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martedì 26 luglio 2022

Il calcio degli anni '80: Maradona, Zico, Rummenigge, Platini, Falcao, Matthaus, Gullit, Van Basten, Francescoli, Careca...

Gli anni '80 furono anni calcisticamente straordinari e gli ultimi autenticamente liberi dai durissimi condizionamenti dei mercati televesivi, che, dopo, avrebbero preso il sopravvento e mutato la geografia e la storia dell'arte della pelota.

Nel 1980, alla vigilia dei campionati europei che si sarebbero tenuti proprio in Italia, deflagra da noi lo scandalo del calcio scommesse, una vicenda mai abbastanza chiarita, che conosce evitabili eccessi di spettacolarizzazione con tanto di calciatori arrestati in campo alla fine delle partite. Lo sfregio all'immagine del movimento nazionale è profondo. Seguono processi e squalifiche, che coinvolgono anche campioni di fama riconosciuta come Bruno Giordano e Paolo Rossi, che si professerà sempre innocente. 

Gli Europei, si diceva. Vince la Germania Ovest, perché c'è anche e ancora la Germania Est il più fedele alleato dell'URSS, Berlino è divisa da un muro che è simbolo e monito della guerra fredda, la cortina di ferro è ancora attualissima.

I tedeschi, dell'Ovest, sono guidati dal formidabile Karl-Heinz Rummenigge, possente ma tecnico ed acrobatico attaccante del Bayern Monaco, dalla progressione irresistibile. Attorno a lui, molti altri campioni, da Breitner a Stielike, da Hrubesch, centravanti colossale che sembra uscito da un'opera di Wagner, fino al giovane, superbo Bernd Schuster, mezzala ambidestra dalla tecnica sudamericana, la corsa poderosa e una sapienza calcistica da veterano. In finale, i tedeschi battono il Belgio. L'Italia ripete invece il quarto posto ottenuto ai mondiali d'Argentina del 1978, non senza rimpianti. 

Riaprono, dopo la serrata decisa nel 1966, le frontiere calcistiche. Ogni squadra italiana di Serie A potrà tesserare un calciatore straniero. Uno soltanto, per il momento. All'Inter, arriva il raziocinante regista austriaco Prohaska, alla Juve il mancino irlandese Brady, al Milan nessuno, perché i rossoneri sono retrocessi per via del calcio-scommesse. Ma, sono Napoli e Roma ad accogliere i due campioni migliori. L'asso olandese Krol, va sotto il Vesuvio. Già magnifico terzino sinistro, si reinventa libero di regia. Alla Roma, arriva invece il brasiliano Paulo Roberto Falcao, alto, biondo, elegante egli pure, ha corsa leggera, tiro secco, perentorio stacco di testa, diventa l'anima della squadra, che condurrà, nel 1983, alla conquista del secondo storico scudetto, sotto la guida di Liedohlm, assieme a Bruno Conti, Agostino Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo

Nel 1980, lo scudetto va all'Inter di Bersellini, che abbina la classe di un centravanti moderno ante litteram come Altobelli all'estro scapricciato di Evaristo Beccalossi e con loro Muraro, Oriali, Marini, il libero e capitano Graziano Bini e Bordon, costretto alla panchina in nazionale da Dino Zoff, che ha già 38 anni e sta per vivere un straordinario tramonto di carriera. Nel 1981 e nel 1982, il campionato va invece alla Juve di Trapattoni, che costituirà l'ossatura dell'Italia campione del mondo nel 1982: Zoff, appunto, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli. E non senza polemiche della Roma, che è seconda nel 1981, e della Fiorentina, che è seconda nel 1982. 

E il 1982 è l'anno dei Mondiali di Spagna. Una squadra è favorita rispetto a tutte le altre, il Brasile di Tele Santana, che raduna una pattuglia di fuoriclasse straordinari con due soli punti deboli, il portiere e il centravanti, il lungagnone Serginho, che viene preferito a Roberto Dinamite, mentre il giovane Careca è fermato da un infortunio. Il centrocampo di quel Brasile è irripetibile: la regia arretrata di Falcao, la corsa elegante di Cerezo, i tocchi magici del leader della democracia corinthiana, Socrates, virtuoso del colpo di tacco, le progressioni e il mancino atomico di Eder, i dribbling e le rasoiate del numero 10, il Pelè bianco, Zico. Senza dimenticare che il terzino sinistro, Leo Junior ha piedi più che da centrocampista. 


