basso, unito ad una tecnica da prestigiatore, è il segreto dei suoi improvvisi cambi di direzione, che lasciano sul posto i difensori avversari, che sottopone anche a continui tunnel e ad un dribbling di cui, con il tempo, acquisterà la privativa: l'elastico. Il suo mancino accarezza il pallone, ora da sinistra verso destra e ritorno, ora da destra verso sinistra e ritorno. Va sempre via al malcapitato controllore di turno.

Ai mondiali messicani del 1970, Rivelino è uno dei cinque numeri dieci che l'allenatore Zagallo, già due volte campione del mondo con la nazionale verdeoro da giocatore, pretende di far convivere. Con lui ci sono Gerson, Jairzinho, Tostao e sua maestà Pelè. Il dieci, noblesse oblige, andrà a quest'ultimo, Tostao si adatterà a giostrare da centravanti, Jairzinho agirà da ala destra, Gerson da mezzala e Rivelino andrà all'ala sinistra. Sarà un trionfo. Rivelino incanta.

Stampa:Brazil 1970.JPG - Wikipedija
Brasile 1970
Rivelino è alla sinistra di Pelé

Ai mondiali tedeschi del 1974, con il precoce ritiro dal calcio di Tostao e l'abbandono della nazionale da parte di Pelè, sarà proprio Rivelino il giocatore simbolo del Brasile, il cui sogno s'infrangerà contro il gioco totale dell'Olanda. Quarto posto finale.

Il giovane Maradona, argentino, e perciò poco propenso all'ammirazione dei brasiliani, confesserà, all'apice della fama, di essersi ispirato a due campioni degli anni '70: il connazionale Bochini e, come si sarà intuito, Roberto Rivelino. Maestro del dribbling, dell'assist e del tiro.

mercoledì 16 maggio 2018

Storia dei mondiali di calcio: Teofilo Cubillas, l'asso del Perù

Uno dei tiri più potenti e precisi mai ammirati sui campi calcio, aveva Teofilo Cubillas, asso del Perù che impressionò ai mondiali messicani del 1970. Cubillas segnò cinque gol in quella manifestazione, per ripetersi, con altre cinque reti, ai mondiali argentini del 1978. Fu tra i migliori giocatori del mondo di quella decade, un fantasista di centrocampo, che le cronache del tempo esaltavano per la sagacia tattica, quasi superiore all'enorme bagaglio tecnico. Comandava il gioco offensivo, senza troppo concedere alla platea. Dribbling e finte ma senza eccessi, mai un tocco di più, la giocata sensazionale sempre annodata alle esigenze della partita. Poi quel tiro, eseguito quasi da fermo. Conclusioni tremende e millimetriche. La squadra della sua carriera fu l'Alianza Lima, ma portò il suo calcio anche in Europa, prima al Basilea, poi al Porto, dove segnò a ripetizione, prima di rientrare in patria. Dieci gol ai mondiali, si diceva. Ecco la sua prodezza, su punizione, contro la Scozia, ad Argentina 1978.

sabato 17 maggio 2014

Storia dei mondiali di calcio: 10^ puntata (1970, in Messico vince il Brasile, Italia seconda)

Altro che quattro, quattro, due, disponibilità al sacrificio, culto ossessivo del gruppo, diagonali, fuorigioco e sciocchezze assortite sul tema. Il Brasile del 1970, la più straordinaria squadra della storia del calcio, mai avrebbe visto la luce in questi tempi. Dopo la cocente delusione del 1966, il Brasile aveva in testa un solo obiettivo, vincere i campionati del mondo del 1970, organizzati dal Messico. Che già aveva accolto le Olimpiadi del 1968. Una singolare coincidenza voleva che ci fossero contemporaneamente cinque straordinari numeri dieci nel campionato verdeoro. Un qualunque allenatore di scuola sacchiana ne avrebbe fatto giocare uno soltanto. Zagallo, nel frattempo divenuto commissario tecnico, osò invece schierarli tutti assieme. Il dieci, con tutte le conseguenze del ruolo, cadde, noblesse oblige, sulle spalle di Pelé. Tostao si adattò come centravanti, Gerson arretrò in cabina di regia, Jarzinho andò all'ala destra, Rivelino all'ala sinistra. Un magnifico assieme di artisti del pallone, dribbling, tiro, giocate di prima. Quelli che nelle squadre di club erano tenori chiamati al do di petto, seppero cantare in coro come mai prima. L'Italia, campione d'Europa in carica, aveva tante stelle, da Mazzola e Rivera, chiamati dopo i quarti ad una sciocca staffetta, a Riva e Boninsegna, che nel Cagliari fino ad un anno prima bisticciavano e che in quell'estate trovarono una grande intesa, da Facchetti, a De Sisti, a Burgnich a Domenghini. In semifinale, contro la Germania Ovest, la partita era vinta allo scadere dei tempi regolamentari. Fu un gol di Schnellinger su dormita della difesa azzura a riaprire i giochi. Mazzola era uscito alla fine del primo tempo. Al suo posto Rivera. Nei supplementari colpi di scena a ripetizione, errori, gol, rimonte, fino al gol decisivo di Rivera per un 4-3 finale rimasto leggendario. Festa in tutta Italia e tricolori sventolanti nelle piazze: era la prima volta nel dopoguerra. Nell'altra semifinale, il Brasile ebbe ragione dell'Uruguay. In finale, il Brasile passò con un folgorante colpo di testa di Pelé, pareggio di Boninsegna. Dopo un'ora di gioco, l'Italia aveva tenuto botta. Poi, i brasiliani dilagarono. Gerson dalla distanza, Jarzinho con un diagonale dei suoi, infine il capitano verdeoro Carlos Alberto, all'esito di un'azione magistralmente diretta da Pelé. Terzo mondiale per il Brasile, che si aggiudicò definitivamente la Coppa Rimet. Capocanniere del torneo, il centravanti tedesco Gerd Muller, un torello implacabile in area di rigore, autore di dieci gol. (1^ puntata2^ puntata3^ puntata4^ puntata5^ puntata, 6^ puntata7^ puntata8^ puntata9^ puntata, 10^ puntata, 11^ puntata)