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lunedì 13 febbraio 2017

I 50 anni di Roberto Baggio. Cinque ragioni per ricordarlo

Il più grande giocatore della storia del calcio italiano, dopo Meazza e prima di Totti. Roberto Baggio, artista prima che calciatore, compirà 50 anni il prossimo 18 febbraio. Ecco cinque ragioni per ricordarlo e celebrarlo.

  1. Il dribbling: un fondamentale, che non si allena o che si allena poco. Baggio ne è stato un virtuoso naturale. Grazie alla sapienza innata del tocco, alla padronanza del palleggio, alle finte di corpo ed allo scatto fulmineo. Aveva non solo il primo, ma anche il secondo ed il terzo, qualche volta il quarto dribbling. Come oggi solo Messi. E prima di lui, Meazza, Di  Stefano, Garrincha, Pelé, Sivori, Sandro Mazzola, Cruijff, Best,  Zico e poi Ronaldo, il brasiliano. Me ne dimentico pochi. 
  2. Il senso del gol: 318 gol da professionista, sesto italiano assoluto, dopo Piola, 364 gol, Del Piero, 346 gol, Meazza 338 gol, Totti, 323 gol e Toni, 322 gol. Roberto Baggio ha segnato in tutti i modi, persino di testa ogni tanto, grazie alla precisione chirurgica del tiro, spesso eseguito in anticipo, prendendo il portiere in contropiede. Di destro e di sinistro, in area e fuori dall'area, quasi mai di forza, sempre con eleganza. E tanti gol nelle occasioni solenni, 9 ai mondiali, come Paolo Rossi e Vieri, il quale ultimo, però, segnò solo un gol, contro la Norvegia nel '98, nelle gare ad eliminazione diretta. Baggio, invece, trascinò letteralmente la triste Italia di Sacchi alla finale di Usa '94, perduta ai rigori contro il Brasile. L'errore di Baggio dal dischetto, un dispetto di un destino saragattianamente cinico e baro, fece il giro del mondo. Ma, senza di lui, quell'avventura azzurra sarebbe terminata molto prima.
  3. Il gioco contro tempo: fateci caso, la maggior parte dei calciatori, approssimandosi la porta, accelera, aumenta la frequenza dei passi, si fa frenetica. Baggio, no. Alla vista del portiere, più spesso, rallentava. Aspettava il difensore farglisi sotto e poi, dribbling a rientrare, con il destro od il sinistro, e tiro all'angolo con il piede opposto. Questo incedere caracollante, quasi esitante ed invece colmo di forza consapevole, a Brera, che lo vide nei primi anni di carriera, ricordava il grande Meazza.
  4. L'invidia degli allenatori: sebbene Baggio non avesse il piglio del comando, per tutta la carriera, e forse con la sola eccezione di Mazzone al Brescia, fu sofferto moltissimo dagli allenatori. Su tutti Lippi, che lo mandò via dalla Juve e gli preferì persino Russo all'Inter, e Capello, che lo sostituiva con immancabile puntualità. Ma, anche Ulivieri a Bologna, dove Baggio risorse, 22 gol all'esito di un campionato che lo condusse al suo terzo mondiale, quello di Francia '98. E perché? Perché Baggio, asso naturale, riusciva, quasi senza volerlo, a dimostrare la superiorità del singolo sul gruppo, dell'estro sullo spartito, dell'assolo sulla sinfonia, del guizzo sulla tattica. Sacchi, che ne trasse immensi benefici in nazionale, ancora oggi, trova modo e maniera di punzecchiare Baggio. E solo perché costui si era opposto alla monacazione forzata nei suoi schemi.
  5. L'individualismo ai tempi della mistica del gruppo: Gramsci scrisse che "i più non esistono fuori dell'organizzazione". E tutto sommato è vero. Ecco, Roberto Baggio nel novero dei più non c'è stato e non poteva starci. E' sopravvissuto alla più grande e più inutile rivoluzione della storia del calcio. Quella cominciata proprio da Sacchi, perché il calcio totale olandese era ben altro, come ben altro era stata la meravigliosa Ungheria di Puskas. Giocava da solo Baggio, il che non significa che non servisse assist meravigliosi ai compagni o che non ne ricevesse. Ma, insomma, non rincorreva gli avversari, non ripiegava, come si dice malamente da qualche lustro a questa parte. Non andava a tempo. Epperò decideva. Ha cambiato molte squadre in carriera, diventando il beniamino di tutte le tifoserie. Egregio, perché fuori dal gregge. Un campione senza tempo.

domenica 17 luglio 2016

Capello gli interisti non lo vogliono

Capello no, gli interisti non lo vogliono. Ha giocato nella Juve e nel Milan, ha allenato il Milan e la Juve. È reduce dall'esperienza fallimentare alla guida della nazionale russa. No, Capello all'Inter non lo vogliamo. Nemmeno come dirigente.