Poi, c'è l'Argentina campione del mondo in carica, capitanata da Passarella, che con Scirea e Krol è il miglior libero del mondo, il tedesco Stielike viene dopo di loro, con Kempes e Ardiles e lui, il più grande di sempre, anche se non ancora tutti lo riconoscono, Diego Armando Maradona. L'Italia è dietro nel pronostico, ma quel mondiale lo vince, in mezzo a mille polemiche, battendo nel secondo girone eliminatorio proprio Argentina e Brasile. Dopo 44 anni, l'Italia è, per la terza volta, campione del mondo. Rossi è capocannoniere con 6 gol, tre al Brasile, due alla Polonia in semifinale, uno alla Germania Ovest in finale. Bruno Conti, ala destra di piede mancino, autentico regista laterale dell'Italia è il miglior giocatore della manifestazione. L'urlo di Tardelli, per il secondo gol della finale, l'esultanza sugli spalti del Presidente Pertini e Zoff con la coppa fanno il giro del mondo. 

Dino Zoff con la Coppa del Mondo 1982

E il campionato italiano di Serie A è il miglior campionato del mondo. I grandi campioni vengono tutti in Italia. Nel 1984, alla vigilia dello storico scudetto del Verona di Bagnoli, in serie A sono pronti a giocare: Maradona, nel Napoli, Zico all'Udinese, Falcao e Cerezo, nella Roma, Rummenigge e Brady, nell'Inter, Platini e Boniek, nella Juve, Socrates e Passarella nella Fiorentina, Briegel ed Elkjaer nel Verona. Ma ci sono anche Junior, nel Torino, Hateley nel Milan, Michael Laudrup nella Lazio. Una straordinaria, mai vista, parata di stelle. Si fa prima a contare i pochi assi del pallone che non ci sono: Francescoli, Lineker, Schuster, Brian Robson. I migliori sono tutti da noi.

Karl Heinze Rummenigge
con la maglia dell'Inter

L'Italia, dopo la sbornia dei festeggiamenti del 1982, complice uno svecchiamento della squadra cui Bearzot non procede per umana riconoscenza verso i suoi campioni, fallisce le qualificazioni a Euro 1984. In Francia, vincono i padroni di casa, trascinati da Michel Platini, capocannoniere con 9 gol e vertice del quadrilatero magico del centrocampo transalpino, formato anche da Fernandez, Tigana e Giresse. Il calcio definito dai medesimi francesi, con qualche concessione alla propria grandeur, calcio champagne. In finale, i francesi battono la Spagna. In quegli Europei, che noi guardiamo da casa, si mette in mostra il talento ancora poco irreggimentato del danese Michael Laudrup e quello del belga Vincenzo Scifo.

A destare grande sensazione è sopratutto la Danimarca di Laudrup, per il gioco spumeggiante dove forza fisica, coraggio e qualità tecnica trovano una sintesi quasi perfetta. Nasce la Danish Dynamite: Morten Olsen, LerbyFrank Arnesen, l'ala inarrestabile dell'Ajax,  l'indomabile attaccante Preben Larsen Elkjaer e Michael Laudrup danno spettacolo. Solo il rigore sbagliato da Elkjaer contro la Spagna, in semifinale, ferma la corsa lanciatissima dei Vichinghi del pallone.

Nel 1986, tornano i Mondiali. Toccherebbe, nella logica dell'alternanza, al Sudamerica. E precisamente alla Colombia. Ma, ai colombiani, alle prese con terribili problemi interni, non riesce di organizzare una competizione così risonante e complessa. E così, dopo appena 16 anni, si torna in Messico, per celebrare l'apoteosi del massimo genio calcistico apparso sulla terra a miracol mostrare: Diego Armando Maradona. Guiderà una squadra modesta, dentro la quale a stento brillano stelle minori come Ruggeri e Burruchaga e Valdano, a un trionfo inaspettato. Cinque gol, tra i quali due, il più beffardo e il più bello di sempre agli inglesi, già nemici in una recente guerra da operetta eppure sentitissima per il possesso delle Malvinas o Falkland, davanti alle coste argentine. Gli inglesi della Tatcher, tre anni prima vincono con le armi, Maradona, a Mexico '86, vendica la storia con il pallone, che pare prolungamento e sublimazione del suo stesso corpo di atleta tarchiato e compatto. Si ripeterà con una favolosa doppietta al Belgio in semifinale, e lanciando Burruchaga verso la rete del vittorioso 3-2 contro la Germania Ovest in finale. Capocannoniere del torneo, Gary Lineker, 6 gol. L'Italia esce agli ottavi contro la Francia di Platini. Bearzot affonda con il suo gruppo storico. Della spedizione azzurra si salvano in pochi, di più Altobelli, quattro gol più un autogol provocato. 

In Europa, nelle competizioni per club, dominano inizialmente le squadre inglesi. La Coppa dei Campioni va al Nottingham Forest nel 1980, all'Aston Villa nel 1982, al Liverpool nel 1981 e nel 1984. Nel 1983, vince l'Amburgo, con gol dalla distanza di Magath, negando alla Juve il primo successo in una competizione ancora mai vinta. Il successo per gli uomini del Trap giunge nel 1985, dopo i tragici scontri dell'Heysel di Bruxelles, dove si scatena la violenza cieca degli hooligans del Liverpool: 39 morti e immagini raccapriccianti. La Juve, in un clima surreale, vince 1-0 ma c'è poco da festeggiare. Si tratta del canto del cigno della Juve del Trap, illuminata dall'estro di Platini, tre volte consecutive capocannoniere in Serie A (1983, 1984 e 1985) e vincitore di altrettanti Palloni d'Oro.

Il 10 francese gioca un calcio fantasioso. Salva le caviglie, cedendo il pallone sempre un momento prima di subire il contrasto avversario. Gioca tanto di prima e segna punizioni meravigliose.

Michel Platini
con la maglia della Juve

Le squadre inglesi vengono squalificate dalle competizioni internazionali per cinque anni. Finisce così un dominio inziato nel 1977. E si apre la strada a successi inaspettati in Coppa dei Campioni: Steaua Bucarest nel 1986, ai rigori sul Barca, Porto nel 1987, Psv Eindhoven nel 1988. L'anno dopo, tocca al Milan di Sacchi, che ha il vento della critica in poppa. Rischia di uscire contro la Stella Rossa di Belgrado: si salva per la nebbia. Sempre nel 1989, c'è anche il successo in Coppa Uefa del Napoli di Maradona. Che aveva già vinto uno storico primo scudetto nel 1987 e si sarebbe ripetuto tre anni dopo, all'alba del nuovo decennio.

Maradona con
la maglia del Napoli

Nel 1988, in Germania, sempre Ovest, si disputano gli Europei. L'Italia, passata da due anni nelle mani di Azeglio Vicini, è forte. Difesa di ferro con Zenga, il miglior portiere del mondo del momento, Bergomi, capitano, Ferri, Franco Baresi e un giovane Paolo Maldini. Davanti Vialli, che brilla solo contro la Spagna, e Mancini, che gioca titolare, anche se Altobelli è ancora un centravanti migliore di lui. E poi Giannini in regia e Donadoni all'ala destra. Gli azzurri escono in semifinale contro l'URSS del calcio robotico del colonnello Valerij Lobanowski. Che in finale perderà contro l'Olanda di Gullit, numero dieci rossonero, e Van Basten, da poco tornato da un infortunio, tanto che lo scudetto con il Milan l'ha visto poco in campo. Van Basten parte inizialmente dalla panchina: gioca il manovriero Bosman. La partita d'esordio, proprio contro l'URSS, gli olandesi la perdono. Poi, entra contro l'Inghilterra, nella seconda partita del girone: tre gol! Sarà il capocannoniere della manifestazione e vincerà il primo di tre palloni d'oro. Il suo gol al volo, da posizione defilata a incrociare sul palo lontano - permesso anche da una fasciatura rigida sulla fragile caviglia destra - è splendido.

Marco Van Basten
con la maglia del Milan

Dasaev è battuto. Zenga, un gol così, però, nemmeno bendato avrebbe potuto prenderlo.

Walter Zenga 
con la maglia dell'Inter
e il trofeo di miglior portiere del mondo

Proprio Zenga difenderà la porta dell'Inter, innervata dai tedeschi Matthaus e Brehme, nell'ultimo campionato del decennio, che i nerazzurri, allenati dal Trap, venuto a Milano nel 1986, si aggiudicheranno con una sfilza di record e sei giornate d'anticipo. Il Napoli di Maradona, Careca e Alemao finisce a 11 punti, il Milan di Gullit, Rijkaard e Van Basten a 12: si assegnano ancora due punti per vittoria. Il calcio all'italiana di Trapattoni, quello con le marcature a uomo e il libero, s'impone sulla zona sacchiana.

Il campionato di Serie A resta altamente competitivo. In 10 anni, dal 1980 al 1989, vincono lo scudetto sei squadre diverse: quattro la Juve (1981, 1982, 1984, 1986), due l'Inter (1980, 1989), uno la Roma (1983), uno il Verona (1985), uno il Napoli (1987), uno il Milan (1988).

Nel decennio, si disputano tre edizioni della Coppa America. Le prime due sono vinte dall'Uruguay di Enzo Francescoli. Nel 1983, la Celeste vince davanti al Brasile, nel 1987, davanti al Cile. Nel 1989, vince il Brasile di Romario e Bebeto, superando proprio l'Uruguay. 


 Per approfondire:

lunedì 27 maggio 2019

Quanto era sopravvalutato il Milan di Sacchi!