giovedì 9 febbraio 2012

Capello si dimette per Terry: sgarbo della perfida Albione

Non posso dire che Fabio Capello mi sia mai stato simpatico. Anzi. Tuttavia, nella vicenda che lo ha condotto a rassegnare le dimissioni da commissario tecnico della nazionale inglese di calcio, credo abbia avuto le sue ragioni. Perché la scelta di un capitano, da sempre, appartiene all'allenatore. Dopo consultazione del gruppo, ma è sempre l'allenatore che decide. Sicché la scelta della Federazione d'oltremanica di degradare John Terry, per di più senza che sia stata raggiunta la prova delle frasi in odore di razzismo che gli sono state attribuite, mi è sembrata fuori posto. E figlia di una studiata ingerenza nelle competenze del tecnico, che Capello, come chiunque altro, non poteva accettare. Si volevano provocare le dimissioni di Capello? A rifletterci bene, credo proprio di sì. Ora, l'Inghilterra dovrà cercarsi un altro allenatore in vista dei prossimi Europei. Un inglese, con ogni probabilità. All'Italia, sia pure indirettamente, giunge un altro sgarbo della perfida Albione!

giovedì 2 febbraio 2012

Calcio: quanto conta un allenatore?

Conta molto un allenatore di una squadra di calcio. Nel bene e nel male. Perché, di là dalla tattica da sempre sopravvalutata, decide chi gioca e chi no, ma, sopratutto come un giocatore deve giocare, in quale ruolo, quanto tempo, con quale libertà. E, da quando ci sono le sostituzioni, disattendere un ordine della panchina può costare caro, già a partita in corso. Sandro Mazzola ama raccontare che una volta, ancora giovane, Herrera gli chiese di giocare centravanti, nel ruolo che l'avrebbe consacrato asso della Grande Inter e simbolo del calcio italiano, ma, Mazzola era stato nelle giovanili centrocampista e tale si sentiva. Così giocò, e bene, a centrocampo. Primissimi anni '60, le sostituzioni non erano ancora possibili, Mazzola giocò tutta la partita. Herrera si congratulò per la prova, ricordandogli, però, che da quel momento in poi avrebbe dovuto agire da punta. Oggi, non sarebbe possibile. Ci sono allenatori che sostituiscono anche un subentrato: Capello l'ha fatto più di una volta. Il potere di un tecnico, oggi, è notevolissimo. Certo, c'è tecnico e tecnico. Trapattoni trasformò Matteoli da trequartista incostante a grande regista difensivo nell'Inter dei record, come Berti da ala destra, doppione di Bianchi, in formidabile interno assaltatore. Zeman fece di Totti un grandissimo atleta, spianandogli una carriera leggendaria. Mazzone tolse Pirlo, lento sul passo, da dietro le punte, e ne fece un sontuoso architetto del gioco. Tutto questo nel bene. Altre volte, l'allenatore sbaglia e chiede, pensate a Roberto Baggio con Ulivieri, di coprire come un mediano, salvo ravvedersi alla fine, oppure, pensate sempre a Roberto Baggio con Lippi, tiene l'asso in panchina per fare spazio a Nello Russo. Insomma, l'allenatore conta eccome. A condizione che metta ogni giocatore nella condizione di rendere al meglio. Ci riuscirà Ranieri con Sneijder?

lunedì 23 gennaio 2012

Totti re di Roma: 211 gol in serie A con la stessa maglia

Totti ha superato Nordahl. Per i gol segnati in serie A con la stessa maglia, quella della Roma manco a dirlo: 211 gol contro i 210 che il poderoso centravanti svedese seppe realizzare con la divisa del Milan. E pensare che Totti, per tanti anni, non ha giocato da prima punta, trequartista con Mazzone, attaccante esterno, partendo da sinistra, con Zeman, trequartista o seconda punta con Capello. La svolta realizzativa ci fu nella stagione 2005/06 con Spalletti, che decise di spostarlo in avanti per una serie di infortuni nel reparto avanzato. Da quel momento, le medie realizzative di Totti s'impennarono vertiginosamente. Prima di Spalletti, fino al 2005, 311 partite in serie A e 110 gol, media di 0,35 reti a partita. Dopo Spalletti, dal 2005 ad oggi, 175 partite in serie A e 101 gol, media di 0,57 gol a partita. Un progresso evidentissimo. Dove può arrivare Totti, ora? Acciufferà Altafini e l'immenso Meazza a 216 gol in A, di nuovo Noradhl, a 225 gol complessivi. Poi, resterà Piola a 274 reti nella massima serie. Totti non lo dice, ma, il suo vero traguardo è il primato di Piola, che dista 63 reti per l'aggancio, una di più per il sorpasso. Può farcela prima di smettere? Scommetto di sì.