La narrativa calcistica italiana è piena di luoghi comuni. Uno dei più frequentati è il Milan di Sacchi. Cui molti riconoscono una rivoluzione che non ci fu. Prendo spunto dall'intervista, bella comunque, che gli ha fatto Paolo Condòandata in onda su Sky in questi giorni. Con Sacchi che si annette meriti altissimi, che si atteggia a grande riformatore, una sorta di Martin Lutero del rettangolo di gioco. Che evoca i padri fondatori - quattro annoiati studenti universitari inglesi, poco o punto consapevoli della fortuna che il gioco da loro codificato avrebbe avuto - per sostenere che il calcio dovrebbe essere offensivo, perché così nacque, o non essere. E abbiamo dovuto ascoltare il solito sermone sul catenaccio, che, ho provato a ricordarlo in un altro post, non nacque in Italia ma in Svizzera, sulla mentalità sparagnina degli allenatori italiani di maggioranza e sulla necessità, invece, tutta nordeuropea e modernista, di correre e assaltare e divertire, che, secondo Sacchi, il suo Milan avrebbe messo al centro del villaggio. Ho altri ricordi e alcune obiezioni:


  1. Il pressing, alto, portato persino dagli attaccanti, lungi dall'essere espressione di calcio offensivo, è invece il paradigma di una difesa perpetua, incessante. E stressante. Il pressing alto, la squadra corta e il sistematico ricorso al fuorigioco furono i canoni del gioco sacchiano. Gioco difensivo per eccellenza! 
  2. L'avvento di Berlusconi al Milan ottenne di sommuovere gli equilibri del calcio italiano, donando ai rossoneri un vantaggio competitivo incomparabile, che principiò nell'era sacchiana e culminò ai tempi di Capello, quando il Milan aveva di fatto due squadre e gli altri una. Sacchi, questo, non lo ricorda? Sacchi aveva uno squadrone, quando vinse contro la Steaua Bucarest, nel 1989: Gullit e Van Basten, Rijkaard e Baresi, Ancelotti e Donadoni e Maldini. E andate a rivedere quei quattro gol rifilati ad una difesa allegra e sbandata. Guardate Gullit, lasciato solo ai limiti dell'area, che stoppa di petto e tira, con tutta calma. 
  3. Quel Milan, in Italia, vinse solo uno scudetto in quattro anni. Grazie al tracollo inaspettato del Napoli di Maradona. Osservate il gol di Van Basten dell'1 maggio 1988 al San Paolo: Gullit si fa 60 metri palla al piede. Epperò non incontra un avversario sul suo cammino. Non uno che provi a fermarlo. Grande progressione, per carità. Ma, il Napoli non c'era più. Da un paio di mesi.
Ecco, Sacchi queste cose non le ha ricordate. E, poi, vedemmo quante difficoltà ebbe in nazionale. Che, con lui in panchina, spesso giocò male. Che raggiunse la finale a Usa 1994 solo grazie all'estro di Roberto Baggio e fu malamente eliminata agli Europei inglesi di due anni dopo. E ricordiamo anche la fallimentare esperienza di Sacchi al ritorno sulla panchina rossonera nella stagione 1996/97. Allora, quale rivoluzione? Grande società, grandi giocatori, pochi avversari di livello in Europa - squadre inglesi assenti per un quinquennio - e la cura maniacale di una difesa, che cominciava subito, con Van Basten, e non finiva più. A tutto campo e per tutto il tempo, questo sì, per indulgere ad una locuzione tanto cara a Sacchi. Per concludere: quanti giocatori ricordate, così, a memoria, del Nottingham Forest che vinse la Coppa dei Campioni nel 1979 e nel 1980? E quanti del Milan che fece doppietta dieci anni dopo? Rispondete. Dopo aver risposto, avrete un'idea su chi abbia inciso di più tra Brian Clough ed Arrigo Sacchi.

giovedì 17 aprile 2014

Bale regala la Coppa del Re al Real Madrid. Il gallese ha una forza straordinaria

La cavalcata imperiosa che ha avviato il gol della vittoria, resistendo ad una spallata galeotta dell'avversario di turno, è stata straordinaria, un prodigio di forza, ma, anche di corsa e di tecnica, perché il controllo della palla ha contato eccome, segnalando Bale come uno dei maggiori talenti del calcio mondiale: ieri sera, finale di Coppa del Re tra Barcellona e Real Madrid. Peccato che, essendo gallese, difficilmente parteciperà in carriera alle grandi competizioni per rappresentative nazionali. I mondiali in Brasile risentiranno, intanto, della sua assenza, anche più di quella di Ibrahimovic. Bale, nella sua progressione, mi ha ricordato Rummenigge, Elkjaer, Gullit, Ronaldo. Davvero notevole. Intanto, il Real Madrid ha vinto, con questa prodezza di Bale, la Coppa del Re. Mentre il Barca di Messi è al capolinea della sua noiosissima storia. Passaggi e passaggi senza tirare in porta. Il calcio è un'altra cosa. E' anche guizzo, strappo, forzatura, accelerazione come ha dimostrato la galoppata Bale.